Gli eroi del balùn: il fascino segreto della pallapugno
di Redazione
Viaggio nelle discipline considerate di nicchia ma che resistono all’usura del tempo. Si parte dal gioco diffuso in Italia soprattutto in Piemonte che può contare su un pubblico di veri appassionati

È uno di quei giorni diversi, dove è diverso anche il resto. Un cielo arrabbiatissimo manda una luce potente ma nemmeno un’ombra sul popolo del Balùn che arriva in macchina e parcheggia dove capita, perché fuori dallo sferisterio c’è solo la statale dove non passa quasi nessuno, a parte il basilico che dilaga e qualche ulivo che fa da sentinella. Il campo è in terra battuta, e sotto le scarpe fa alzare soffi di polvere. Qualcuno sfodera le pentole e scartoccia l’occorrente per gnocchi e salamelle che seguiranno, prima di sedersi sui gradoni di cemento dove normalmente gioca la Don Dagnino, storica formazione locale, insolita nel nome ed eroica come questo stadio sbrecciato che sa di tempo che sbiadisce ma non si arrende mai. Oggi però tocca ad altri, gente straniera: c’è la finale di Coppa Italia Juniores tra la Pro Paschese di Villanova Mondovì e il Bubbio. Provincia di Cuneo contro provincia di Asti: roba internazionale, anche se lo sponsor sullo striscione fa la pubblicità alla cipolla Befanella. E infatti all’inizio suonano pure l’inno di Mameli, perché di Coppa Italia, comunque, si tratta: tutti in piedi con la mano sul cuore per la pallapugno, uno di quegli sport che chi parla bene chiama “di nicchia”. Tradotto vuol dire che lo giocano in pochissimi, e per sempre lo giocheranno in pochissimi, ma senza preoccuparsi di essere una specie in via d’estinzione. È una faccenda che riguarda il basso Piemonte e qualche ritaglio di Liguria, quella che il mare lo annusa da lontano. Il resto del mondo, non sa nemmeno che esista. Il campo è rettangolare: lungo 90 metri e largo 16. Circa, perché qui nessuno è fiscale, e se le righe non sono perfette, chissenefrega.
Su uno dei lati lunghi ci sta il pubblico, poco ma convinto. Sull’altro un muro di 18 metri. Più o meno, l’importante è che la palla ci possa rimbalzare. A San Bartolomeo di Andora da metà in su c’è una grata metallica per dare più luce: sembra di stare nel cortile di un carcere durante l’ora d’aria. Ma è molto più bello, perché c’è un campanile splendido accanto. Di base, la pallapugno si gioca menando delle gran sberle a una palla di gomma dura grande il doppio di una pallina da tennis. Nessuna racchetta: si colpisce con la mano chiusa a pugno, e dove va va. In un altro sport avrebbero inventato subito un guanto tecnologico. Non qui, questa è nicchia. Quindi i giocatori continuano ad arrotolarsi attorno al pugno chiuso uno strato di cose tipo fasce, placche di cuoio e tiranti di gomma. Quello che trovano insomma va bene. Un groviglio per attutire il colpo. Però funziona. Grazie a quello, il battitore prende una breve rincorsa, fa una piccola danza, alza la palla, la colpisce con una frustata micidiale e la spedisce 80 metri più in là, nella metà campo avversaria, il più delle volte con una traiettoria che la fa sbattere prima contro il muro.
La pallapugno ha una sua Federazione affiliata al Coni con circa 110 società attive e 12.000 tesserati: fino al 2001 si chiamava pallone elastico, poi hanno deciso che l’elastico non piaceva più. Gli sferisteri in cui si gioca invece resistono: non è dato sapere quanti siano esattamente in Italia, ma sono una manciata di decine di sicuro. In campo ci sono due arbitri, e uno ha un bastone bianco in mano che ha una funzione misteriosa, ben nota però ai più esperti. Si gioca quattro contro quattro, e la squadra non si chiama squadra ma quadrella. Inutile chiedersi perché, la nicchia è fatta così. Il più bravo sta dietro a battere e a respingere le palle lunghe, gli altri tre davanti pronti a scattare per i tocchi brevi. Si colpisce e si respinge sempre e solo di pugno o di avambraccio. La palla per cominciare il gioco la pulisce con un panno e la porge all’avversario il giocatore di riserva dell’altra squadra: non è una regola, ma la prassi. Incredibile, ma vero. Da qui in poi, ci arrendiamo. Perché il regolamento della pallapugno sta in poche pagine, e per leggerlo ci vogliono pochi minuti. A capirlo, invece, una vita.
Quel che interessa è che i punti si contano come quelli del tennis, e che si vince con 11 giochi, ma ci vuole almeno un’ora e mezza per arrivarci. Tutt’intorno al campo c’è la gente del Balùn, e lo spettacolo vero è quello. Una razza a parte. Altrove si dovrebbe dire “genere”, ma qui razza è accettato. Si fa il tifo con le trombette, ci si chiama per nome, si scherza. Si conoscono tutti: su 75 spettatori mal contati, 65 sono parenti di quelli in campo. Provincia profonda, sana, semplice. La lingua ufficiale è il dia-letto, non si insulta nessuno, ma ci si prende in giro parecchio: chi perde se ne fa una ragione, l’importante è che non piova. Troppo più bravo degli altri il battitore di Asti: si chiama Defilippi e picchia come se non avesse mai avuto bisogno dell’ortopedico. Per la cronaca, infatti, la Coppa Italia Juniores alla fine l’ha vinta il Bubbio 8-5: di solito si arriva a 11, ma non abbiamo avuto il coraggio di chiedere perché 8 poteva bastare. Ci avrebbero guardato come una mucca guarda l’autostrada, e avrebbero capito subito che quelli strani lì eravamo noi. E poi non c’era tempo: stavano già servendo gli gnocchi al pesto, e la salamella sfrigolava come se non ci fosse un domani. Pallapugno, sport meraviglioso.
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