De Sanctis: «Lo sport deve essere accessibile a tutti»
Il presidente del Comitato paralimpico: «Servono impianti adeguati, formazione e una nuova cultura: la disabilità è in ogni uomo. Scuole e oratori sono preziosi»

«Sono un uomo che ama costruire, non di certo uno a cui piace solo gestire. È con questo spirito che ho intrapreso il mandato che mi è stato dato». Dal 26 giugno scorso Marco Giunio De Sanctis è il nuovo presidente del Comitato paralimpico italiano (Cip) dopo la guida di Luca Pancalli per un quarto di secolo. Romano, classe 1962, laureato in Giurisprudenza, lo sport è sempre stato di casa nella famiglia De Sanctis. Suo padre è stato presidente della Federazione italiana bocce e arbitro internazionale di pugilato. E sulle orme paterne si è prima distinto nel calcio soprattutto quello giovanile e poi si è affermato nelle bocce (campione nazionale juniores e vincitore del titolo mondiale Under 21) di cui è stato presidente federale fino a pochi mesi fa. Ma il suo “pallino” è sempre stato l’impegno nello sport paralimpico un mondo in cui è protagonista sin dagli anni ’80. Segretario generale e capo missione per numerosi Giochi paralimpici ha contribuito alla trasformazione del Cip in ente pubblico nel 2017: «Pensavo allora di aver esaurito il mio compito. Ma vedevo cose che non andavano come dovevano andare, soprattutto nella promozione e nell’avviamento alla pratica sportiva dei ragazzi con disabilità. E allora mi sono candidato presidente».
Lei lavorava in questo mondo quando ancora il massimo organismo si chiamava Federazione italiana per lo sport degli handicappati…
«Oggi per fortuna c’è una sensibilità diversa nel nostro Paese per tanti fattori. Merito anche dei miei predecessori ma la svolta c’è stata con la trasformazione del Cip come ente pubblico che ha aperto le porte a una maggiore considerazione. Anche se c’è ancora poca informazione sul mondo paralimpico rispetto a quello olimpico. Eppure non dovrebbe esserci nessuna differenza. Sono tutti atleti di eccellenza».
«Oggi per fortuna c’è una sensibilità diversa nel nostro Paese per tanti fattori. Merito anche dei miei predecessori ma la svolta c’è stata con la trasformazione del Cip come ente pubblico che ha aperto le porte a una maggiore considerazione. Anche se c’è ancora poca informazione sul mondo paralimpico rispetto a quello olimpico. Eppure non dovrebbe esserci nessuna differenza. Sono tutti atleti di eccellenza».
Quali sono i temi su cui si sta concentrando di più?
«Stiamo lavorando molto sulla promozione su tutto il territorio nazionale, ridando forza ai comitati regionali. E poi ci stiamo dedicando alla formazione perché abbiamo davvero poche persone competenti di sport paralimpico. Abbiamo creato un Centro studi università e formazione in collaborazione con scuole e atenei italiani. E abbiamo creato figure ad hoc come il disability manager, l’orientatore, l’educatore giovanile e il tutor scolastico: esperti capaci di orientare e sostenere atleti e società. Per i paralimpici l’avviamento alla pratica sportiva è più complicato, spesso è molto difficile poter scegliere una disciplina piuttosto che un’altra. E il nostro impegno deve essere quello di far fare sport a molte più persone con disabilità».
«Stiamo lavorando molto sulla promozione su tutto il territorio nazionale, ridando forza ai comitati regionali. E poi ci stiamo dedicando alla formazione perché abbiamo davvero poche persone competenti di sport paralimpico. Abbiamo creato un Centro studi università e formazione in collaborazione con scuole e atenei italiani. E abbiamo creato figure ad hoc come il disability manager, l’orientatore, l’educatore giovanile e il tutor scolastico: esperti capaci di orientare e sostenere atleti e società. Per i paralimpici l’avviamento alla pratica sportiva è più complicato, spesso è molto difficile poter scegliere una disciplina piuttosto che un’altra. E il nostro impegno deve essere quello di far fare sport a molte più persone con disabilità».
Nella sua agenda c’è anche la volontà di raggiungere il traguardo di 50mila tesserati. È un obiettivo realistico?
«Abbiamo oggi meno di 30mila tesserati, cioè persone che praticano sport a livello ufficiale e continuativo. Ne abbiamo poi un numero imprecisabile che lo fa solo come attività ludica. Dobbiamo essere capaci di raggiungere tutti. Noi siamo di supporto alle Federazioni e Discipline, e, qualche volta, anche alle società sportive, poi spetta al governo intervenire per sostenere le famiglie nell’affrontare i costi spesso ingenti per esercitare un loro diritto: quello di permettere ai loro figli di fare sport».
«Abbiamo oggi meno di 30mila tesserati, cioè persone che praticano sport a livello ufficiale e continuativo. Ne abbiamo poi un numero imprecisabile che lo fa solo come attività ludica. Dobbiamo essere capaci di raggiungere tutti. Noi siamo di supporto alle Federazioni e Discipline, e, qualche volta, anche alle società sportive, poi spetta al governo intervenire per sostenere le famiglie nell’affrontare i costi spesso ingenti per esercitare un loro diritto: quello di permettere ai loro figli di fare sport».
Il suo auspicio è che lo sport paralimpico debba diventare un diritto sociale accessibile a tutti. Ma com’è la situazione degli impianti oggi in Italia?
«L’impiantistica è un punto dolente. La maggior parte delle strutture sportive sono inadeguate in tutto il territorio nazionale, non solo al Sud. Ed è un grave problema che riguarda tutto lo sport, non solo quello paralimpico. C’è bisogno dell’intervento e della collaborazione di tutte le istituzioni a partire dal governo. Sto lavorando a una convenzione con l’Anci per un’azione unitaria almeno tra regioni e comuni».
«L’impiantistica è un punto dolente. La maggior parte delle strutture sportive sono inadeguate in tutto il territorio nazionale, non solo al Sud. Ed è un grave problema che riguarda tutto lo sport, non solo quello paralimpico. C’è bisogno dell’intervento e della collaborazione di tutte le istituzioni a partire dal governo. Sto lavorando a una convenzione con l’Anci per un’azione unitaria almeno tra regioni e comuni».
Nell’opera di promozione dello sport paralimpico ha in mente di coinvolgere anche il mondo degli oratori e il Centro sportivo italiano?
«Mi piacerebbe molto intensificare questo rapporto perché le tematiche sociali e inclusive fanno parte della mission della Chiesa. Così come mi piacerebbe incontrare il Papa. Io poi sono cresciuto in oratorio quindi so bene quanto sia stato decisivo questo luogo per cominciare a fare sport. Purtroppo però anche gli oratori spesso hanno il problema delle barriere architettoniche…».
«Mi piacerebbe molto intensificare questo rapporto perché le tematiche sociali e inclusive fanno parte della mission della Chiesa. Così come mi piacerebbe incontrare il Papa. Io poi sono cresciuto in oratorio quindi so bene quanto sia stato decisivo questo luogo per cominciare a fare sport. Purtroppo però anche gli oratori spesso hanno il problema delle barriere architettoniche…».
Si può dire che oggi c’è una migliore copertura mediatica delle gare paralimpiche?
«Sono molto soddisfatto del rapporto con la Rai. Mi aspetto però di più dalle altre emittenti televisive e anche dalla carta stampata».
«Sono molto soddisfatto del rapporto con la Rai. Mi aspetto però di più dalle altre emittenti televisive e anche dalla carta stampata».
Non crede che uno dei problemi maggiori, che fa torto soprattutto agli atleti paralimpici, sia una certa narrazione pietistica dominante?
«Assolutamente. È un problema culturale, purtroppo lo ripeto da tempo. Non riusciamo ancora a comprendere che la disabilità è insita in ogni uomo. Andando avanti con gli anni avremo tutti problemi di disabilità: è un dato scientifico non lo dico io. E quindi dobbiamo creare un mondo a misura dell’uomo, non del disabile. È una rivoluzione che deve partire anche dalla comunicazione».
«Assolutamente. È un problema culturale, purtroppo lo ripeto da tempo. Non riusciamo ancora a comprendere che la disabilità è insita in ogni uomo. Andando avanti con gli anni avremo tutti problemi di disabilità: è un dato scientifico non lo dico io. E quindi dobbiamo creare un mondo a misura dell’uomo, non del disabile. È una rivoluzione che deve partire anche dalla comunicazione».
Manca ormai poco al grande appuntamento dei Giochi invernali. A che punto siamo con l’organizzazione?
«Siamo un po’ più indietro per il mondo paralimpico, tant’è che c’è un Commissario straordinario che deve gestire la logistica e la sicurezza. Per il nostro mondo è una grande occasione. Speriamo sia un evento agonistico di altissimo livello ma ci auguriamo che provochino anche un cambiamento culturale. Il vero lascito sarà questo: che i Giochi aprano anche il cuore e la mente delle persone».
«Siamo un po’ più indietro per il mondo paralimpico, tant’è che c’è un Commissario straordinario che deve gestire la logistica e la sicurezza. Per il nostro mondo è una grande occasione. Speriamo sia un evento agonistico di altissimo livello ma ci auguriamo che provochino anche un cambiamento culturale. Il vero lascito sarà questo: che i Giochi aprano anche il cuore e la mente delle persone».
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