The Sun: «Con la nostra musica
teniamo acceso lo stupore»

Sabato all’Alcatraz di Milano la presentazione live di “Fuoco dentro”. «Nei nostri pezzi ci sono tutte le grandi domande del nostro tempo. E anche una risposta»
November 25, 2025
The Sun: «Con la nostra musica
teniamo acceso lo stupore»
Il gruppo dei The Sun
Un inno al coraggio, un album manifesto di vitalità. Un invito a rialzarsi, a scegliere, a non smettere di cercare. La colonna sonora di chi sente un sole dentro e vuole custodirlo e farlo splendere. Questo è il nuovo album dei The Sun, Fuoco dentro. Un disco incendiario, che chiama alla rivolta. Ma quella interiore, l’unica che nella storia dell’umanità e di ciascun uomo abbia finora potuto davvero cambiare qualcosa, a partire dal cuore. Un ispirato intreccio di sonorità rock, folk e pop per tredici brani che potrebbero essere altrettanti potenti singoli a comporre un album uniforme e corale, prodotto da La Gloria, etichetta co-fondata con Andrea Marco Ricci proprio da Francesco Lorenzi che dei The Sun è il leader e cantante. Mettendo al centro l’uomo in tutta la sua complessità, il disco (uscirà domenica 30 novembre, all'indomani della presentazione live all'Alcatraz di Milano) apre spesso la porta al passato come luogo di guarigione, come in A 12 anni , uno dei brani più intensi e commoventi.
Francesco, perché questo ricorso alla memoria. Nostalgia di come era?
«Per ricordare a me e a tutti la purezza delle origini, quella fiamma che ci è stata messa nel cuore fin dal principio. Quel fuoco dentro, appunto. La canzone A 12 anni è un racconto di un’età che viene spesso considerata di minore importanza. Ma io oggi sono qui proprio grazie a quei momenti e molto di ciò che sto vivendo lo devo a quel ragazzino che ha saputo di notte uscire a guardare le stelle e chiedersi qual è il significato di tutto, perché ci deve essere un senso più profondo del vivere e per vivere. È quando alziamo lo sguardo che noi possiamo scoprire la bellezza. Ed è quando ci interroghiamo che non ci basta più quello che ci viene presentato. C’è molto di più rispetto a quanto c’è di materiale, che è distraente».
Eppure pare che a molti basti ciò che si tocca con mano, a partire proprio dal touchscreen dello smartphone...
«Invece questo sposta la nostra vera tensione e attenzione, che è naturalmente attirata verso altro di superiore che percepiamo autentico e puro. Per questo c’è profonda insoddisfazione. In questo disco c’è un percorso dentro all’uomo, dentro la persona, dentro le varie fasi della vita. A 12 anni esprime un grande senso di responsabilità verso le nuove generazioni, perché vedo tantissimi ragazzi che a quell’età sono già immersi in un mondo orizzontale dove tutto sembra già finito, provato, consumato. Dove tutto l’interesse è superficiale, non verticale. Bisogna invece tenere accesa quella fiamma interiore, alimentarla. Abbiamo bisogno di guardare quella purezza e quella libertà».
Forse i giovani che vi seguono sono pronti ad accogliere questi messaggi. Ma la stragrande maggioranza dei ragazzi?
«Mi rendo conto che nella musica siamo un granello di sabbia. Quanto ci sarebbe bisogno invece di amplificare un certo tipo di messaggio positivo. Del successo personale a me non importa davvero nulla, non mi interessa la visibilità, ma vorrei che il messaggio arrivasse a tante persone. Invece i The Sun, pur avendo quasi trent’anni di carriera alle spalle compresa la prima fase punk, dopo la svolta del 2009 hanno subito dapprima una targettizzazione e poi una ghettizzazione. Musica cristiana, etichettati sbrigativamente. Senza ascoltarci, senza sentire il nostro rock, senza apprezzare i nostri testi universali. Che contengono tutte le grandi domande dei giovani. Così stavolta abbiamo deciso di presentare il nuovo disco in un tempio della musica giovanile e rock come l’Alcatraz di Milano, perché la nostra musica è universale. Chiama tutti i giovani a interrogarsi e a camminare».
La strada che indicate è un amore non da canzonetta...
«La via dell’amore è un brano emerso dentro di me in modo molto limpido dopo un tempo di analisi, di revisione, di memoria della mia infanzia e adolescenza. Una sintesi di quella pacificazione con parti di noi stessi che dimentichiamo o ignoriamo perché magari qualcuno ci ha detto che non erano così importanti. Invece la via dell’amore è l’unica strada che vale la pena percorrere».
La via del donare, la via del sentire, la via del cantare...
«Sì, così dice la canzone. Ricordo che quando ero bambino sentivo per strada la gente cantare. Ricordo benissimo i miei nonni, i prozii, le persone che andavano a lavorare cantavano. Era vita, era gioia, nella normale quotidianità. Non c’era nessuna spettacolarizzazione della voce, avvertivo una sociale coralità. Sentivo che si esprimevano i sentimenti del cuore. Adesso si è instaurato un gene X Factor in cui prevale la competizione, la prestazione canora. Non la gioia di cantare, ma la tecnica, la bravura nel canto. Ma questo non serve a niente se non c’è il contenuto, cioè la gioia. Noi cantiamo la gioia, il vivere. Il sentimento del vivere. Anche il dolore. Invece ora si comprime la gioia e si crea ansia da prestazione. Perché tutto deve essere finalizzato a un fattore di successo, a un fattore di possibilità. In che razza di mondo stanno crescendo i ragazzi, dove non si sentono liberi di stonare. E non mi riferisco soltanto al canto ma ad ogni tipo di stonatura, cioè di errore, di non riuscita, di relativo e momentaneo fallimento».
Il tema del brano Prigione tra le dita.
«Ciò su cui sto riflettendo di più in questo momento. Se in futuro non ci sarà una presa di posizione ideale e politica, di fronte a noi si profila un disastro perché la tecnologia ha già preso il sopravvento nella direzione delle menti, dei costumi, degli atteggiamenti. Bisogna affrontare il tema della tecnocrazia con grande serietà. Con l’intelligenza artificiale non è più possibile distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è. Viviamo in una società in cui anche un evento straordinario si pensa ormai che sia frutto di un computer e della IA. Si perde così il senso della meraviglia. Si sta minando l’uomo alla radice, nel suo primordiale stupore, che è la culla della gioia e della gratitudine».
In definitiva serve coraggio, come si intitola il primo singolo.
«Il coraggio di pensare e di sentire, fuori dagli schemi e dai condizionamenti. Quante persone oggi e soprattutto domani avranno gli strumenti per comprendere semplicemente il significato di queste canzoni, perché le ho scritte, che cosa vogliono dire davvero? Per quanto mi riguarda sento comunque che è giusto che io scriva queste cose, che le porti avanti. Non possiamo imbrogliarci gli uni gli altri per stare dentro a un sistema. Sentiamo una enorme responsabilità verso i giovani e ringraziamo per il fatto di averne tantissimi che ci seguono e attraverso la nostra attività rinvigoriscono la loro gioventù. Ascoltando Fuoco dentro vorremmo che i giovani rianimassero il loro bambino interiore riaccendendo uno sguardo di stupore».
Come concluderete un anno che vi ha visti impegnati su più fronti?
«Si è trattato di un 2025 davvero giubilare. Abbiamo partecipato a tanti eventi ecclesiali e in estate siamo stati premiati da una giuria internazionale ai Catholic Music Awards come miglior band, miglior canzone e miglior videoclip».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Temi