Marina Viotti: «Nella mia voce la forza della malattia»
La cantante figlia d’arte ha appena pubblicato l’album “Melankholia” simbolo della sua battaglia contro il linfoma di Hodgkin: «La diagnosi nel 2019, prima del debutto alla Scala. Ho dovuto tacere

Ricordate la piratessa che navigava su un veliero sulla Senna alla cerimonia di apertura delle ultime Olimpiadi di Parigi intonando l’Habanera dalla Carmen con il gruppo death metal francese Gojira (brano peraltro nominato ai prossimi Grammy Awards)? Si tratta di Marina Viotti, 38 anni, mezzosoprano tra i più richiesti dai teatri di tutto il mondo, figlia del direttore d’orchestra Marcello Viotti, scomparso nel 2005, e sorella del direttore d’orchestra Lorenzo. Ma lei nella vita è, soprattutto, una vera combattente. L’artista ha appena pubblicato l’album Melankholia – In darkness trough the light che è il simbolo della battaglia personale contro il linfoma di Hodgkin che le è stato diagnosticato pochi mesi prima del suo debutto alla Scala nel 2019. Il disco, pubblicato da Naive, unisce la musica rinascimentale di John Dowland a canzoni pop dagli U2, ai Metallica e Bjork, Neil Young che sono i brani che l’hanno accompagnata durante la chemioterapia. Artista eclettica e con una doppia anima (lirica e rock), in questi anni ha continuato a esibirsi senza mai arrendersi. In darkness through the light” è infatti la storia di una lotta per la vita e contro l’oscurità, che la Viotti, oggi completamente guarita, vuole raccontare (con voce affascinante) anche per superare lo stigma che la malattia porta con sé. In Italia la vedremo a Pavia il 18 gennaio in un recital accompagnata dalla chitarra di Gabriel Bianco.
Signora Viotti, possiamo definire il suo disco una cura per l’anima?
«Far stare bene anche gli altri è il mio proposito. Tutto nasce da un progetto sperimentale nel 2017 per l’Opera di Lucerna, insieme al liutista Vincent Flückiger e al polistrumentista, ingegnere e produttore Fred Chappuis, attraverso la musica malinconica di Dowland con aggiunte di elettronica. Il proposito del concerto Melankholia era di mettere in musica i 5 momenti del lutto: lo stupore, la collera, il dubbio verso Dio, la ricerca della pace, l’accettazione e il raggiungimento della pace».
Come ha unito le ballate rinascimentali ai brani pop nel disco?
«Ho sempre questa voglia di fare scoprire la musica classica a persone che hanno pregiudizi verso di essa. Così ogni brano del compositore rinascimentale è abbinato a un brano di oggi attraverso un tema universale. Sono canzoni che canto da tanti anni, che mi hanno dato pace quando ho perso mio padre e quando ho affrontato il cancro. Per esempio, il tema della morte è rappresentato dalla coppia di brani Born to die di Lana Del Ray e In darkness let me dwell di Dowland, l’amore e le sue illusioni, evocate in One degli U2 come così come in Fairwell, Too Fair di Dowland, la speranza ( Die Not Before Thy Day di Dowland o Jóga di Björk) come la redenzione ( Scorri le mie lacrime di Dowland). Tutti sono ri-arrangiati da me e da altri musicisti amici, con strumenti antichi come l’arciliuto e altri elettronici come il mellotron, la chitarra elettrica, il Moog».
La malattia, però, è la coprotagonista di quest’opera così intensa.
«Ho scoperto di avere un cancro nel 2019, una settimana prima della partenza del tour di Melankholia, ho cancellato tutto, è stato uno choc. Da due mesi stavo male, avevo perso chili, non avevo energia, pensavo di avere bisogno di vitamine. Si è scoperto che avevo un tumore enorme nel torace, forse fatale. La vita mi è cambiata, mi sono messa in modalità guerriera e sono riuscita a guarire. Ma con la radioterapia vicino alle corde vocali non sapevano se avrei potuto continuare a cantare. Dopo 6 mesi di trattamento non avevo fiato, però con un microfono l’unica cosa che potevo cantare erano questi brani. Ho scritto ai ragazzi: voglio mettere qualcosa di più profondo in Melankholia, ho pensato a tutte le persone che stanno vivendo una cosa dura, per esprimere collera e tristezza, ma per trovare alla fine la luce».
Lei ha dovuto nascondere la sua malattia per timore dei pregiudizi?
«La cosa difficile è stato non potere condividere, mentire. Nel mondo dell’opera quando sei debole perdi tutto. Ma nessuno se ne è accorto: ho diradato gli impegni, ho indossato magnifiche parrucche. Non volevo avere l’etichetta della malata. La società è molto dura con la gente malata. Oggi che dopo 5 anni sono guarita ho deciso di parlare per aiutare chi ha un cancro o un grave ma-lattia perché non dobbiamo restare isolati e dobbiamo cambiare le cose».
E lei sulla copertina del disco si mostra con coraggio senza capelli in una foto scattata durante la chemio.
«Questa malattia mi ha cambiato. Per la prima volta ho mostrato anche la mia vulnerabilità, prima volevo mostrare solo la parte che era solare. Invece è forza mostrare la parte più sensibile sublimata dalla musica. E’ una foto bella perché c’è la speranza, lo sguardo è molto forte e determinato, un fiore che nasce. La musica mi ha aiutato a superare e a pensare che c’è una vita anche dopo».
Una vita che l’ha portata anche in mondovisione alle Olimpiadi di Parigi.
«L’esperienza alle Olimpiadi è stata pazzesca. Ero fiera, contenta, onorata di cantare davanti a 2 miliardi di persone l’opera e il metal, due generi che sono due parti di me. A 8 anni già suonavo il flauto traverso, ma a 16 anni ho scoperto il metal, un genere brutale, appassionato ed epico che io ho cantato per 9 anni con un mio gruppo. All’età di 25 anni sono tornata all’opera. Sono curiosa di mondi musicali diversi. Ma anche mio padre era appassionato di artisti come i Genesis e Phil Collins».
Suo padre, il grande maestro Marcello Viotti, morì all’improvviso a soli 51 anni lasciando però una famiglia molto unita tutta dedicata alla musica.
«Mio padre è stato un bravissimo direttore d’orchestra e la cosa più bella che ha lasciato è l’amore della famiglia. Ha portato noi quattro figli sempre con lui, era un padre stupendo. Quando papà è mancato io, che sono la più grande, avevo 18 anni e il più piccolo 10 anni. Da quel momento siamo stati molto più uniti, siamo stati una squadra e anche oggi siamo in contatto tutti i giorni. Mio fratello Lorenzo Viotti mi sta dirigendo sino al 29 dicembre nel Pipistrello di Strauss all’Opera Nazionale di Amsterdam e mi dirigerà a luglio al mio debutto al Festival di Salisburgo nell’Oedipus Rex di Stravinsky con i Wiener Philharmoniker».
In questo suo straordinario viaggio, che posto ha la spiritualità?
«Sono laureata in filosofia e da Nietsche ho imparato a trovare la forza in me stessa, ma essendo nata e cresciuta in una famiglia molto credente, da ragazzina credevo in Dio ed ero vicina a Gesù. Con la morte di mio padre e il cancro credere è un po’ più difficile, ma c’è sempre stato qualcosa che non so spiegare che mi dà pace ed è fuori di me. Io sono molto spirituale anche quando canto e credo che ci sia qualcosa che supera tutto».
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