Gino Cervi e Fernandel, amici-nemici uniti in cucina

I due grandi attori, contrapposti nei film di Don Camillo e Peppone, per vent’anni sono stati inseparabili anche fuori dal set in primis a tavola
September 9, 2025
Gino Cervi e Fernandel, amici-nemici uniti in cucina
WikiCommons | Gino Cervi e Fernandel in una scena de “Il ritorno di Don Camillo” del 1953 per la regia di Julien Duvivier
Per vent’anni Gino Cervi e Fernandel non sono stati soltanto le “maschere” inseparabili di Peppone e don Camillo protagoniste dei cinque film e mezzo (cioè quello incompiuto e mai ritrovato) ispirati ai racconti di Giovannino Guareschi, ma anche “allegri compari”, amici fuori dal set. Si conobbero nel settembre del 1951 a Brescello, tra Parma e Reggio nell’Emilia, proprio durante le riprese della prima avventura cinematografica che racconta del parroco e del sindaco dai caratteri fumantini che litigano tra loro ma sono pronti a far lega per il bene del popolo. Lo stesso Cervi avrebbe voluto interpretare il prete ma, benché «bellino e rotondetto», come scrisse Guareschi ai produttori riportando i commenti che giravano tra la gente della Bassa prima delle riprese, si ritrovò dall’altra parte della barricata, a rappresentare quello che lo scrittore aveva definito nei libri del Mondo Piccolo, «un uomo alto e corpulento, dotato di una grande forza fisica». E per di più, doveva politicamente immedesimarsi in un “rosso trinariciuto”, proprio lui che, di idee liberali, i comunisti non li aveva in simpatia. Fu scelto forse per il focoso temperamento da emiliano verace, di sicuro per la bravura che aveva dimostrato sulle scene, come istrionico interprete al cinema e in teatro di decine di personaggi buoni e cattivi (dal cardinale Lambertini allo “Sciagura” della Lunga notte del ’43), capace dei più diversi registri recitativi, nonché grande improvvisatore.
Comunque, i risultati di quell’accostamento voluto dal regista Julien Duvivier e incoraggiato dai produttori Angelo Rizzoli e Peppino Amato, con l’italiano e il francese entrambi cinquantenni e popolarissimi nei rispettivi Paesi (anche la Francinex di Parigi partecipava all’impresa cinematografica) furono subito sorprendenti. Don Camillo nel 1952 sbancò i botteghini: oltre un miliardo e mezzo di lire. Eppure Fernandel, da fervente cattolico, all’inizio non voleva accettare la parte: «Il Crocifisso parla a un curato in un film comico? Non è serio», confidò al figlio Franck. Poi gli spiegarono il significato di quei dialoghi, lesse i racconti di Guareschi e si convinse senza riserve.
Sin da quel primo ciak i due fecero scintille e nacque un sodalizio artistico e personale che si interruppe solo con la morte dell’attore transalpino, il 26 febbraio del 1971. E quando il marsigliese dovette lasciare, perché già malato, le riprese di Don Camillo e i giovani d’oggi e il regista Christian-Jacque voleva sostituirlo con un altro attore per terminare la pellicola, l’amico bolognese si rifiutò di proseguire, salutò tutti e se ne andò. Sette mesi dopo, ai funerali parigini del compagno d’arte e di bisboccia, mandò una corona di garofani bianchi con un nastro dove stava scritto: “A Fernand, son ami Peppone”.
Gino e Fernand hanno scherzato e gioito insieme parecchie volte, tra libagioni di lambrusco e scorpacciate di parmigiano reggiano nelle pause dei film come al banchetto di nozze di Carlotta, la figlia di Giovannino, di cui furono testimoni, nel ristorante di quest’ultimo a Roncole Verdi: eppure non facevano coppia fissa nel cinema, anche se si ritrovarono fianco a fianco e da protagonisti, in altri tre film brillanti realizzati in co-produzioni italo-francesi, Noi gangster (1959), di Henry Verneuil, Il cambio della guardia (1962) di Giorgio Bianchi e Il Re e il Monsignore (1963), di Pierre Chevalier. Inoltre, vestendo i panni borghesi, si divertirono a girare, in quegli anni d’oro, gli spot per Carosello di un famoso brandy dall’etichetta nera “che crea un’atmosfera”: Fernand con quella faccia cavallina dal sorriso panoramico, la mimica buffa, i tempi comici perfetti e il passo dinoccolato e Gino senza i baffoni d’ordinanza ma con il solito fare gigionesco, la corposa presenza scenica, lo sguardo furbetto e una voce pastosa e vibrante. Si sfottevano amabilmente, richiamando la rivalità a cui avevano dato vita sul grande schermo tra il manesco curato e il burbero primo cittadino.
La stretta relazione artistico-culinaria tra i due artisti è raccontata ora in un libro scritto a quattro mani dal critico cinematografico Domenico Palattella e dal gastronomade Patrice Avella: Fernandel e Gino Cervi. Il cinema, l’amicizia e la buona tavola (Edizioni Foglio Letterario, pagine 368, euro 18,00). Pagine ariose, intriganti, due biografie parallele e aneddoti curiosi (molti dei quali già conosciuti) originalmente “amalgamati”, se così si può dire, dalle ricette dei piatti tipici dei due territori d’origine dei nostri protagonisti, la Provenza e l’Emilia: così si imparano a preparare la bouillabaisse (la zuppa di pesce della Costa Azzurra che Fernandel si faceva portare, cucinata a regola d’arte, sui set all’ora di pranzo, ovunque si trovasse, dalla fedele segretaria Tina), i tortellini in brodo e le lasagne al ragù di culatello che Cervi adorava, e altre ghiottonerie della tradizione francese, come la Tête de veau (testina di vitello) e l’aragosta alla parigina amate dal commissario Maigret, personaggio impersonato da Gino Cervi nella celebre serie televisiva Rai degli anni Settanta. E nel libro non mancano i consigli del sommelier Enrico Porfiri sui vini tipici da accompagnare a tutte queste prelibatezze.
Cinema, cucina e due campioni di simpatia sono gli ingredienti vincenti di un volume che si fa leggere volentieri anche per la varietà degli argomenti trattati. Ma soprattutto perché «l’alchimia della coppia Fernandel-Gino Cervi ebbe, e ancora oggi ha – spiega Palattella nel libro – qualche cosa di magico: migliaia di spettatori ingolfavano i cinema allora, e milioni di spettatori non mancano l’ennesimo passaggio televisivo di quei film, oggi».

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