Giancarlo Governi: storie dei miei amici, anche di TV
Lo storico autore e capostruttura Rai si racconta, anche dalle pagine di "Amici", un'autobiografia che si legge come un diario umano e professionale in cui ripercorre la sua lunga carriera

Giancarlo Governi ha portato anche i cartoni animati in prima serata con “Supergulp”. Memorabili poi i suoi ritratti di Sordi, Totò e papa Wojtyla. Lo storico autore e capostruttura Rai si racconta anche in un libro, “Amici”, in cui, tra ricordi e incontri, ripercorre le sue vicende umane e professionali. Se la divulgazione televisiva dello spettacolo leggero fosse un'arte, allora il migliore artista del genere sarebbe Giancarlo Governi. Romano, trasteverino, con origini senesi, di famiglia contadina. «I miei genitori, i Governi, che sta per governatori di campi e di bestie, arrivarono nella capitale da Castiglione Val d’Orcia».
A 85 anni per far comprendere appieno la portata di quel lavoro, che era e rimane la sua passione, ha scritto un libro confidenziale, Amici (Fazi Editore). Un diario sentimentale in cui, alla Vinicius de Moraes, parte dal postulato esistenziale «la vita amico, è l’arte dell’incontro». Ed è attraverso gli incontri, dagli anonimi amici d’infanzia alle grandi stelle del cinema e della tv, che ripercorre la sua lunga carriera. Lo fa con lo spirito curioso, formatosi sulle lezioni leopardiane del paterno e originale precettore Rino Dal Sasso. «Un uomo coltissimo, Rino, con la casa talmente piena di libri che il padrone che gliel’aveva affittata lo sfrattò perché temeva il crollo del pavimento», racconta l’ex pischello di Trastevere che con i soldi donati da Rino, «al figlio della portiera del palazzo», coltivava una delle due grandi passioni: il cinema. L’altra è la Lazio. «Alla domenica andavamo allo stadio guidati dal “capo ultrà” Cannata dopo esserci radunati al civico 25 di via della Lungara, lì dove era nato Claudio Villa

. Il giovane Governi marciava verso il suo destino: il mondo dello spettacolo d’arte varia. A 10 anni ingresso nel coro delle voci bianche della Cappella Sistina.
Dal coro delle voci bianche della Cappella Sistina al giornalismo
«L’anno giubilare 1950 grazie a quell’ingaggio portavo a casa più lire dello stipendio di papà che faceva il magazziniere al carcere di Regina Coeli. Lì dentro aveva aiutato a far evadere i due futuri Presidenti della Repubblica Saragat e Pertini, reclusi e destinati alla condanna a morte con l’accusa di antifascisti». È uno degli infiniti aneddoti del critico televisivo all’Avanti dove, «la fortuna mia grande compagna di vita, mi fece incontrare l’onorevole Paolicchi. L’unico politico che voleva fare il giornalista per passione, così quando usciva dal Parlamento veniva alla sede dell’Avanti a chiedere di fare il praticante. Lasciò la politica per fare il giornalista e quando fu nominato amministratore delegato della Rai mi chiamò e mi disse che c’era bisogno di gente nuova e preparata come il sottoscritto». Comincia così la lunga stagione dell’autore per tutti i gusti: dalla tv dei ragazzi con il programma cult Supergulp («con l’amico fumettista Bonvi portammo i cartoni in prima serata), passando per Portobello con Enzo Tortora («un intellettuale prestato alla televisione, ucciso ingiustamente dalla malagiustizia») e infine sublime ritrattista dei miti del cinema e della tv che con c’è più. A partire da Totò, riabilitato con Il pianeta Totò come poi fece anche con Renato Rascel. «Con Rascel diventai amico, Totò purtroppo non l’ho mai conosciuto di persona. Il pianeta Totò lo realizzai anche per rendergli giustizia del tanto male che gli avevano fatto i critici. Totò ad ogni stroncatura, pilotata, si chiedeva: “Ma com’è che sto Vice scrive dappertutto contro di me?”. Lo stroncavano per le “totoate”, poi ipocritamente cominciarono a prenderlo seriamente quando fece Uccellacci e uccellini con Pier Paolo Pasolini. Pellicola che si salva solo per l’interpretazione straordinaria di Totò: il suo Frate Ciccillo che parla agli uccelli è il momento più alto del film». Il pianeta Totò aveva stregato il premier di allora, Bettino Craxi. «Gli mandai delle videocassette e così Craxi mi volle vedere nella sua residenza romana, all’Hotel Raphael. Fu un incontro piacevole tra due “garibaldomani” tanto che mi regalò il manifesto “1 milione di fucili per Garibaldi”. Se nel 2010, per il 150° anniversario dello sbarco dei Mille, fosse stato ancora in vita sono sicuro che Craxi mi avrebbe seguito in quella follia, fatta con sei amici, in cui ho ripercorso tutto il viaggio di Garibaldi».
«L’anno giubilare 1950 grazie a quell’ingaggio portavo a casa più lire dello stipendio di papà che faceva il magazziniere al carcere di Regina Coeli. Lì dentro aveva aiutato a far evadere i due futuri Presidenti della Repubblica Saragat e Pertini, reclusi e destinati alla condanna a morte con l’accusa di antifascisti». È uno degli infiniti aneddoti del critico televisivo all’Avanti dove, «la fortuna mia grande compagna di vita, mi fece incontrare l’onorevole Paolicchi. L’unico politico che voleva fare il giornalista per passione, così quando usciva dal Parlamento veniva alla sede dell’Avanti a chiedere di fare il praticante. Lasciò la politica per fare il giornalista e quando fu nominato amministratore delegato della Rai mi chiamò e mi disse che c’era bisogno di gente nuova e preparata come il sottoscritto». Comincia così la lunga stagione dell’autore per tutti i gusti: dalla tv dei ragazzi con il programma cult Supergulp («con l’amico fumettista Bonvi portammo i cartoni in prima serata), passando per Portobello con Enzo Tortora («un intellettuale prestato alla televisione, ucciso ingiustamente dalla malagiustizia») e infine sublime ritrattista dei miti del cinema e della tv che con c’è più. A partire da Totò, riabilitato con Il pianeta Totò come poi fece anche con Renato Rascel. «Con Rascel diventai amico, Totò purtroppo non l’ho mai conosciuto di persona. Il pianeta Totò lo realizzai anche per rendergli giustizia del tanto male che gli avevano fatto i critici. Totò ad ogni stroncatura, pilotata, si chiedeva: “Ma com’è che sto Vice scrive dappertutto contro di me?”. Lo stroncavano per le “totoate”, poi ipocritamente cominciarono a prenderlo seriamente quando fece Uccellacci e uccellini con Pier Paolo Pasolini. Pellicola che si salva solo per l’interpretazione straordinaria di Totò: il suo Frate Ciccillo che parla agli uccelli è il momento più alto del film». Il pianeta Totò aveva stregato il premier di allora, Bettino Craxi. «Gli mandai delle videocassette e così Craxi mi volle vedere nella sua residenza romana, all’Hotel Raphael. Fu un incontro piacevole tra due “garibaldomani” tanto che mi regalò il manifesto “1 milione di fucili per Garibaldi”. Se nel 2010, per il 150° anniversario dello sbarco dei Mille, fosse stato ancora in vita sono sicuro che Craxi mi avrebbe seguito in quella follia, fatta con sei amici, in cui ho ripercorso tutto il viaggio di Garibaldi».
Dopo la passione per Totò, l'amicizia con Alberto Sordi e la scoperta di Roberto Benigni
Ma gli incontri che gli hanno cambiato davvero la vita sono stati quelli con due mattatori assoluti: «Anna Magnani, che per me è stata la più grande attrice del mondo e Alberto Sordi che collaborò attivamente alla docuserie che feci su di lui, Storia di un italiano. Alberto è stato un fratello, attore geniale, completo, capace di far ridere, piangere e riflettere. Pensate a Finchè c’è guerra c’è speranza. Attualissimo, con quei mercanti di morte dei venditori di armi, e all’interno della storia c’è un processo alla famiglia che in nome del denaro ha perso tutti i valori. Una lezione di etica da gigante del cinema che ha vissuto per il cinema. Al posto dei figli Sordi aveva scelto i film. Alberto è la persona che mi manca di più». Governi invece a volte incontra ancora il suo «Oscar privato», Roberto Benigni, di cui, «per stessa ammissione di Roberto », è stato il vero scopritore. «L’avevo visto recitare al Teatro Alberico affianco all’amica Lucia Poli e qualche sera dopo Roberto mi invita all’Alberichino dove portava in scena Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. In platea eravamo in due, io e mia moglie Rossana. Roberto dice: “Tranquilli, io lo spettacolo lo fo anche con tutte le sedie vuote”. Infatti lo fa e capiamo subito di trovarci davanti a un genio. Il giorno dopo lo presento a quell’altro genio di Massimo Fichera, il primo storico direttore di Rai2 che mi dice: “Scritturiamolo intanto, poi con calma vediamo di inserirlo in qualche programma”. All’ufficio scritture squadrano Benigni dalla testa ai piedi, osservano con quel suo abbigliamento alla Chaplin, pantaloni con il cavallo al ginocchio, capelli arruffati... Insomma, sprezzanti, gli offrono una paga ridicola da comparsata. Mi metto a litigare per difendere la sua dignità di artista ma Roberto mi ferma e fa: “Giancarlo buono, io accetto questa offerta perché sono un morto di fame, ma un giorno questi signori mi correranno dietro e mi daranno tutto quello che gli chiederò!”».
Ma gli incontri che gli hanno cambiato davvero la vita sono stati quelli con due mattatori assoluti: «Anna Magnani, che per me è stata la più grande attrice del mondo e Alberto Sordi che collaborò attivamente alla docuserie che feci su di lui, Storia di un italiano. Alberto è stato un fratello, attore geniale, completo, capace di far ridere, piangere e riflettere. Pensate a Finchè c’è guerra c’è speranza. Attualissimo, con quei mercanti di morte dei venditori di armi, e all’interno della storia c’è un processo alla famiglia che in nome del denaro ha perso tutti i valori. Una lezione di etica da gigante del cinema che ha vissuto per il cinema. Al posto dei figli Sordi aveva scelto i film. Alberto è la persona che mi manca di più». Governi invece a volte incontra ancora il suo «Oscar privato», Roberto Benigni, di cui, «per stessa ammissione di Roberto », è stato il vero scopritore. «L’avevo visto recitare al Teatro Alberico affianco all’amica Lucia Poli e qualche sera dopo Roberto mi invita all’Alberichino dove portava in scena Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. In platea eravamo in due, io e mia moglie Rossana. Roberto dice: “Tranquilli, io lo spettacolo lo fo anche con tutte le sedie vuote”. Infatti lo fa e capiamo subito di trovarci davanti a un genio. Il giorno dopo lo presento a quell’altro genio di Massimo Fichera, il primo storico direttore di Rai2 che mi dice: “Scritturiamolo intanto, poi con calma vediamo di inserirlo in qualche programma”. All’ufficio scritture squadrano Benigni dalla testa ai piedi, osservano con quel suo abbigliamento alla Chaplin, pantaloni con il cavallo al ginocchio, capelli arruffati... Insomma, sprezzanti, gli offrono una paga ridicola da comparsata. Mi metto a litigare per difendere la sua dignità di artista ma Roberto mi ferma e fa: “Giancarlo buono, io accetto questa offerta perché sono un morto di fame, ma un giorno questi signori mi correranno dietro e mi daranno tutto quello che gli chiederò!”».
In Vaticano e a Lourdes e "grazie a Fellini" quell'incontro con papa Francesco
Profetico Benigni, quasi mistico come i programmi sugli uomini e i luoghi di fede realizzati con Filippo Anastasi. «Anastasi mi ha riportato in chiesa, alla Grotta di Lourdes e in Vaticano mi ha aperto una porta importante, quella del portavoce di papa Wojtyla, Navarro Valls. Quando giravamo il documentario In viaggio con un Santo Valls mi chiese: “Lei è un credente?” Io gli risposi: sono un laico che cerca. Allora Valls mi spiazzò dicendo: «Chi ricerca, ha già trovato». Nel mio cammino poi ho trovato anche papa Francesco. Accompagnai Francesca, la nipote di Federico Fellini, in Vaticano per presentare la versione restaurata de La strada, il film che più ha segnato la giovinezza di papa Francesco. Una ventina di persone in sala e il Papa non c’era. Ma alla fine della proiezione, mentre sto spiegando il film, si apre una porta e vedo una sagoma bianca che avanza. Era papa Francesco, si siede in prima fila e dice sorridente: “Continua, parla, parla che ti ascolto”... un tonfo al cuore. Beh, adesso caro papa Francesco, sono io che voglio ascoltarla ancora».
Profetico Benigni, quasi mistico come i programmi sugli uomini e i luoghi di fede realizzati con Filippo Anastasi. «Anastasi mi ha riportato in chiesa, alla Grotta di Lourdes e in Vaticano mi ha aperto una porta importante, quella del portavoce di papa Wojtyla, Navarro Valls. Quando giravamo il documentario In viaggio con un Santo Valls mi chiese: “Lei è un credente?” Io gli risposi: sono un laico che cerca. Allora Valls mi spiazzò dicendo: «Chi ricerca, ha già trovato». Nel mio cammino poi ho trovato anche papa Francesco. Accompagnai Francesca, la nipote di Federico Fellini, in Vaticano per presentare la versione restaurata de La strada, il film che più ha segnato la giovinezza di papa Francesco. Una ventina di persone in sala e il Papa non c’era. Ma alla fine della proiezione, mentre sto spiegando il film, si apre una porta e vedo una sagoma bianca che avanza. Era papa Francesco, si siede in prima fila e dice sorridente: “Continua, parla, parla che ti ascolto”... un tonfo al cuore. Beh, adesso caro papa Francesco, sono io che voglio ascoltarla ancora».
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