Droga e violenza: dalla Serbia un film denuncia

Al Tertio Millennio Film Festival "Our father" di Goran Stankovic si ispira a un fatto di sangue reale avvenuto di una comunità di recupero religiosa
November 8, 2025
Droga e violenza: dalla Serbia un film denuncia
Una scena del film "Our father" del regista serbo Goran Stankovic
Una comunità di recupero della Chiesa ortodossa, un gruppo di giovani in cerca di salvezza e un monaco dai metodi estremi. Fu un caso doloroso che sconvolse la Serbia nel 2009: un video, girato di nascosto con un cellulare, mostrava un ragazzo picchiato brutalmente con una pala in un centro di riabilitazione gestito da un sacerdote ortodosso Branislav Peranovic. Quel filmato, diffuso in rete, fece il giro del Paese e scatenò un dibattito profondo sul rapporto tra fede, potere e cura delle dipendenze. Il sacerdote fu spostato, ma aprì un altro centro di riabilitazione e nel 2012 fu condannato a 20 anni di carcere dichiarato colpevole di omicidio per avere picchiato a morte un tossicodipendente della sua comunità. A questa vicenda si ispira Our Father (Padre nostro), il primo lungometraggio del regista serbo Goran Stankovic, che verrà presentato oggi in concorso al Tertio Millennio Film Festival promosso dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e che si concluderà domani, première italiana dopo il successo al Toronto Film Festival.
Il film, prodotto dalla serba This and That racconta la storia di Dejan, trentaduenne intrappolato nella spirale della droga, che arriva in una comunità monastica isolata per disintossicarsi. A guidarla è Padre Branko, un religioso carismatico e autoritario che crede nella disciplina e nella sofferenza come strumenti di redenzione. «Devi imparare a portare la tua croce — dice ai suoi ragazzi — non ci sono scorciatoie». Ma quando un video rivela la violenza dei metodi usati, la fragile illusione della guarigione si infrange e Dejan è costretto a scegliere tra proteggere il sistema che gli ha dato uno scopo o affrontare la verità.
Stankovic, noto in patria per una serie televisiva di successo, si è calato in un racconto claustrofobico che scava nelle dinamiche di potere e manipolazione psicologica all’interno di comunità chiuse. «Questa storia — spiega — è ispirata a un fatto realmente accaduto. All’inizio pensavo fosse solo un’isteria mediatica. Poi ho incontrato uno degli ex pazienti e ho capito che dietro c’era un mondo di persone senza scopo, senza più forza o volontà di cambiare. Il monastero per loro era l’unico rifugio possibile». Nel film il regista esplora quella sottile linea che separa la fede autentica dal fanatismo, la disciplina dall’abuso. «Ogni struttura che reprime il pensiero individuale e pretende obbedienza assoluta - osserva - rischia di trasformarsi in autocrazia. Anche quando nasce con buone intenzioni. E l’autocrazia, per quanto sembri guidata da ideali spirituali, finisce sempre per distruggere chi la vive».
Il regista ha incontrato alcuni degli ex ospiti del vero monastero: «Erano divisi - racconta - alcuni difendevano ancora il sacerdote, non credevano fosse colpevole. Altri erano pieni di paura. Ho capito che non era una vicenda in bianco e nero, ma piena di sfumature. Ho cercato di raccontare proprio questo: come la fede può diventare una trappola quando viene confusa con il controllo. Come si arriva a pensare che picchiare qualcuno sia la cosa giusta da fare per salvarlo?».
Il film, in realtà, è una riflessione più ampia sulla società e sull’autoritarismo, non solo religioso. «Non voglio giudicare il sacerdote o i centri di riabilitazione - precisa Stankovic - ma mostrare la complessità della vicenda. Ed allargarla alla società in generale. È un avvertimento: quando una comunità si fonda sulla paura bisogna stare attenti alle conseguenze. Non è solo un problema serbo: può accadere ovunque».
Padre Branko, nel film, è duro ma carismatico. All’inizio invita i drogati a fidarsi del perdono e dell’amore di Dio, cita la Bibbia, guida la preghiera. Poi però il suo metodo degenera: punizioni fisiche, sudditanza psicologica, obbedienza cieca. Un afflato spirituale che si spezza contro la violenza quotidiana.
Ma come si pone Stankovic nei confronti della religione? Il regista non si nasconde. «La Chiesa ortodossa è un’istituzione molto forte in Serbia, come in Russia, strettamente legata al potere politico. Io sono cresciuto in una società dove la fede è parte integrante della vita: si celebrano i riti, la famiglia si riunisce, ci si sposa in chiesa. Personalmente, però, sono molto critico verso l’istituzione, proprio perché sono un credente». Non un rifiuto, piuttosto una richiesta di autenticità. «Non è un film contro la fede - sottolinea - ma un invito alla Chiesa a essere più vicina alle persone. Perché voglio farne parte, perché voglio vivere in un luogo migliore e aprire al dialogo. Il dialogo è l’unica strada per la verità».
Nel film, come nella realtà, emerge anche una domanda urgente: come si curano davvero le dipendenze? «È impossibile semplificare il problema - spiega Stankovic -. In molti di quei centri si tende a trattare solo le conseguenze, non le cause. Si dice: smetti di drogarti, ritrova Dio e sarai salvo. Ma non basta. Il vero problema è la mancanza d’amore. Queste persone devono essere riaccolte nella società, sentire di nuovo che valgono qualcosa. Finché resteranno escluse, la droga continuerà a riempire il loro vuoto. Siamo noi i primi che dobbiamo imparare ad accogliere».
Our Father è una coproduzione internazionale tra Serbia, Italia, Croazia, Montenegro, Bosnia e Macedonia del Nord, e Stankovic riconosce il ruolo fondamentale del sostegno italiano. Non a caso, collega idealmente il suo lavoro alla serie SanPa su San Patrignano: «Anche lì si parla di fede, disciplina e redenzione - osserva -. Il mondo delle dipendenze è molto difficile, il lavoro di chi cura queste persone è complesso ed occorre equilibrio nel raccontarlo».
Con uno sguardo lucido e compassionevole, Stankovic firma un film che interroga la coscienza, ricordando che la fede autentica nasce solo dove c’è libertà. E che la redenzione, per essere vera, non può mai passare per la violenza.

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