Così Eduardo salvò i ragazzi di Nisida
A Venezia convince il film “La salita”, debutto alla regia dell’attore Massimiliano Gallo, al Lido per le Giornate degli Autori: «Omaggio a De Filippo che portò il teatro nel carcere minorile»

La maturità fa bene a Massimiliano Gallo, che non è solo un grande attore dalla solida base teatrale, come ha imparato a riconoscere anche il grande pubblico televisivo nelle fiction I bastardi di Pizzofalcone, Imma Tataranni o Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso. Dopo una lunga carriera cinematografica, diretto da registi come Paolo Sorrentino, Ferzan Ozpetek e Alessandro Gassman, è arrivato anche per lui il tempo di passare dietro la macchina da presa. E per il suo debutto cinematografico ha scelto un progetto di senso, La salita, accolto ieri da applausi calorosi alla Mostra del Cinema di Venezia alle Giornate degli Autori. Una produzione Panamafilm, F.A.N. con Rai Cinema che uscirà nelle sale nei primi mesi dell’anno prossimo.
Gallo è attore serio, persona ironica e perbene e questo film rispecchia la sua personalità, nella tematica e nel tono scelto per raccontare una storia poco nota nella vita di Eduardo De Filippo. La salita ci restituisce un’”altra Nisida”, ben lontana dall'immaginario di Mare fuori ma egualmente attuale nel suo sguardo sul carcere.
Siamo a Napoli nel 1983. A causa di alcune lesioni dovute al bradisismo il carcere femminile di Pozzuoli viene chiuso e le detenute smistate provvisoriamente in altre strutture penitenziarie della Regione. Alcune di queste vengono momentaneamente ospitate presso il Carcere minorile di Nisida, che all’epoca è solo maschile. In quello stesso periodo Eduardo De Filippo, nominato senatore a vita, sorprende Palazzo Madama facendo un discorso di insediamento tutto orientato a favore dei ragazzini reclusi nel carcere minorile di Nisida e nel Filangieri. Va più volte in visita a Nisida, contribuisce alla ristrutturazione del Teatro del carcere, disegnandone la nuova struttura di suo pugno. Impianta nel carcere una scuola di scenotecnica e una di recitazione, invia gli attori della sua compagnia per mettere in scena quello che sarà il primo spettacolo teatrale in un istituto penitenziario minorile italiano.
Da queste due storie vere, e dall’incontro fra un giovane detenuto di Nisida (Alfredo Francesco Cossu) e una affascinante detenuta per camorra del femminile di Pozzuoli (Roberta Caronia), che vivono insieme per la prima volta l’esperienza del teatro, prende le mosse questo film, che mescola realtà e fantasia fra le mura del carcere minorile di una Napoli di 40 anni fa. Quella di Eduardo fu soprattutto uno dei primi esperimenti in Italia di spettacolo teatrale organizzato facendo recitare insieme detenuti e attori professionisti. Commovente il mattatore Mariano Rigillo, che indossa con misura e credibilità i panni di Eduardo De Filippo, quando ripete le parole vere del Maestro ai giovani detenuti: «Ognuno può fare la sua strada. Quando voi uscirete di qua, voi non volete, non dovete stare qua, vi supplico non vi fate riportare alla vita criminale di prima, non permettete a nessuno di rovinarvi la vita e se non trovate qualcuno che vi aiuta, figli miei, aiutatevi da voi». E poi il film è un grande omaggio a Eduardo, e alla sua grande umanità. Da non perdere i titoli di coda dove scorre il raro materiale di repertorio in cui il grande drammaturgo parla ai ragazzi all’interno de carcere di Nisida
I giovani protagonisti tanto pieni di vitalità quanto abbandonati a se stessi, cederanno alla violenza o riusciranno a salvarsi? Ci fanno sorridere i ragazzi e le detenute alle prese con il teatro di rivista guidati da un ironico Carlo Croccolo (Maurizio Casagrande), bonariamente vegliati dall’agente Giovanni (Antonio Milo), dal direttore del carcere (Gianfelice Imparato) e dalla comprensiva professoressa Maria (Shalana Santana). Ma non manca la tensione e nell’ultima parte del film Gallo riesce a sparigliare le carte con un “coup de theatre” capace di toccarci il cuore. Non c’è cattiveria in questo film, piuttosto commozione e speranza: La salita vuole tenere fuori dalle sbarre il male, che è pure è sempre lì in agguato. E fa da contrappunto come una preghiera la colonna sonora originale del grande Enzo Avitabile che comprende anche un paio di brani di Alfonso Maria De’ Liguori, Fermarono i cieli e Gesù mio con dure funi oltre al suo Pate nuosto.
«All’inizio avevo detto di no a questa proposta nata da Panama, ma poi ho accettato – spiega Gallo - Per il mio debutto alla regia volevo avere la piena consapevolezza di quello che stessi facendo. Volevo avere la capacità e la forza di raccontare la storia con il mio sguardo, dal mio punto di vista. Spero di esserci riuscito». Tanti i motivi personali per il neoregista: «Probabilmente perché è una storia che mi appartiene, che racconta il vincolo, la speranza di alcuni ragazzi e la voglia di riscattare la propria vita. E poi, perché racconta di Eduardo De Filippo e del suo impegno con i ragazzi di Nisida. E’ una storia che rende omaggio al teatro e al suo potere salvifico. E’ una storia che in pochi conoscono e per questo andava raccontata» aggiunge Gallo che è anche sceneggiatore insieme all’autore del soggetto Riccardo Brun, insieme al quale ha condiviso esperienze e laboratori di scrittura all’interno del carcere di Nisida.
«Ci siamo resi conto - aggiunge Brun - che a questi ragazzini bisogna offrire una possibilità di scelta, e far in modo che possano vedere anche una strada diversa oltre a quella apparentemente già tracciata per loro. Altrimenti li staremo abbandonando alla strada». La sfida dell’autore e del regista è stata, spiegano, quella di scrivere un film che avesse «da un lato un sguardo poetico pur se legato alla realtà e all’altro lato il tono allegro, scanzonato e motivazionale di una comunità che si unisce e che fra mille difficoltà lavora insieme per il raggiungimento di un obiettivo».
Gallo aggiunge: «Il cliché è una cosa che io non amo, adesso quando si parla di delinquenza c’è l’equazione Gomorra, Mare Fuori. Noi raccontiamo altro. Non mi interessava raccontare quello, neanche raccontare le dinamiche del carcere. Mi interessava semplicemente raccontare come all’interno anche di una comunità complicata come un carcere può nascere bellezza. Che i ragazzi sono uguali ad altri ragazzi e non hanno bisogno di cliché. Hanno fatto delle scelte sbagliate che io non debbo giudicare, voglio solo sapere se possono avere un’altra possibilità. E secondo me l’arte e la bellezza sono gli unici elementi che ancora possono salvare».
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