Addio Robert Redford, Hollywood in lutto
L'affascinante star del grande schermo diventato regista premio Oscar è morto martedì mattina presto nella sua casa nello Utah. Aveva 89 anni

Bello con l’anima, per brevità chiamato Robert Redford. A 89 anni è volata via una stella di prima grandezza del cinema del ‘900 che è stato anche una cometa luminosa di questo terzo millennio. Volto e bulbo (biondo) scolpiti, portamento e stile elegante. Mai volgare anche quando interpreta il ricco miliardario che desidera la moglie d’altri in Proposta indecente. Un signore inarrivabile, nella vita come sullo schermo, dove è stato tutto e tutti e sempre irresistibile, avventuroso, algido, passionale. Ai registi e ai suoi compagni di scena, che lo piangono, dava sicurezza e allo spettatore ha regalato fino all’ultimo film (Le nostre anime di notte, 2017, Leone d’oro alla carriera a Venezia con Jane Fonda) scampoli di eternità. «Pensavamo fosse eterno», è il commento a caldo alla notizia della sua scomparsa che rimbalza da Santa Monica, la città dove era nato nel 1936, fino a noi tutti, che da oggi siamo il nuovo partito veramente democratico dei “senzaRedford” . Un partito che dovrebbe far paura persino al “forrest” Trump e a quell’America culturalmente in regressione che forse non conosce a fondo quelle decine di perle di celluloide che ora giustificano più che mai quel senso di eternità che l’attore e regista Redford ci ha lasciato. È stato un lungo viaggio quello che il giovane Robert ha fatto nel fantastico mondo del cinema. Nell’universo favoloso di Hoolywod, il ragazzo cresciuto in una famiglia cattolica di origine irlandese c’era entrato In punta di piedi. Titolo anche del suo film d’esordio, nel 1960, in cui i protagonisti erano Anthony Perkins e Jane Fonda e il ragazzo di Santa Monica non era neppure accreditato. Il vero debutto fu nel ‘62 in Caccia di guerra, di Denis Sanders, in cui appare per la prima volta come attore anche il suo amico e futuro cineasta Sydney Pollack. Ma il battesimo con il grande pubblico, in cui la critica comincia ad accorgersi seriamente di questo giovane biondo etereo che buca il grande schermo è ne La caccia di Arthur Penn, in cui nei panni del fuggiasco Bubber Reeves, evaso dal carcere, deve fare i conti con il “mito”, Marlon Brando, lo sceriffo Calder. Qui si assiste a un ideale passaggio di consegna tra i belli più amati d’America. Era l’America del 1966, l’anno in cui Sidney Pollack dopo la gavetta da regista televisivo osa con la sua seconda regia cinematografica girando Questa ragazza è di tutti in cui offre la parte del protagonista all’amico Robert in coppia con Natalie Wood. Coppia che faceva sognare gli spettatori romantici, quanto Redford e Jane Fonda nella trasposizione cinematografica di A piedi nudi nel parco di Neil Saimon. Ma è nel ’69 che tutti, pubblico e critici, rimarranno letteralmente spiazzati dalla forza dirompente della “strana coppia”: Butch Cassidy e Sundance Kid, alias Paul Newman e Robert Redford. È l’inizio di una brevissima ma fortunata collaborazione, ma soprattutto di un’amicizia che durerà tutta la vita. Tra Paul e Robert ci sono quasi dieci anni di differenza (Newman è del 1925), ma una serie di affinità elettive che hanno coltivato passando da un tavolo di ping pong (storica la foto che li ritrae a giocare durante una pausa dalle riprese) a tutte le campagne solidali possibili di un Paese in cui allora pensava no uniti che contasse ancora il pensiero. Con la straordinaria prova ne La Stangata, diretti ancora da George Roy Hill che incassa ben 7 Oscar, la coppia si scioglie, ma solo sul set, perché erano rimasti fermi a quel tempo scanzonato e squattrinato, quando l’aspirante attore Redford - non accreditato nel film Lo spaccone (1961) - cercava un buco di appartamento a New York e chiese al già grande attore Paul Newman di scrivergli una lettera di raccomandazione. La risposta esilarante a quella lettera di supplica, lo schivo Redford la rese pubblica solo il giorno della serata celebrativa in memoria di Newman: «Paul mi rispose, ma chi può interessare? Il signor Robert Redford mi deve 120 dollari da oltre tre anni. Non accetterà il suo obbligo nemmeno sotto minaccia di perdere amicizia, onore o lealtà. In coscienza, non posso raccomandarlo per nulla». Risate scroscianti del pubblico in sala, le stesse risate che Paul e Robert sono riusciti a fare insieme, lasciandosi con l’unico rimpianto di non aver realizzato un altro film alla Butch & Kid, quello che per Steven Spielberg era e resterà il «buddy movie per antonomasia». Memorabile Redford, con Newman e Khatarine Ross nella sequenza in bicicletta accompagnata dal brano Raindrops Keep Fallin' on My Head musicato da Burt Bacharach e fischiettato dalla meglio gioventù degli anni ’70 fino. Gli anni della consacrazione di Redford che nello stesso periodo in cui lavora ai due film con l’amico Paul gira Corvo rosso non avrai il mio scalpo! (1972) di Sydney Pollack, Il candidato (1972) di Michael Ritchie e la più romantica e nostalgica delle commedie sentimentali Come eravamo. Film del ‘73, sempre di Pollack, anche questo impreziosito dall’interpretazione di Barbra Streisand che canta la struggente The way we were. Non è ancora passata l’onda emotiva di Come eravamo che l’irriducibile Redford veste i panni del re dei dandy, Il grande Gatsby e poi si getta nell’impresa di far palpitare l’America con I tre giorni del Condor - film che ha appena compiuto 50’ anni - e Tutti gli uomini del presidente (1976) di Alan J. Pakula: in coppia con Dustin Hoffman sono i due giornalisti d’assalto del “Washington Post” (Woodward e Bernstein) che scoperchiarono lo “scandalo Watergate”. Redford apre il nuovo decennio, gli anni ’80, quelli del Presidente-attore Ronald Reagan nelle nuove vesti di regista e con Gente comune con cui vince il primo dei suoi due Oscar, l’altro sarà quello onorario che l’Academy gli assegnò nel 2002. Un po’ poco per un gigante di Hollywood che l’unica candidatura come attore protagonista la ottenne per la La stangata. Anche per questa mancanza di meritocrazia nel 1981 con Pollack nel festival dedicato al suo Sundance Kid fonda il Sundance Institute, organizzazione no-profit per finanziare i nuovi talenti: Quentin Tarantino, Jim Jarmusch e Steven Soderbergh, sono solo alcuni dei giovani che Redford ha sempre sostenuto con spirito paterno. Un padrino artistico lo è stato anche per Brad Pitt che ha affiancato e diretto in In mezzo scorre il fiume. Con Leonardo DiCaprio ha solo condiviso a distanza di tempo il ruolo di Jay Gatsby, ma con tutto il rispetto per i due stelloni della Hollywood odierna, un Pitt e un DiCaprio assieme non fanno un Redford. Perché il bello con l’anima è stato molto di più di una star. È stato un amante impareggiabile come ne La mia africa ma anche un combattente per i diritti umani e la salvaguardia dell’ambiente fin dai tempi in cui girava Milagro. E prima di essere L’Uomo che sussurrava ai cavalli ha sussurrato, pacatamente, alle coscienze di tutti i presidenti della Casa Bianca che si sono succeduti. Ma l’unico potente della terra che lo ha realmente ascoltato è stato papa Francesco che ringraziò scrivendogli: «Il messaggio tempestivo del Papa per un maggiore dialogo e meno discordia, rispetto della vita in tutte le sue fasi e un appello a proteggere la nostra casa in comune è impossibile da ignorare. A volte è necessario un amico per dire la verità. C’è voluto qualcuno da fuori degli Usa per venire a ricordarci chi siamo e chi dovremmo essere». E oggi, quell’America in cui Redford è nato e per cui ha sempre pacificamente lottato, dovrebbe ricordarlo come lui fece con l’amico Newman: «La mia vita, e quella di questa nazione, è stata migliore grazie a lui».
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