Un inibitore contro l'ischemia cerebrale

​La proteina denominata MKK7 ha un ruolo importante nel determinare la morte dei neuroni a seguito di un attacco ischemico cerebrale. Dopo la scoperta si lavora per passare alla sperimentazione clinic
October 19, 2015
Il cervello, come ogni altro organo del corpo umano, ha bisogno di nutrimento e ossigeno per funzionare. Tali sostanze vengono trasportate attraverso i vasi sanguigni e, quando il flusso sanguigno diretto al cervello è bloccato, si verifica un'ischemia cerebrale. Questa genera la progressiva morte dei neuroni. La proteina denominata MKK7 ha un ruolo importante nel determinare la morte dei neuroni a seguito di un attacco ischemico cerebrale. Un gruppo di ricercatori diretti da Tiziana Borsello dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri / Dipartimento di farmacologia e scienze biomediche dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con il team di ricerca guidato da Alessandro Vercelli direttore del NICO, Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi - Università degli Studi di Torino, ha sintetizzato un inibitore specifico, denominato GADD45Beta, della proteina MKK7. Grazie a GADD45Beta, il cui effetto protettivo funziona anche sei ore dopo l’infarto cerebrale, il danno può essere ridotto del 50%. Attualmente non ci sono trattamenti farmacologici approvati per il trattamento dell’ictus ad eccezione dell’Attivatore tissutale del plasminogeno (rT-PA) che ha caratteristiche che ne limitano l’efficacia, quindi il nuovo composto rappresenta una buon risultato ed è importante sottolineare che anche 6 ore dopo l’infarto protegge sempre il danno al 50%” – commenta Tiziana Borsello, Responsabile del Laboratorio di Morte Neuronale e Neuroprotezione dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. Con le dovute verifiche, passando per la sperimentazione clinica – conclude Alessandro Vercelli direttore del NICO, Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi dell’Università di Torino – questa potrebbe rappresentare una prospettiva nuova, in grado di ridurre significativamente i volumi d'infarto cerebrale e di conseguenza anche i deficit, con maggiori possibilità di recupero”.

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