venerdì 15 ottobre 2021
Due studi di Jossa e Marguerat fanno il punto sulla diatriba tra il “Cristo della storia” e il “Cristo della fede”. «Anche lo storico più scettico dovrà convenire che la sua vita ha cambiato il mondo»
Miniatura raffigurante Gesù affamato che cerca i frutti su di un albero di fico nel “Codice De Predis” (1476)

Miniatura raffigurante Gesù affamato che cerca i frutti su di un albero di fico nel “Codice De Predis” (1476) - archivio

COMMENTA E CONDIVIDI

«Noi conosciamo Gesù solamente attraverso l’immagine che si fecero di lui i suoi discepoli»: così lo storico Henri-Irenée Marrou, che poi aggiungeva: «La ragione storica si pone sul piano del possibile, del (più o meno) probabile; essa ci propone testimonianze alle quali niente ci impedisce di credere e che abbiamo anzi buoni motivi di accettare. L’analisi critica, per penetrante che sia, non potrà mai giungere ad ammettere la realtà del passato ove non intervenga la volontà di credere, di prestar fede alle testimonianze dei documenti».

Il brano fa parte del citatissimo saggio La conoscenza storica, uno dei testi fondamentali sul mestiere dello storico, e per quanto riguarda la vicenda terrena del Nazareno pare attribuire una validità al criterio della coerenza delle parole di Gesù. Il passo è riportato da Giorgio Jossa nel suo recente studio Quale Gesù (Paideia, pagine 170, euro 18,00) a proposito della diatriba fra storici e filologi.

Per il docente di Storia della Chiesa antica all’Università Federico II di Napoli, lo storico ha un diverso atteggiamento riguardo all’autenticità, consapevole che la critica filologica per quanto accurata non potrà mai essere la prova decisiva della autenticità di un detto o di un fatto: «Una filologia fine a se stessa, priva di senso storico e di un minimo di fiducia nelle fonti, si condanna fatalmente allo scetticismo».

Come si può applicare questo discorso di metodo alla critica storica della vita e delle parole di Cristo? La discussione avviata soprattutto nel ’900 a proposito del “Gesù della storia” e del “Cristo della fede”, che ha visto numerosi esegeti operare una crescente differenziazione e altri invece negare ogni separazione, è ancora in corso.

Il saggio di Jossa intende fare il punto prendendo in esame in particolare la cosiddetta “terza ricerca” sul Gesù storico, dopo la prima avanzata dalla teologia liberale del XIX secolo e la seconda sviluppata da Rudolf Bultmann e discepoli nel XX secolo. La “terza ricerca”, caratterizzata dall’ampio riconoscimento dell’ebraicità di Gesù, si sarebbe messa alle spalle ogni ipoteca confessionale e sarebbe più convincente perché non teologica ma solo storiografica. Ma Jossa ne dubita ed è convinto che anche i suoi esponenti rimangano ancorati a uno schema legato alla teologia neotestamentaria.

Prendendo in esame la monumentale opera del grande biblista americano John P. Meier e gli studi di James D.G. Dunn e Ed P. Sanders, egli ne sottolinea i meriti ma anche le lacune. Respinge l’ipotesi di Gesù come profeta della restaurazione escatologica del popolo di Israele che pare fatta propria da Sanders, così come quella di Meier che vede in Gesù un fedelissimo discepolo di Giovanni e un maestro della legge. E anche la visione di Dunn del Jesus remembered (il Gesù che emerge dai Vangeli è quello che i discepoli ricordavano) non lo persuade: l’approccio confessionale gli pare prevalere su quello storico.

Chi scrive non è un esegeta e lascia agli studiosi competenti il giudizio sulle affermazioni di Jossa, che ribadisce come la sua analisi cerchi di essere “laica” e non condizionata dalla fede. Il saggio è utile perché ricostruisce gli approdi più convincenti degli studi su Gesù, dall’ipotesi delle due fonti oggi accettata dalla maggior parte degli studiosi all’eliminazione di ogni traccia dell’antico antigiudaismo della ricerca.

Qui è opportuno segnalare un altro contributo da poco uscito in libreria: ne è autore l’esegeta svizzero Daniel Marguerat. In Gesù di Nazareth. Vita e destino (Claudiana, pagine 294, euro 21,50), il teologo protestante compie un esame accuratissimo di tutte le fonti, ricordando come le ricerche archeologiche degli ultimi 30 anni in Israele abbiano portato alla luce tanti elementi che consentono di elaborare un’immagine più precisa della vita quotidiana del primo secolo, offre una visione d’insieme dei Vangeli con la valorizzazione significativa di quello giovanneo e dà uno spazio particolare ai Vangeli apocrifi.

Gesù guaritore, Gesù maestro e Gesù profeta sono alcuni dei suoi approfondimenti, ma egli rammenta come Cristo sia stato anche «il poeta del Regno», proponendo una giustizia sovversiva rispetto al suo tempo, sia per quanto riguarda il mondo giudaico che quello romano. La vicenda terrena del Salvatore, ma pure la sua resurrezione, i miracoli e le parabole: tutto viene passato al setaccio per capire cosa è veramente attendibile del racconto dei Vangeli e cosa può essere stato frutto dei quattro evangelisti.

Il volume ripercorre le fonti non cristiane che parlano di Gesù, dagli storici romani ( Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane) agli autori siriani (Mara bar Serapion e Luciano di Samosata) ed ebrei (Flavio Giuseppe), per fare il punto sulla datazione dei Vangeli, scritti fra il 65 (Marco) e il 95 (Giovanni) e sulla Fonte Q, i cosiddetti “detti di Gesù” cui si sono ispirati Matteo e Luca e la cui esistenza à stata confermata nel 1945 dalla scoperta a Nag Hammadi del Vangelo di Tommaso, apocrifo che contiene solo sentenze di Cristo, in tutto 300.

Ma la prima testimonianza è quella di Paolo la cui corrispondenza fu redatta fra il 50 e il 58, dunque solo vent’anni dopo la morte del Messia.

Curiose infine le pagine in cui Marguerat si chiede quali sembianze avesse Gesù. Ecco la sua risposta: «Il volto di Gesù era piuttosto scuro, bruciato dal sole, dai tratti semiti, con sopracciglia e naso accentuati. Poteva misurare tra i 165 e i 170 centimetri di altezza e pesare tra i 58 e i 65 chili». Stime che ci fanno prendere un po’ le distanze dall’immaginario tradizionale.

Cosa resta al lettore di queste opere? La convinzione che le immagini di Gesù hippie o rivoluzionario, medico o santone, genio religioso o filosofo non reggono più. Ancor meno i giudizi di chi lo ritiene un personaggio mitologico. In ogni caso, come conclude Marguerat, «anche lo storico più scettico dovrà convenire che la sua vita ha cambiato la faccia del mondo».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: