sabato 18 settembre 2021
Arriva nelle sale il 28 e 29 settembre la storia vera di Abby Johnson, ex dipendente della maggiore clinica abortiva degli Stati Uniti poi diventata attivista pro-life
Ashley Bratcher nel ruolo di Abby Johnson, protagonista del film “Unplanned” tratto dall’omonima autobiografia

Ashley Bratcher nel ruolo di Abby Johnson, protagonista del film “Unplanned” tratto dall’omonima autobiografia - Immagine dal film

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Quella scena è un non ritorno. Le immagini ecografiche in sequenza sono implacabili: per la creatura di tredici settimane di vita che non nascerà e per lo spettatore in sala. «Accendi, Scotty» dice il medico all’infermiera incaricata di azionare l’aspiratore. Pochi secondi prima il feto aveva reagito rifuggendo dalla cannula della sonda intrusa che stava turbando la quiete del grembo materno. Si vede il non nascituro tentare, ritraendosi, una istintiva ascesa verso la parte superiore del sacco amniotico. Ma l’aspiratore entra in azione e in pochi secondi risucchia i piedini, le gambe, la spina dorsale, le braccia, le mani e la testa che, per ultima, scivola in quel gorgo annientatore. La scena lascia interdetti.

È Unplanned (nelle sale di tutta Italia il 28 e 29 settembre), film statunitense che traspone sul grande schermo una vicenda autentica, quella narrata nel 2010 dalla diretta protagonista, Abby Johnson, nel libro omonimo poi pubblicato in Italia da Rubbettino con il titolo Scartati - La mia vita contro l’aborto. È la parabola di una ex dipendente della Planned Parenthood, l’organizzazione di cliniche abortive più potente d’America.

Prima come giovane volontaria, poi come consulente psicologa, pian piano Abby fa carriera nell’organizzazione, convinta di lavorare per il bene delle donne, fino a diventare la direttrice di una delle più importanti cliniche abortiste in Texas e, nel 2008, viene persino nominata “dipendente dell’anno”. Poi un sabato mattina, il giorno di punta per la clinica, le viene chiesto eccezionalmente di entrare in sala operatoria per sostituire un membro del personale assente.

E lì per la prima volta vede ciò la cui portata ignorava. Il dietro le quinte di un aborto indotto. Ne esce sconvolta e lascerà la Planned Parenthood (che la denuncerà, perdendo però la causa), diventando convinta e convincente attivista pro-life.

Il titolo Unplanned (non previsto ovvero, anche, indesiderato) gioca naturalmente sul nome stesso dell’“abortificio” americano la cui mission esplicitata nella ragione sociale starebbe più asetticamente e incruentemente a indicare “genitorialità pianificata”.

È quello che credeva anche Abby Johnson, all’inizio idealmente animata dall’intento di aiutare le donne incinte a superare il critico momento della solitudine, della vergogna nei confronti dei genitori e della incapacità a reggere il dramma di una gravidanza indesiderata, aggravato il più delle volte dal fatto di essere minorenni.

Del resto per quel tunnel c’era passata lei stessa. Giovane studentessa universitaria, con il suo appartamentino pagatole dai genitori, si era fidanzata con il ragazzo sbagliato, di dieci anni più vecchio, capace solo di accompagnarla alla clinica per farla abortire, per ben due volte.

Il film mostra molto, quasi tutto ciò che intende non nascondere allo sguardo e all’intelligenza del pubblico. Ed è anche questo che ha colpito da subito Federica Picchi che, con la sua Dominus Production, due anni fa ha deciso di acquistarne i diritti per l’Italia. Unplanned avrebbe dovuto uscire all’inizio dello scorso anno ma l’emergenza Covid con la chiusura delle sale lo ha impedito. Arriva invece ora, proprio mentre un film di tutt’altro orientamento è appena stato premiato con il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia. Anche L’événement della regista francese Audrey Diwan (adattamento del romanzo autobiografico L’evento di Annie Ernaux) parla di aborto puntando però il dito contro la pratica clandestina e non contro l’aborto in sé.

«Un film necessario Unplanned – dice Federica Picchi –, anzi molto più perché con la sua forza espressiva e narrativa permette di proiettare un fascio di luce negli abissi più profondi della storia dell’umanità, questa strage di innocenti. Il film è un pugno nello stomaco, ma alla fine ti abbraccia». Alla vigilia dell’anteprima milanese di giovedì il film era stato proiettato anche a Bologna (il 22 settembre toccherà a Roma) ed è risultato il film del giorno con l’incasso più alto per sala. Un esordio che fa sperare, nonostante la programmazione di soli due giorni, un possibile potente impatto sul pubblico anche in Italia, dopo il grande successo avuto negli Stati Uniti due anni fa.

Boicottato dalle grandi catene di distribuzione e censurato in molti Stati degli Usa (oltre che in Canada), nel suo primo fine settimana di proiezione il film aveva infatti raccolto oltre sei milioni di dollari. In totale, solo negli Stati Uniti, ha guadagnato alla fine oltre 21 milioni di dollari. Ma ancora maggiore è stato il successo in formato dvd, tanto da essere stato nel 2019 con 235mila copie il più venduto su Amazon.

Eppure il film (girato da Cary Solomon e Chuck Konzelman) non vanta nemmeno un cast di particolare richiamo mediatico, con la partecipazione di Ashley Bratcher nel ruolo di Abby e di Robia Scott in quello della direttrice della clinica texana della Planned Parenthood, dove si svolgono i fatti.

Nel nostro Paese Unplanned uscirà con il divieto di visione ai minori di 14 anni. «Una cosa sbalorditiva è la motivazione della commissione censura – spiega Federica Picchi –, che giustifica la restrizione parlando di scene scientificamente non realistiche. Ho fatto subito ricorso, e ne attendo l’esito, perché se c’è un film che mostra la realtà anche scientifica dei fatti è proprio Unplanned. Ho anche fatto visionare da medici esperti le scene in cui si mostrano i momenti drammatici e cruenti di un aborto indotto e di un aborto chimico e ho avuto conferma della loro piena autenticità. Altro che scientificamente inverosimili. Anzi, credo che sarebbe molto importante portare questo film nelle scuole».

Ma la censura a Unplanned oltre che dalla commissione per la revisione cinematografica era arrivata, attraverso “mail bombing”, all’anteprima bolognese con la richiesta di annullare la proiezione ritenendo il film lesivo della dignità delle donne, irrispettoso delle scelte che compiono e scientificamente infondato.

Nel mirino la definizione di «bambini», parlando delle vittime dell’aborto.

«La letteratura scientifica preferisce parlare, nei primi tre mesi di gravidanza, di embriogenesi e di aggregato di cellule, nessun bambino quindi» si ribatte nelle mail che chiedevano l’annullamento della proiezione di Unplanned. Eppure, quell’«aggregato di cellule» che viene aspirato nella più inquietante scena del film “sembra” così perfettamente plasmato dalla natura da dare la netta impressione che si tratti proprio ed esattamente di un bambino.

Con i suoi piedini, le gambe, le braccia, la colonna vertebrale e il capo, d’impulso, appena percepita la cannula della sonda, cercava di scappare, per tentare di continuare per altri cinque o sei mesi il suo viaggio verso la venuta al mondo.

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