giovedì 12 marzo 2009
La «Madonna del Parto» è nello stesso tempo il ritratto veristico di una contadina toscana e un raffinato simbolo dell’Incarnazione. Il commento del direttore dei Musei Vaticani Paolucci Dopo quasi vent’anni di controversie e col nuovo accordo tra Comune, Curia e Ministero l’affresco di Piero della Francesca potrà continuare a svolgere il suo ruolo di attrattore turistico, però finalmente in una collocazione degna del suo carattere sacro
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Prima di tutto bisogna conoscere la storia. Poi occorre guardare il dipinto, guardarlo a lungo così da capire bene quello che si guarda. Siamo nel 1455 ( questa è la data a mio giudizio più probabile) e Piero della Francesca è impegnato ad Arezzo. Sta dipingendo il ciclo della Vera Croce. Qualcuno da Monterchi ( paese non lontano da Arezzo e vicinissimo a Borgo San Sepolcro, sua patria) lo chiama per commissionargli un affresco. L’affresco deve raffigurare la Madonna incinta ( è evidente la ragione: sciogliere un voto, impetrare una grazia) e dovrà essere dipinto in un piccolo oratorio di campagna fuori dalle mura del paese. Piero della Francesca lascia il cantiere di Arezzo e nel giro di una o due settimane al massimo conclude il suo incarico. Infatti con un buon cavallo da Arezzo o da San Sepolcro a Monterchi si va e si torna in giornata. In mezzo, nella buona stagione, ci stanno comodamente 3 o 4 ore di lavoro. Il risultato è la « Madonna del Parto » uno dei dipinti più celebri della storia artistica universale. Il soggetto iconografico è la Madonna incinta. Una giovanissima donna di questa parte d’Italia, orgogliosa della sua maternità, ci guarda fasciata nel prezioso blu mandarino della tunica. È raffigurata in piedi a figura intera leggermente di tre quarti così che risulti più evidente il suo stato. La mano destra riposa sul grembo nel gesto che ogni gestante ben conosce; gesto di protezione, di possesso, di felicità. La Madonna incinta sta al centro di un vero e proprio tabernacolo il quale ha però la forma di una tenda che due angeli aprono scostandone le falde ai lati. Il significato iconografico è chiaro. La Madonna gravida è vas electionis, è foederis arca, il suo corpo ospita il Verbo Incarnato, il Dio Vivente. Gli angeli offrono all’adorazione dei credenti l’ostensorio con dentro il Corpus Christi. Solo che l’ostensorio è il corpo forte ed elastico, splendente di giovinezza, di una bella ragazza della Val Tiberina. Ho sempre pensato che l’unico modo per commentare la « Madonna del Parto » di Monterchi e per descriverne correttamente il significato iconografico è l’Ave Maria. L’antichissima preghiera ( chissà quante volte generazioni di partorienti contadine l’hanno recitata di fronte a questa immagine!) definisce perfettamente il senso religioso dell’affresco. Ave Maria gratia plena… e gli angeli che le fanno corona e la presentano al popolo cristiano ne significano la Grazia, il ruolo di Regina del Cielo. Benedictus fructus ventris tui… Il concepito ospitato nel grembo della gravida è l’oggetto di una ostensione che è metafora della ostensione eucaristica. L’idea dell’Incarnazione, idea inconcepibile ed ineffabile nel senso che non c’è mente umana che possa contenerla né lingua che possa esprimerla, è rappresentata da Piero della Francesca con perfetta naturalezza. Egli riesce a dare al vero visibile una sacralità tanto grande e assoluta da rendere la professione di fede persuasiva come nessun teologo ha mai saputo. Una volta incontrare la « Madonna del Parto » era una emozionante avventura. Bisognava uscire dalla strada provinciale, non lasciarsi sfuggire la deviazione per Monterchi, trovare la cappella che sta accanto al piccolo cimitero del paese. Ancora: bisognava cercare il custode, farsi aprire la porticina di legno ed ecco apparirci, nella luce dorata dei pomeriggi d’estate, nello strepito degli uccelli e nel fruscio del vento fra i rami delle querce, la Madonna del Parto. Dal 1992 tutto è cambiato. Quell’anno si celebrò, con una serie di mostre dislocate in mezza Italia, il quinto centenario della morte di Piero della Francesca. L’affresco della « Madonna del Parto » , staccato da quasi un secolo per ragioni conservative e quindi trasportabile, venne trasferito nel cuore di Monterchi, fulcro di un’esposizione dedicata all’iconografia della Madonna incinta nel Medioevo e nel Rinascimento. Come sede della mostra che doveva durare pochi mesi fu scelta una piccola scuola elementare da tempo dismessa, perché di bambini non ne nascono più a Monterchi. Coincidenza davvero singolare per un luogo chiamato ad ospitare la Madonna incinta! Chiusa la mostra del ’ 92, restituite ai legittimi proprietari le altre opere d’arte che vi erano esposte, la « Madonna del Parto » non è più tornata nella sua cappella accanto al cimitero. L’Amministrazione civica l’ha espropriata, considerandola un attrattore turistico moltiplicatore di vantaggi economici per la piccola comunità. Naturalmente si è aperto un contenzioso infinito che ha avuto per attori il Ministero per i Beni Culturali attraverso la Soprintendenza di Arezzo, il Comune, la Curia e movimenti contrapposti di cittadini, di studiosi, di intellettuali. Una storia che dura da quasi vent’anni e che ha conosciuto gli episodi ora comici ed ora grotteschi che da sempre caratterizzano le vicende di micro- campanile come questa. Ora pare che Comune, Curia e Ministero si siano messi d’accordo. La « Madonna del Parto » avrà una collocazione degna, in uno spazio sacro, però nel centro del paese, così da poter continuare a svolgere il suo ruolo di attrattore turistico. A me resta la nostalgia della giovane contadina incinta che, fra le querce e i campi di grano della Val Tiberina, recitava a casa sua, nella sua cappella, il ruolo serissimo e molto convincente della Madre di Dio. L’affresco staccato della «Madonna del Parto», opera di Piero della Francesca, nell’attuale collocazione a Monterchi (Arezzo)
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