E sono tre. Si allargano a macchia d’olio le inchieste sul fenomeno della tratta dei baby-campioni dall’Africa. Dopo le indagini avviate a Parma e Prato, la lente degli inquirenti è entrata in azione a La Spezia. Il gip della città ligure ha di fatto azzerato i vertici dello Spezia, applicando la «misura cautelare del divieto di esercitare imprese o uffici direttivi di imprese o persone giuridiche che svolgono attività sportiva calcistica, professionistica o dilettantistica» nei confronti dell’amministratore delegato Luigi Micheli e del presidente Stefano Chisoli. L’inchiesta ipotizza la violazione delle norme sull’immigrazione clandestina per far entrare in Italia giovani calciatori minorenni aggirando il divieto di trasferimento di under 18 extracomunitari imposto dalla Fifa.
Il sistema prevedeva una triangolazione tra lo Spezia, la società dilettantistica Valdivara Cinque Terre e il club Fc Abuja in Nigeria, scuola calcio fondata dal proprietario dello Spezia Gabriele Volpi nel Paese africano, dove l’imprenditore italiano ha molti interessi economici. Il metodo funzionava così: i baby talenti venivano fatti entrare in Italia con un visto temporaneo motivato dalla necessità di prendere parte a tornei giovanili. Ma in realtà non era previsto alcun rimpatrio in Nigeria. I giovanili calciatori restavano in Italia con un cambio di status che, anche tramite la modifica dei tutori inizialmente indicati, faceva diventare i giovani calciatori minori non accompagnati, quindi meritevoli della protezione prevista in questi casi dalla legge. Nella documentazione veniva anche indicata l’iscrizione a istituti scolastici che i giovani nigeriani non hanno mai frequentato. In questo periodo i ragazzi venivano tesserati per la società dilettantistica, in attesa del passaggio tra i professionisti al compimento della maggiore età.
L’accusa evidenzia «il successivo tesseramento nella compagine professionistica dello Spezia Calcio con il fine ultimo di ricavare importanti plusvalenze con la cessione dei calciatori ad importanti club professionistici». Da notare che negli anni scorsi alcuni giocatori dell’Fc Abuja avevano effettuato il passaggio dalla Nigeria allo Spezia transitando da una società di Serie D (Lavagnese) per proseguire poi verso la Roma. È il caso dell’attaccante Sadiq Umar e del difensore Abdullahi Nura. A fine 2017 si era mossa la procura di Parma. L’ambito di riferimento era la Costa d’Avorio. In quel caso nessun addebito per il club gialloblù. Il legame con la città ducale nasceva dalla presenza dell’agente Giovanni Damiano Drago che, insieme agli altri protagonisti del traffico, aveva costruito una rete nella quale venivano falsificati i documenti dei giovani calciatori in modo da farli sembrare figli di cittadini ivoriani già immigrati in Italia. Tra questi giocatori, assistito da Drago, c’era anche Assane Gnoukori, il promettente centrocampista lanciato da Roberto Mancini con la prima squadra dell’Inter, fermato a causa di un problema cardiaco dopo il passaggio in prestito all’Udinese e ora rimasto senza squadra.
La prima inchiesta di questo filone relativo ai baby calciatori africani prese le mosse a Prato a fine luglio 2017. Anche in quel caso erano protagonisti giovani talenti ivoriani. Coinvolti il presidente del Prato Paolo Toccafondi e Filippo Giusti, presidente della Sestese, una società dilettantistica toscana. Lo schema era simile: visti temporanei trasformati in permanenza più duratura per favorire il tesseramento. Con un particolare in più: l’attribuzione di false maternità in modo da favorire ricongiungimenti famigliari fittizi. E anche in questo caso tra i ragazzi protagonisti c’era una promessa che ora gioca magnificamente in Serie A: l’esuberante è simpaticissimo Christian Kouamè, attaccante del Genoa, già cercato dalla grandi italiane, a partire dal Napoli. Proprio la storia di ragazzi come Kouamè e Gnoukouri dimostrala difficoltà di orientarsi in questa complicatissima materia che coinvolge questioni normative e umane. E intreccia la spregiudicata voglia di intermediari a caccia di plusvalenze con la sacrosanta ambizione di questi giovani calciatori (e delle loro famiglie) di affermarsi nel calcio in modo da avere un’esistenza migliore. Difficilissimo tracciare confini certi in questo mare calcistico, chiuso alla navigazione legittima dalle norme Fifa emanate per altri scenari, lontani da un mondo spesso sommerso dove si mischiano sogni e affari.