domenica 1 agosto 2021
Prima, storica, medaglia di bronzo nella boxe femminile per la Testa, la ragazza che ha preso a cazzotti la paura di essere sbagliata
Il podio di Irma, una carezza in un pugno
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Irma è dolce, ma solo quando smette di combattere. Ha appena messo al collo un bronzo olimpico, non ha la faccia piena di pugni. Quando è tutto finito sorride leggera con le mani fasciate di bianco, muove appena le gambe sottili come grissini, i tatuaggi grandi sulle braccia sembrano vivi. Irma ora è cresciuta, la boxe le scorre nel sangue. Ha sofferto per mettere i guantoni, e soprattutto per non toglierli. La chiamano Butterfly, farfalla, come il titolo del docufilm che hanno girato su di lei. Comunque non diresti mai che fa a cazzotti per sentirsi viva. E nemmeno che da ieri è la prima donna italiana nella storia del pugilato ad aver vinto una medaglia ai Giochi dal 2012, cioè da quando questa disciplina è stata ammessa in versione femminile.

Un percorso il suo, senza navigatore inserito. Cinque anni fa a Rio, Irma Testa, diciottenne di Torre Annuziata, era all’esordio. Voleva spaccare il mondo, pensava davvero di arrivare sul podio, non lo sfiorò nemmeno. Ma la ragazza aveva talento, e pure orgoglio. «A casa – racconta – era mia sorella quella che voleva fare la boxe. Io ci ho provato per imitarla: avevo 11 anni, e non ho più smesso. Ecco, lo so: tanti pensano che questo non sia uno sport da femmine. Ma sbagliano, anzi il pugilato è la disciplina più vicina alla personalità di una donna...». Quando la incontrammo la prima volta, approfondimmo per capire, il discorso meritava ieri come oggi: «Sul ring non basta picchiare – spiegò lei – . Devi essere razionale, leggere nel pensiero dell’avversario, anticiparlo, sacrificarti, scegliere in fretta la tattica e la soluzione giusta, studiare quella del round successivo. Vi sembra che un uomo sia capace di fare tutte queste cose insieme?».

Irma è fatta così: sorprende, pensa veloce, ha cervello e denti bianchi. Contro la filippina Nesthy Petecio, campionessa del mondo in carica, nella finale dei pesi piuma (fino a 57 kg) la Testa vince il primo round, poi deve difendersi. La sua avversaria cambia passo, da gatto diventa tigre, è irruente, rapida, elettrica. Irma è più alta, ma meno mobile, subisce, quasi sorpresa: «Non ho avuto il tempo di cambiare tattica: sono stata stupida a credere che lei non cambiasse atteggiamento. In realtà a un certo punto mi ha sorriso, come se volesse dirmi: “Non preoccuparti, adesso ti faccio vedere di cosa sono capace...”. È stata brava, ha vinto con merito».

Netto il verdetto: quattro contro uno il voto dei giudici a favore della filippina. Tokyo finisce così. Ma è un podio grande, inedito, comunque gratificante. Irma ha pianto per prenderselo, dopo Rio era a pezzi. Depressione, paura, persino qualche insulto sui social da incassare come un gancio terribile. Vale la pena tanta fatica, allenarsi lontano da casa, in uno sport del genere? E sentirsi una che magari non arriverà mai? Ha vacillato, ma è rimasta in piedi. Si è fatta disegnare un’Araba Fenice sulla pelle, ha vinto prendendo a pugni la paura di essere sbagliata. «Ci riproverò ancora, questo è sicuro - promette - . Fra tre anni ai Giochi di Parigi sarò ancora più grande, più matura. Per ora sono soltanto felice ». È tanto, Irma, è tutto. Buona fortuna.

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