venerdì 19 gennaio 2024
Ripubblicato da Sur "Artisti, pazzi e criminali", perla narrativa dello scrittore argentino. Nel libro la storia delle origini del San Lorenzo, il suo club del cuore e anche quello di papa Francesco
Il giornalista sportivo e scrittore argentino Osvaldo Soriano (1943-1997)

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Osvaldo Soriano nel 2023 avrebbe compiuto 80 anni, ma il suo cammino terrestre da fantasista dinoccolato, al fianco dell’amico ispiratore,il sornione “Gatto nigro”, si è interrotto sempre a gennaio, il giorno 29 del 1997. Se ci fosse un Nobel per la letteratura alla memoria - badate bene critici prevenuti e distratti non solo per“ meriti sportivi”- allora quel premio andrebbe assegnato al caro vecchio Gordo. Per noi che lo abbiamo letto fino alle note a piè pagina è da considerarsi il massimo scriba del fútbol, ma va riletto anche come una delle voci più autorevoli di quell’abisso,tutto ancora da esplorare, che è il grande oceano della letteratura latinoamericana. Il buon Gianni Minà, che fu suo amico ed estimatore della prima ora, confermerebbe. La conferma invece delle vette narrative raggiunte dallo scrittore argentino - Soriano era nato a Mar del Plata - arriva dalla ripubblicazione dell’infaticabile casa editrice Sur, che rimette al centro del villaggio editoriale un gioiello come Artisti, pazzi e criminali (pagine252,euro17,50). Fu la quarta prova di Soriano, dieci anni dopo il primo romanzo rivelatore del suo immenso talento, Triste, Solitario y final, pubblicato in Italia da Vallecchi nel 1974 e intercettato con fiuto da bracconiere di storie dall’amico italiano Giovanni Arpino. Quando lesse quella recensione Soriano era già esule: nel 1976 dopo il colpo di stato di Videla si mise in salvo, prima a Bruxelles e poi a Parigi dove rimarrà fino all’84.

Quei racconti nati nella redazione de La Opinion di mastro Timerman

Via da Buenos Aires e da quella redazione de La Opinion, quotidiano della borghesia liberale, in cui era stato assunto nel 1971 dal suo grande mentore Jacobo Timerman sulla base del postulato: «Occorrono i migliori giornalisti di sinistra per fare un giornale di destra». Soriano deve a Timerman, una delle penne migliori del giornalismo argentino, «l’insegnamento di buona parte di ciò che so, inclusa l’arte della narrazione apocrifa, e questo ha segnato la mia vita per sempre». Quello stile, apocrifo appunto, iniziato in Triste, solitario y final si rintraccia anche in Artisti, pazzi e criminali in cui, oltre a divagare e indagare in stile Chandler sulla vita criminosa del killer seriale Robledo Puch o l’omicidio di Juan Ingallinella, riprende le elucubrazioni cinematografiche: la passionaccia per il «ciccione e il magrolino traditi dall’errore di far ridere», Stanlio e Ollio, per poi mettere sotto le luci delle sue storie ribaltate il genio di Chaplin e il mitico John Wayne. Soriano è un maestro della mitografia e della riabilitazione monumentale di quei personaggi che potrebbero essere ascritti in uno dei suoi titoli più emblematici, Mai più pene né oblio. Fino all’ultima pagina scritta, non ha fatto che inseguire i suoi piccoli eroi dimenticati, per evitare di trovarsi assieme a loro dinanzi alla cupa prospettiva esistenziale di Un’ombra ben presto sarai. Un uomo così corpulento e dal passo talora appesantito, sulla pagina (compresa Pagina12, il quotidiano che al rientro in patria fonderà a Buenos Aires, nel 1987) si fa scrittura lieve che scalda il cuore dei lettori, ovunque essi siano.Le stories orianeschesembrano dei messaggi in bottiglia che le onde del mare, in ogni tempo, riporteranno a riva.

Agiografie dei dimenticati, Mario Soffici e Roberto Mariani

Così a Firenze, grazie a lui, ora scopriranno che oltre all’intellettuale invasato di fascismo, Ardengo Soffici c’è stato in Argentina l’omonimo Mario Soffici (1900-1977). Figlio di un orafo con bottega in Ponte Vecchio, a nove anni Soffici lascia Firenze con la sua famiglia e dopo mille mestieri entra nel teatro e poi nel cinema firmando la regia di una quarantina di film, ridando lustro negli ultimi anni di vita all’Instituto de Cine. E a Monza, leggendo le pagine a lui dedicate in Artisti, pazzi e criminali, magari vorranno approfondire la poetica anarchica di Roberto Mariani (1893-1946), narratore e poeta di salde radici brianzole, figlio di italiani d’Argentina che nella storia della letteratura va rintracciato nella categoria, sempre meno affollata, degli “scrittori scomodi”. Affinità elettiva, compresa la parentesi di giornalismo sportivo (Mariani era un tifoso sfegatato del River Plate, passione che provava a spiegare alle due sorelle), con il nostro Osvaldo che amava i due inseparabili “Roberti”. Roberto Mariani e Roberto Arlt (19001942), altro irregolare della letteratura argentina, noto al grande pubblico dei lettori de El Mundo che deliziava con i suoi ritratti nella rubrica Aguafuertes ( Acqueforti). Altra fonte di ispirazione per Soriano che apprezzava gli scritti sul cinema di Arlt e i suoi vagheggiamenti, altrettanto apocrifi, su Greta Garbo e Rodolfo Valentino, così come esaltò il romanzo più compiuto di Mariani, Cuentos de la oficina tradotto e pubblicato con il titolo originale da Le Nubi. Siamo arrivati fin qui senza accennare ancora alla materia che ne fa il massimo scriba, il fútbol. In Artisti, pazzi e criminali diventa uno psicodramma a lieto fine la notte brava a Rio de Janeiro di Obdulio Varela, l’uruguagio che con la Celeste campione del mondo fece piangere e suicidare il Brasile nel Maracanazo del 1950.

San Lorenzo la sua squadra del cuore, il club di un Santo e un Martire

Ma le pagine vergate di pancia dal Gordo sono quelle per la sua squadra del cuore, il San Lorenzo de Almagro. «Nel calcio non si sceglie un vincitore. Tifare San Lorenzo è un interminabile soprassalto, un carico che ci si porta dietro nella vita con tanto sconcerto ed orgoglio, come quello di essere argentino». Questo il comandamento del Cuervo Soriano che con Xarau e Gianella, due ex calciatori tristi e solitari del San Lorenzo, ripercorre la storia del club dell’antico barrio di Almagro. Squadra che è anche la prima fede laica manifestata da papa Francesco, il quale non poteva che tifare per il club fondato da un “parroco-santo”, padre Lorenzo Bartolomè Martín Massa. Origini piemontesi come il Santo Padre, i cui cari nonni che l’hanno cresciuto arrivarono a Buenos Aires da Portacomaro (Asti): padre Massa era di famiglia torinese, cattolicissima, anche le sue due sorelle presero i voti. Il futuro parroco, a 16 anni (nel 1898) entra nei salesiani e, fedele all'insegnamento di san Giovanni Bosco, unisce all'educazione scolastica la pratica sportiva e soprattutto quella calcistica. Dal collegio Pio IX, dove insegnava, padre Massa viene spedito ad Almagro, dove comprende al volo che per strappare i ragazzi alla strada serve due cose: preghiera e pallone. E il campetto del Parco Chacabuco divenne la loro casa. «Io in oratorio ho un campo dove potete giocare e ve lo concedo, voi in cambio venite a messa e al catechismo...». Questo fu il “contratto” che padre Lorenzo stipulò con i ragazzi come Xarau e Gianella, membri del club dell’Oratorio di Sant’Antonio, che quasi per scherzo era nato il 1 aprile del 1908, stesso anno della fondazione dell’Internazionale di Milano. Gianella propose ai ragazzi della squadra di santificare il fondatore e per questo di unire al nome di Atlètico quello di San Lorenzo. Ma il voto di umiltà a padre Massa impose di rifiutare l’omaggio, anche se alla fine accettò il compromesso: mantenere quel nome, ma per ricordare il vero Santo e la Battaglia di San Lorenzo del 1813: la prima vittoria per le Province unite del Río de La Plata sugli spagnoli, durante la guerra d'indipendenza argentina. Un Santo, un Papa e un Martire, questa è la trinità del San Lorenzo. Il Martire è il piccolo eroe morto in campo: Jacobo Urso, figlio di italiani anche lui, che, nel 1922, durante una partita al Boedo, al vecchio stadio Gasómetro (sostituito il 16 dicembre del 1993 dal nuovo Gasómetro) contro l'Estudiantes, in uno scontro di gioco riportò la perforazione del polmone. Ricoverato in condizioni disperate in ospedale il 23enne Urso morì dopo due settimane. Questa tragedia, Xarau, tessera “numero 5” del socio a vita del San Lorenzo de Almagro se l’era scolpita nella memoria fino alla fine dei suoi giorni, ancora più tristi e solitari annota Soriano, in cui dopo aver lavorato come manutentore del campo di bocce del club ricordava amaro: «Ho dei nipoti, ma si fanno i fatti loro, ed è giusto così. Dei vecchi è meglio non ricordarsi. Sebbene qualche volta abbiano fatto gol pure loro».

La passione del "Cuervo" condivisa con papa Francesco

Il primo tifoso e tessera n. 88.235 del San Lorenzo, papa Francesco, come non dimentica mai i nonni così fa anche con le vecchie glorie rossoblù, perché lui sa che cosa significa aver giocato all’oratorio di padre Massa. Leggenda del barrio de Almagro racconta anche che il piccolo “Giorgio” Bergoglio, abbia palleggiato con il giovanissimo Alfredo, poi diventato la leggenda del calcio e del Real Madrid, il divino Di Stéfano. Ma il Papa non dimentica soprattutto il suo idolo di gioventù, il bomber René Carlos Pontoni. Prima della consacrazione della sua vita alla Trinità, ebbe una fascinazione laica per “El Terceto de Oro”: Farro-Pontoni-Martino. Il tridente che regalò il titolo nazionale al San Lorenzo (5° club argentino per palmarès), interrompendo la supremazia ultradecennale delle due grandi sorelle del fútbol di Baires, il River Plate e il Boca Juniors. «Aver si alguno de ustedes se anima a hacer un gol como el de Pontoni », tradotto: «Vediamo se qualcuno di voi riesce a fare un gol come quello di Pontoni», sfidò ridendo i calciatori Azzurri e quelli dell’Argentina alla vigilia dell’amichevole dell’Olimpico di Roma a lui dedicata nell’agosto 2013. Quel giorno nella Sala Clementina il nome di Pontoni sfiorò i pensieri del più grande calciatore dei nostri tempi, l’argentino Leo Messi. Anche se per noi, come Soriano è il massimo scriba di fútbol, allora il n.1, anzi il “10” di sempre rimane Diego Armando Maradona. E anche quello, “El Diego”, da rabdomante di storie di cuoio e talenti, il primo a segnalarlo fu proprio Soriano, che in una lettera ad Arpino scriveva profetico: «Mi raccontano gli amici che in un piccolo club di Buenos Aires, Argentinos Juniors, si trova la salvezza del Torino. Si chiama Diego Armando Maradona ed è, stando al parere dei giornalisti e dei miei amici stessi, il miglior giocatore (sebbene sia bassetto) degli ultimi trent'anni (...). Certo, tutte le grandi squadre, e il Barcellona, lo vogliono comprare; costa, credo, cinque milioni di dollari. Se il Torino possiede questa cifra di denaro è salvo. Dicono che accanto a lui Sivori è un energumeno».

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