domenica 22 novembre 2020
Il secondo volume d’inventario del fondo della Nunziatura va dallo scoppio della Seconda guerra mondiale ai primi anni della Repubblica. Molte le sorprese
Papa Pio XII durante la sua visita nel luglio del 1943 agli abitanti del quartiere di San Lorenzo a Roma distrutto dai bombardamenti

Papa Pio XII durante la sua visita nel luglio del 1943 agli abitanti del quartiere di San Lorenzo a Roma distrutto dai bombardamenti - -

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La recente apertura degli Archivi Vaticani per il periodo di Pio XII ha reso consultabile (Covid permettendo) anche una vasta documentazione riguardante i rapporti tra la Santa Sede e l’Italia. Presso l’Archivio Apostolico, in particolare, è ora accessibile anche il fondo della Nunziatura in Italia per il periodo 1939–1953. Sono stati gli ultimi anni del fascismo e quelli del passaggio alla democrazia; gli anni della Seconda guerra mondiale e i primi della Repubblica italiana; quelli della guerra fredda e della contrapposizione tra comunismo ed anticomunismo... A fare da guida in questa ingente massa documentaria c’è ora un prezioso volume in due tomi: L’Archivio della Nunziatura Apostolica in Italia, II. 1939– 1953. Inventario, a cura di G. Castaldo, Archivio Apostolico Vaticano, Città del Vaticano 2020. Si tratta del secondo volume di un’opera più ampia, il cui primo volume è stato pubblicato dieci anni fa: L’Archivio della Nunziatura Apostolica in Italia, I. 1929–1939 Cenni storici e Inventario, a cura di Giovanni Castaldo e Giuseppe Lo Bianco Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2010. Dal 1929 al 1953, infatti, nunzio in Italia è stato Francesco Borgongini Duca, attraverso cui sono passate molte questioni importanti nei rapporti tra la Santa Sede e l’Italia (e tra la Chiesa in Italia e le autorità italiane: gran parte di questo secondo volume riguarda questioni relative alle diocesi italiane). Non mancano anche notizie riguardanti altri paesi, le cui richieste finivano sul tavolo del nunzio in Italia. Un inventario, dunque, e cioè uno strumento prezioso per i ricercatori, frutto di un lungo e accurato lavoro, di cui sono espressione tra l’altro gli utilissimi indici dei nomi, dei luoghi, delle istituzioni e dei periodici. Ma anche qualcosa di più: molti documenti sono ampiamente citati o largamente riassunti, come sottolinea nella Presentazione mons. Sergio Pagano, aprendo squarci illuminanti anche a chi non avrà tempo di visitare gli archivi.

E’ il caso per esempio dei resoconti di numerosi colloqui avuti da mons. Borgongioni Duca con esponenti del governo fascista: Ciano, Buffarini Guidi, Grandi, Bottai e molti altri (non Mussolini che non lo riceveva, ma che Borgoncini incontrava di tanto in tanto, strappandogli informazioni preziose come quella che la guerra era inevitabile, mentre i suoi collaboratori continuavano ad affermare il contrario). Non ne scaturisce un quadro positivo della classe dirigente fascista: da questi incontri emergono soprattutto rivalità, ipocrisie, meschinità... Tra i tanti esempi, ricordo solo quello di Egilberto Martire, cattolico decisamente schierato con il regime ma che ebbe il torto di accennare alla diceria secondo cui Ciano era uno “iettatore” e che per questo fu condannato al confino (Borgoncini Duca intervenne in suo favore). Nei confronti della Santa Sede si intravede un classico gioco delle parti, con Farinacci a interpretare l’ala dura e molti altri – in primis Galeazzo Ciano – a professarsi devoti del Papa e della Santa Sede, senza però dimostrarlo con gesti concreti. Calato nel ruolo diplomatico che gli era stato assegnato, Borgoncini appare benevolo verso il regime ma meno sbilanciato di p. Tacchi Venturi e di altri ecclesiastici vicini a Mussolini o ad altri gerarchi. I documenti presentati da Cataldo confermano l’impegno di Pio XII per la pace e in particolare quello contro l’ingresso dell’Italia in guerra, che provocò l’irritazione fascista: non è una novità, ma questa conferma smentisce ancora una volta chi continua a sostenere che il Papa rimase sostanzialmente passivo davanti a tale eventualità. La guerra ha poi spostato gran parte delle attività del nunzio sul terreno della protezione degli ebrei convertiti (ma talvolta anche di quelli non convertiti), delle informazioni sui prigionieri di guerra, dell’assistenza nei campi di internamento come Ferramonti ecc. Su questo terreno Borgongini Duca operò in stretto collegamento con la Segreteria di Stato, in particolare con mons. Montini, e secondo le direttive indicate da Pio XII. L’Inventario conferma ancora una volta quanto ingente sia stata l’attività assistenziale della Santa. Sede durante la guerra. Cambiamenti nella situazione politica cominciano a emergere nei documenti dell’inverno 1942–’43. L’apertura degli archivi vaticani permetterà di capire meglio se e quanto da parte italiana si sia cercato davvero l’aiuto della Santa Sede per uscire da una guerra ormai evidentemente perduta. Dall’inventario sembra che ci furono pochi tentativi in questo senso e anche Vittorio Emanuele III non appare all’altezza della situazione. Con il crollo del regime fascista, lo scenario cambiò completamente e Borgongini Duca si trovò ad affrontare i problemi posti dalla democrazia.

I segnali allarmanti non mancavano. Si diffusero manifestazioni esplicite di anticlericalismo e la minaccia comunista faceva paura. Borgoncini Duca cercò di evitare la nomina di avversari della Chiesa al vertice di istituzioni pubbliche, come Benedetto Croce, proposto alla presidenza dell’Accademia d’Italia. La sconfitta della monarchia privò poi il mondo cattolico di un elemento di sicurezza, mentre sembrava dilagare una grave crisi della moralità pubblica. I documenti mostrano Borgongini Duca che dialoga con interlocutori nuovi, come Bonomi e Parri, e avvia un colloquio costante con i ministri democristiani, tra cui particolare autorevolezza mostra Alcide De Gasperi. Il nunzio manifestò loro le perplessità di gran parte del mondo cattolico e che probabilmente erano anche sue. Riguardavano tra l’altro una libertà di stampa e di espressione che permetteva a una deputata comunista, Laura Diaz, di attribuire al papa “mani sporche di sangue”. Da parte democristiana il nunzio non trovò sempre immediata comprensione: Oscar Luigi Scalfaro ritenne per esempio inopportuno mandare a processo Laura Diaz (che fu poi processata e condannata). Ma la Santa Sede aveva ormai fatto la sua scelta: con il Radiomessaggio del Natale 1944, Pio XII aveva proclamato ufficialmente un’inedita preferenza per la democrazia. In questo quadro si colloca anche lo stretto rapporto tra la Santa Sede e la Dc, che Arturo Carlo Jemolo leggeva come espressione di un “regime clericale”, improntato a una forte confessionalizzazione della politica italiana. Dall’Inventario, emerge qualche conferma di quel clima, a partire da un gran numero di raccomandazioni che intrecciano laici e cattolici in modo sorprendente (compresa quella di Saragat che, attraverso Andreotti, chiede di permettere a un sindaco socialdemocratico di fare da padrino in un battesimo).

E non sono mancate saldature tra le due sponde del Tevere come quella che ha fatto chiudere l’originale esperienza di don Zeno Saltini a Nomadelfia. Ma, a uno sguardo storico più ampio, altri aspetti appaiono più rilevanti. Attraverso il rapporto con la Dc, il cattolicesimo italiano passò gradualmente da una familiarità con la logica autoritaria a un’adesione convinta alla democrazia. Molti ecclesiastici si trovarono a disagio davanti alle scelte di un partito cattolico che avrebbe potuto agire da solo e che invece veniva a patti con alleati non sempre malleabili, mentre chiudeva la porta ai cattolici che militavano nel Msi. Più volte, lo si legge in queste pagine, mons. Montini incontrò De Gasperi per suggerirgli di governare con un “monocolore”, incontrando da parte di quest’ultimo una ferma difesa del pluralismo democratico, della necessità di alleanze con i partiti laici democratici, dell’obiettivo di realizzare insieme ad altri il possibile invece di isolarsi in difesa dell’impossibile. Com’è noto, le resistenze non mancarono, ci furono momenti di grande tensione, come quelli che seguirono il fallimento dell’Operazione Sturzo – ma fu in realtà un’“Operazione Gedda” – per conquistare il Campidoglio attraverso un’alleanza tra Dc e destre neofasciste. Ma la Santa Sede non abbandonò più la preferenza per la democrazia dolorosamente raggiunta dopo aver attraversato il fascismo e la guerra

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