lunedì 13 luglio 2009
Mutamenti climatici, crisi finanziarie, terrorismo: la società contemporanea è scossa nelle sue fondamenta dal pericolo di catastrofi globali. Ecco come far fronte al bisogno di sicurezza connaturato all'esistenza umana.
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Possiamo conoscere il futuro che ci attende? Ovviamente, la risposta è no, non possiamo. Eppure, dobbiamo agire come se lo conoscessimo. L’agire nel presente esige la conoscenza del futuro al fine di governare il futuro. Ma il futuro è per molti aspetti inconoscibile e l’insicurezza è una condizione di fondo della conoscenza e dell’esistenza umane. Da ciò deriva un paradosso: come creare certezze e sicurezze grazie alla conoscenza del futuro, dal momento che l’incertezza è una condizione di fondo della conoscenza umana? La gente ha sempre cercato di riempire per mezzo dell’immaginazione la sua inevitabile incertezza sugli spazi del futuro. Questi immaginari includono i mondi delle religioni, delle letterature e, naturalmente, anche le sofisticate razionalità del calcolo della probabilità e del rischio (nonché quelli del diritto, della pianificazione, della futurologia, delle metodologie di costruzione degli scenari e, infine, dell’esoterismo). In cosa consiste la sociologia del rischio e la società del rischio? Occorre distinguere fra i tre tipi di insicurezza riguardo al futuro: le minacce , i rischi e le insicurezze fabbricate. Alla tesi della società del rischio viene sempre rivolta questa obiezione: il pericolo e l’insicurezza non sono forse connessi fin dall’inizio all’esistenza umana? E nelle epoche più remote questa esistenza non è stata ben più esposta ad essi (malattie, ridotte aspettative di vita, guerre, epidemie)? È vero, ma in base alla distinzione or ora proposta non si tratta di «rischi», bensì di «minacce». Si può tracciare quest’altra distinzione: il rischio è un concetto moderno, il rischio presuppone decisioni umane , futuri creati dall’uomo (probabilità, tecnologia, modernizzazione). Il rischio-come­anticipazione è il punto di svolta della tecnologia moderna, in quanto essa percepisce il futuro come un’estensione del presente. La fiducia nella pianificazione sul lungo periodo e nella regolazione su vasta scala si è rivelata illusoria; invece, il concetto di rischio implica un impegno meno speculativo e meno vago per il futuro e comporta che si faccia una scelta politica per l’assunzione di responsabilità e l’accettazione dell’imputabilità. Questo concetto moderno di rischio va distinto da quello di «insicurezza fabbricata». Un aspetto tipico del nostro presente è il fatto che la comunicazione e il conflitto divampano attorno a questo genere particolare di nuovo rischio fabbricato. In questa categoria non rientrano né le sciagure naturali – ovvero le minacce – che giungono dal di fuori e che quindi possono essere attribuite a Dio o alla natura (come avveniva normalmente in epoca premoderna), né le incertezze specificamente calcolabili – cioè i rischi – determinabili con precisione statistica in base al calcolo delle probabilità e ammortizzabili mediante un’assicurazione e un risarcimento in denaro (come avveniva tipicamente nella società industriale della prima modernità). Per contro, oggi al centro dell’attenzione si trovano le «insicurezze fabbricate». Esse sono contraddistinte dal fatto di dipendere da decisioni umane, di essere create dalla società stessa, di essere immanenti alla società e proprio per questo esternalizzabili, imposte a livello collettivo e proprio per questo inevitabili a livello individuale: la loro percezione rompe con il passato, rompe con i rischi sperimentati e con le routine istituzionalizzate; sono incalcolabili, incontrollabili e, in ultima analisi, non sono più (privatamente) assicurabili (si pensi, ad esempio, al mutamento climatico). L a minaccia, il rischio e l’insicurezza fabbricata possono essere differenziati in termini ideal-tipici in base ai criteri qui delineati, ma in realtà si intrecciano e si mescolano. Infatti, i problemi connessi al tentativo di tracciare distinzioni nette tra questi aspetti dell’insicurezza futura, oggetto di valutazioni politiche molto differenti, costituiscono una fonte decisiva di conflitti da rischio. Cosa c’è di nuovo nella società mondiale del rischio? La mia tesi è che le società moderne e le loro fondamenta sono scosse dall’anticipazione delle catastrofi globali (mutamento climatico, crisi finanziarie, terrorismo). Queste percezioni dei rischi e delle insicurezze fabbricati e globalizzati sono caratterizzate da tre aspetti: – Delocalizzazione: le loro cause e le loro conseguenze non sono limitate a un singolo luogo o a una singola area geografica, ma sono in linea di principio onnipresenti. – Incalcolabilità: le loro conseguenze sono per principio incalcolabili; in fondo, si tratta di rischi «ipotetici» o «virtuali» che si basano, non ultimo, su una non-conoscenza e su un dissenso normativo scientificamente indotti. – Non compensabilità: il sogno della sicurezza della modernità europea del XIX secolo si basava sull’utopia scientifica del rendere sempre più controllabili le conseguenze rischiose e i pericoli delle decisioni; gli incidenti potevano anche avvenire, a condizione però che fossero considerati – e che fossero effettivamente – compensabili. Se invece il clima è mutato irreversibilmente, se i progressi della genetica umana rendono possibili interventi irreversibili nell’esistenza umana, se i gruppi terroristici possiedono già armi di distruzione di massa e sono pronti a usarle, allora è troppo tardi. Data la nuova qualità delle minacce per l’umanità, la logica della compensazione viene meno e lascia il posto al principio «precauzione attraverso la prevenzione» (F. Ewald). La scienza e le sue tecnologie di visualizzazione hanno profondamente modificato il principio «non vedo nulla di male/non sento nulla di male», che costituisce il nucleo degli aspetti visibili e quantificabili dei rischi e dei pericoli comunemente associati alla produzione industriale. N aturalmente, le tecniche di visualizzazione sono una condizione della costruzione sociale delle anticipazioni globali delle catastrofi (ad esempio il mutamento climatico o le crisi finanziarie). La significazione – l’inclusione in un ordine simbolico – segue sempre da vicino la visualizzazione, dal momento che nulla si rivela puramente e semplicemente per ciò che è. Con la costruzione sociale della visibilità e del significato (ad opera dei mass media, della scienza, delle immagini, delle narrazioni, dell’industria cinematografica ecc.) l’invisibilità non è più una scusa per la non-decisione e la non-azione. Le piene implicazioni del potenziale catastrofico della produzione industriale stanno diventando sempre più parte dell’esperienza di ognuno.
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