venerdì 9 agosto 2019
Donando loro il fuoco sceglie gli uomini, cioè la peribilità, la mortalità e ciò che è sottomesso al tempo. Eppure i suoi beneficiati dimostrano profonda ingratitudine
“Prometeo incatenato” (1762) Parigi, Louvre

“Prometeo incatenato” (1762) Parigi, Louvre

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A smitizzare i miti si è incominciato presto, non molto dopo la loro nascita. Gli autori riprendevano una figura per interpretarla attraverso nuove vicende, mutando e approfondendo. Accadeva press’a poco ciò che accadde più tardi delle fiabe, mutate e ampliate da ogni nuovo narratore. E le figure che hanno resistito meglio a tante manipolazioni sono senza dubbio quelle che erano le più forti fin dalle origini, le meno inverosimili e le più intensamente umane: Ulisse, Achille, Ettore, Enea… La gran parte delle altre sono per noi quasi mute. Poche righe in una voce di dizionario.

Ognuno con il personaggio scelto, dunque, faceva quello che gli pareva. Anche noi che oggi cerchiamo di interpretare. A volte un po’ troppo, facciamo quello che ci pare. Ma chi può biasimarci, se le fonti stesse dicono tutto e il contrario di tutto? Di un mito, siamo fortunati se ne hanno scritto in pochi; se delle tre tragedie scritte su un dato personaggio, mettiamo, da Sofocle, Eschilo, e Euripide, ne abbiamo perdute almeno un paio. Altrimenti non è facile. Due padri, nessuna madre, morto in guerra e non tornato in patria, salvo dalla guerra e morto in patria, non morto affatto. Eccetera. Prendiamo la vicenda di Prometeo, e incontriamo subito, oltre al protagonista, il sommo antagonista: Zeus. E uno dei primi pensieri, scorrendo la storia, sarà questo: se sia giusto che a capo dell’eternità debba starci uno che non sa perdere, oltre tutto il resto.

La storia è presto detta, anche se per le diverse versioni, un po’ labirintica. Nella lotta tra i Titani e gli dèi la spuntano gli dèi. Anzi la spunta Zeus, aiutato un poco da Prometeo che era uno dei Titani. Zeus spodesta il padre Crono, come un golpista qualsiasi, anzi tra i peggiori trattandosi del padre. Prometeo ci resta male per l’ingratitudine. E per questo, o non solo per questo, ruba il fuoco agli dèi e lo dà agli uomini, odiati dagli dèi che li vogliono eliminare. Dato che dal fuoco nascono una quantità di privilegi: illuminare, riscaldarsi, cucinare, forgiare metalli, per quel dono la specie umana cresce, si rafforza e prospera.

Forse solo per burlarsi o per vendicarsi dell’ingratitudine divina, Prometeo fa uno scherzo a Zeus. Prepara un banchetto di carne, ma manipola le varie parti: camuffa le parti peggiori da migliori, prende le ossa e le riveste della carne più prelibata. Porge il vassoio a Zeus, il quale ci casca e prende le ossa credendo di prendere il pezzo migliore, e si arrabbia molto. Medita una grande vendetta. Ognuno tra sé rifletta su questa reazione divina: quali considerazioni ne possano derivare su questo dio che vuole le cosce, che escogita pene infernali se non può averle. Invidioso di dèi e di uomini. E infatti comanda di incatenare Prometeo a una rupe, sui monti Carpazi. Manda il Furore e la Vendetta, e Vulcano con quattro giri di catene. Che gli vengono affibbiate, nell’ordine: alle mani, al petto, ai fianchi, alla gambe.

Pausa riflessiva. Gli dèi degli antichi sono gli acceleratori delle azioni degli uomini, secondo il segno in cui questi le pensano, di solito negativo. Ma spesso gliele suggeriscono loro stessi. Sono dei superuomini soltanto nel senso che fanno quello che fanno loro, ma sopra di loro, più in alto. Si direbbe anche che gli dèi non stiano che a far spiccare la grandezza degli uomini, quando fanno cose eroiche. E Ulisse, Enea, Achille certamente li superano: in tenacia, coraggio, pazienza, magnanimità, generosità, religiosità…

Riprendiamo la storia. Prometeo è un veggente. Conosce un segreto utile a Zeus. E non glielo rivelerà finché non sarà liberato. Ma dimenticavo un altro supplizio, degno di un carnefice sopraffino. Un’aquila gli mangia il fegato incessantemente. Dopo ogni consunzione, il fegato ricresce, e l’aquila se lo rimangia. Il segreto su Zeus lui lo confessa a Vulcano, commosso dai supplizi a cui è sottoposto quell’amico degli uomini. Vulcano il più derelitto degli dèi: povero fabbro che sui fabbri terreni ha l’unico vantaggio della forza, del poter fare più armi in un giorno solo, più grandi e più belle. Quando sull’Olimpo si ride, in qualche riunione, si può star certi che oggetto del riso è Vulcano. Zeus però sta origliando: quale sarà questo segreto? Manda Mercurio a scoprirlo. Prometeo non glielo rivela, e tra un insulto e l’altro al servilismo del messaggero, si conferma nel suo spirito di rivolta e di resistenza. Possiamo fermarci qui.

Tra quelli che si sono occupati del mito, tra i più sensati – a parte Eschilo – nell’inquadrare le vicende, è il satirico Luciano: Prometeo dialoga con quei messi di Zeus, tolto Mercurio, e li convince delle sue ragioni. Ne basterà una. Che cosa vuol dire “rubare il fuoco”? Il fuoco, prendendolo, non si esaurisce. Ho dato il fuoco agli uomini, semplicemente, che non ce l’avevano. Non l’ho tolto a voi. Quanto è difendibile Zeus e quanto Prometeo? Da che parte debbano stare gli uomini, soprattutto, con i benefici incalcolabili che ne hanno ricevuto, primo, e, secondo: a prezzo di quali pene del benefattore? Accade invece che noi uomini, ingrati a tal punto che l’ingratitudine di Zeus, con tutte le sue pene eterne, scolora, con tutto il sussiego del caso, citando in greco senza tradurre nemmeno in nota, gira e rigira, risulta che diamo il torto a Prometeo. Come si spiega? Il vizio solito di complicare questioni semplici? Il puro gusto di disquisire? Oppure è il solito – eterno più del supplizio del fegato – ossequio al potente di turno, in questo caso Zeus? Prometeo il veggente, come dice l’etimologia del nome, “colui che vede prima” – per esempio che nascerà Uno che minaccerà il trono di Zeus, ecco il famoso segreto – è anche o di più Prometeo colui che è a favore del tempo, come dice l’etimologia falsa del nome. Scegliendo gli uomini, sceglie la peribilità, la mortalità e ciò che è sottomesso al tempo. Povero Prometeo.

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