venerdì 9 gennaio 2009
Diciotto mesi a Moggi padre, 14 a suo figlio Alessandro. Il reato: violenza privata e minacce, non l’associazione per delinquere. Pene annullate dall'indulto e assolti tutti gli altri imputati.
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Un anno e mezzo di reclusio­ne a Luciano Moggi, un an­no e due mesi al figlio Ales­sandro, assolti gli altri imputati (Franco Zavaglia, Davide Lippi e i collaboratori dei Moggi, Pasquale Gallo e Francesco Ceravolo). Questa la sentenza del processo alla Gea World, la società che, a partire dal 2001 e fino a Calciopoli, ha gestito le procure di numerosi calciatori di Serie A e B. Secondo l’ipotesi dell’accusa i Mog­gi e gli altri imputati sarebbero sta­ti responsabili di un’associazione per delinquere finalizzata all’illeci­ta concorrenza tramite violenza e minaccia. La sentenza, invece, ha smentito questa ricostruzione con­dannando i due Moggi solo per al­cuni episodi di minaccia (violenza privata nei confronti di quattro cal­ciatori) a pene ben più basse dei cin­que e sei anni chiesti rispettiva­mente per Alessandro e Luciano Moggi. Per i due non ci saranno con­seguenze pratiche: i giudici del tri­bunale di Roma, che hanno con­cesso a entrambi le attenuanti ge­neriche, hanno disposto la sospen­sione della pena che sarà comple­tamente coperta da indulto visto che i fatti di violenza privata sono avvenuti prima del maggio 2006. Le motivazioni della sentenza saran­no depositate in 40 giorni. Condanna lieve dunque, e solo per le pressioni esercitate su Nicola A­moruso (passaggio al Perugia e re­voca della procura ad Antonio Ca­liendo) e Emanuele Blasi (rinnovo del contratto previa revoca della procura a Stefano Antonelli) attri­buite a Luciano, e quelle sui russi Victor Budiansky e Ilia Zetulayev (affidamento procura) contestate ad Alessandro. In fin dei conti solo episodi marginali rispetto al quadro tratteggiato dal pm Luca Palamara, il quale aveva parlato apertamente di un’associazione per delinquere che mirava «al controllo del mondo del calcio». Dopo la lettura del dispositivo da parte del presidente della decima sezione del Tribunale di Roma, Lui­gi Fiasconaro, Luciano Moggi ha la­sciato l’aula da un’uscita seconda­ria ed ha così evitato l’assalto dei giornalisti. Uno dei suoi legali, Mar­cello Melandri, ha annunciato che impugnerà la sentenza. Amareggiato per l’esito del proces­so il figlio Alessandro: «Io non ho fatto nulla - ha commentato - i giu­dici hanno detto che non c’è alcu­na associazione per delinquere per­chè non c’è mai stata alcuna asso­ciazione a delinquere. Mi aspettavo l’assoluzione piena per tutti gli im­putati, comunque la Gea è stata as­solta completamente». Il pm Luca Palamara, rappresen­tante dell’accusa che aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati, at­tende il deposito delle motivazioni prima di un giudizio finale. «Alla fi­ne la giustizia, rispetto a tutto il pro­cesso mediatico, è arrivata» è stato il commento di Zavaglia che però si è detto dispiaciuto per Luciano e A­lessandro Moggi. L’inchiesta sul presunto dominio e­sercitato sul mercato dei calciatori e sul condizionamento delle scelte di alcuni club, così come denun­ciato da alcuni calciatori in varie e­poche e troppo spesso sottovaluta­to da addetti ai lavori, era partita nel 2006 dopo il trasferimento a Roma, per competenza territoriale, di atti raccolti dalla magistratura di Torino. Tra le persone coinvolte, e poi usci­te di scena, anche Chiara Geronzi, ex socia Gea, Giuseppe De Mita e Tommaso Cellini, ex dipendenti del­la società. Non sono mancati stra­scichi e fascicoli stralcio aperti in se­guito a dichiarazioni fatte in aula. Ne sanno qualcosa l’attuale ct del­la nazionale inglese Fabio Capello, l’ex dt della Juventus Antonio Gi­raudo ed Emanuele Blasi, finiti sot­to inchiesta per reticenza. A sinistra, Luciano Moggi, per 12 anni alla Juventus, si è dimesso nel 2006 dall’incarico di direttore generale durante Calciopoli A destra, il figlio Alessandro Moggi, ex patron della Gea
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