martedì 14 giugno 2016
PARINI, il fustigatore dimenticato
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Le sorti dei diversi autori nel canone scolastico - vale a dire nel novero degli scrittori e delle opere che si leggono e che si studiano a scuola - sono spesso altalenanti: capita infatti che nomi e titoli fino a ieri considerati imprescindibili finiscano per varie ragioni con l’eclissarsi dall’orizzonte della didattica (o quanto meno con l’appannarsi fortemente). Tra questi temiamo vi sia Giuseppe Parini (1729-1799), forse penalizzato dal trovarsi collocato, nei programmi vigenti, in bilico tra un anno scolastico e quello successivo (precisamente tra la fine del quarto e l’inizio del quinto anno della scuola secondaria superiore). Ed è un vero peccato, perché si tratta di un poeta che se per veste formale e scelte stilistiche appare ancora sotto molti riguardi legato a una temperie artistica per così dire tradizionale, quanto ai temi e ai contenuti della sua opera non c’è dubbio che sia di una straordinaria modernità. A mettere a fuoco con precisione e competenza la vita e gli scritti di Parini può essere utile l’ottima monografia firmata da Giuseppe Nicoletti, ordinario di Letteratura italiana all’Università di Firenze, per Salerno Editrice: Parini (pp. 240, euro 14,50). Ne emerge la figura di uno scrittore per il quale fu centrale la nozione di impegno intellettuale, poiché con lui viene superata in maniera chiara e determinata quella nozione di letteratura come attività puramente estetica ed esornativa che in Italia era in auge da almeno due secoli (dal Marinismo all’Arcadia). “Impegno” per Parini significa intervenire sulle questioni più scottanti del suo tempo. Nella Mi- lano del riformismo teresiano (l’assolutismo illuminato di Maria Teresa d’Austria) l’autore - che, inurbato dalla nativa Brianza, aveva conosciuto da precettore nelle case aristocratiche pregi e difetti della nobiltà lombarda, con il suo capolavoro, il poemetto satirico-didascalico Il Giorno, non esita a satireggiare con sottile ironia ma spesso anche con feroce sarcasmo le frivole abitudini mondane di una classe sociale di cui non si spingeva ad auspicare l’abolizione, ma che certo riteneva bisognosa di un profondo rinnovamento. Parini pensava che in quest’opera di rivitalizzazione della società la letteratura potesse giocare un ruolo importante. Ma per intensificare la propria azione educativa accettò di ricoprire incarichi pubblici, come la docenza alle Scuole Palatine, e di collaborare con l’amministrazione cittadina. Nella chiave di tale impegno si spiegano gli intenti di molti suoi testi, come ad esempio le odi La salubrità dell’aria, vero e proprio manifesto ecologista ante litteram, tutto incentrato com’è su una denuncia dell’inquinamento urbano di allora, e L’innesto del vaiolo, in cui difende la sperimentazione di nuove tecniche immunitarie contro una malattia che allora mieteva numerose vittime. A tali intenti siamo convinti che non sia stata estranea la componente religiosa di Parini. Non va dimenticato che lo scrittore all’età di venticinque anni fu ordinato sacerdote. In genere i biografi scrivono che si fece prete non tanto per vocazione quanto per ottenere il mantenimento economico che una prozia gli aveva promesso affinché Gaetano Monti, Monumento a Giuseppe Parini (1838) Milano, Pinacoteca di Brera potesse studiare, a patto però che alla fine degli studi avesse preso gli ordini sacerdotali. Bisognerebbe dire innanzitutto - in linea generale - che è difficile entrare nella coscienza di una persona per valutare la maggiore o minore “sincerità” di una vocazione. Perciò chi - magari per pregiudizio ideologico parla di “vocazione non sincera” commette un errore sul piano scientifico, affermando l’indimostrabile. Detto questo, poi, nel caso specifico, studiando la vita e gli scritti di Parini non è possibile trovare alcunché che contraddica il suo essere sacerdote. Anzi, siamo piuttosto portati a sostenere il contrario, cioè che il cattolicesimo integrale di Parini - prima ancora che il suo status sacerdotale - sia stato all’origine di molte sue prese di posizione. Abbiamo detto cattolicesimo “integra-le”, non certo integralista, perché Parini fu tutt’altro che clericale, eppure non esitò a condurre un’accesa polemica nei confronti del carattere laicista quando non apertamente ateista di certi settori della cultura illuministica, e soprattutto nei confronti di chi seguiva pedissequamente le mode d’Oltralpe senza alcun vaglio critico. In un celebre verso del Mattino attacca «i novi sofi» e, come scrive Nico-letti, la «vulgata di un edonismo indifferente alle istanze della religione» da essi condotta. Così Voltaire viene soprannominato «morbido Aristippo» in nome dell’edonismo che lo accomunava al filosofo greco e Jean-Jacques Rousseau «novo Diogene » per il disprezzo delle norme e delle convenzioni della convivenza sociale che avevano caratterizzato il filosofo cinico. Le opere degli enciclopedisti, peraltro, vengono immaginate nel poemetto pariniano quale semplice ornamento della toilette del Giovin Signore descrittovi: libri, dunque, neppure letti, ma soltanto esibiti. Sempre in virtù della sua matrice religiosa, nei confronti della Rivoluzione francese Parini apprezzava i valori di libertà, fraternità e uguaglianza che ne erano alla base, ma non poté condividere il radicalismo di alcune posizioni né la deriva violenta e cruenta delle frange estreme del movimento, intellettuale e in parte popolare, che l’aveva promossa. Ma il suo cristianesimo è forse ancor più evidente nella difesa a spada tratta dei diritti dei ceti subalterni. Se Parini era portato per formazione e visione del mondo a paventare un’organizzazione della società in senso democratico (ma questa fu una difficoltà a lungo condivisa, a quei tempi e anche oltre, da ampi settori del mondo cattolico), non esita a pronunciare aspre reprimende nei confronti di chi offende e vessa i più deboli. Come nell’ode La musica, in cui condanna l’usanza disumana di evirare i bambini per mantenere acuta la loro voce e avviarli così alla carriera teatrale come cantanti castrati. O come, nel Mattino, nel celebre episodio della “vergine cuccia”, in cui troviamo una dama vegetariana (una sensibilità, il vegetarianismo, che andava diffondendosi presso le fasce alte della società) pronta a scandalizzarsi di fronte ai maltrattamenti sugli animali e, al tempo stesso, a far morire di fame, gettandolo sul lastrico, un servo con moglie e figli al seguito soltanto perché il pover’uomo aveva osato liberarsi con una pedata dal morso molesto della cagnetta della padrona. Insomma, c’era già allora chi - come ha opportunamente denunciato papa Francesco a proposito di quanto accade oggi - difendeva i diritti degli animali per poi calpestare quelli degli uomini. I suoi critici parlano di vocazione non sincera In realtà la sua fu una fede “integrale” come provano i suoi scritti contro certa cultura di stampo laicista e la sua difesa a spada tratta dei ceti più umili.
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