mercoledì 10 ottobre 2018
Classe 1916, ha cominciato a correre a 70 anni, 1° titolo a 90 adesso è recordman del salto triplo: «Lo sport è fraternità Io credo nell’eterno, l’ho detto al Papa. Il mio segreto? Mia moglie Alba»
Giuseppe “Peppe” Ottaviani classe 1916, ricevuto in Vaticano da papa Francesco

Giuseppe “Peppe” Ottaviani classe 1916, ricevuto in Vaticano da papa Francesco

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Qualche collina più in là dalla casa di “Peppe”, quasi quarant’anni fa (era il 16 febbraio 1979) è nato il “Fenomeno” del Motomondiale, il Dottore di Tavullia Valentino Rossi. Con il suo Ape truccato, da ragazzino Vale scorrazzava piegando per i tornanti che portano fino al paesino di Sant’Ippolito, 1600 anime a 15 chilometri dal sipario Ducale di Urbino, dove “Peppe”, al secolo scorso Giuseppe Ottaviani, è nato il 20 maggio 1916. Avete capito bene, 102 anni. E questo arzillo giovanotto, che corre per le 103 primavere, è l’atleta praticante - in ben 11 specialità dell’atletica leggera - più longevo d’Italia. Un fenomeno assoluto, l’unico triplista al mondo che alla sua età è in grado di saltare oltre i 4 metri e trenta centimetri: 3,30 anche agli ultimi Mondiali Master di Malaga. Vicino a lui, il “dottore del calcio”, Lamberto Boranga, ex portiere di Serie A, e anche lui recordman e campione mondiale della categoria Master, è un ragazzino con i suoi 76 anni (li compie il prossimo 20 ottobre).

La storia di “Peppe” Ottaviani è da film, e ha pensato bene di raccontarla Domenico G.S. Parrino, regista del docufilm Cent’anni di corsa. «Per oltre un anno abbiamo catturato i momenti importanti di Giuseppe – spiega Parrino – . Dal passaggio dai 99 ai 100 anni, dai campionati italiani fino alle gare di atletica outdoor. Un lavoro di riflessione sul tempo attraverso la concezione personale dell’eternità di Ottaviani, una prima ricerca spirituale sul senso della vita». La vita avventurosa del sarto del paese. Mestiere che Peppe ha svolto fino a settant’anni, quando sulla scia di amici «dei quarantenni», scopre la sua seconda vita, la passione per l’a- tletica. Chiude con il cucito e comincia a tagliare traguardi. «Era la fine degli anni ’80 quando babbo ha preso il via grazie alla dritta che gli diedero i fratelli Paolo e Giuliano Costantini, allora giovani Master », racconta Paolo, il primogenito di Peppe («poi ci sono le due femmine: Marzia la più piccola che si è data alla maratona amatoriale e la mezzana, Matelda, farmacista a Rimini») che nella “dinastia olimpica” degli Ottaviani può vantare il suo personalissimo record: «Credo di essere l’unico figlio al mondo che fa l’allenatore del proprio babbo».

Fino a 94 anni, tranne i consigli tecnici dell’amico fraterno, il coach Mauro Angelini, era assolutamente indipendente in tutte le sue trasferte agonistiche. «Babbo per una gara saliva a Milano in treno, rigorosamente da solo. Adesso lo accompagno e lo seguo nella mezz’ora di allenamento, le sgambate che si concede ogni due giorni». Allenamento costante e una dieta sana e certosina, lo ha portato a conseguire risultati straordinari. Vent’anni fa, nel ’99, la prima vittoria a un campionato italiano è stata il viatico per la conquista di 56 titoli italiani - con 13 record nazionali - , 8 record europei e altrettanti mondiali ». Ma l’apice della carriera di atleta “postumo” è stato il 2,14 nel salto in lungo e i 4, 46 metri nel triplo, entrambe le prestazioni all’aperto, alla veneranda e invidiabile età di 95 anni. Il segreto? «L’ho detto già due anni fa a Carlo Conti che mi aveva invitato sul palco dell’Ariston, ospite al Festival di Sanremo: l’amore per mia moglie Alba». L’oro delle tante medaglie vinte non vale il platino delle nozze con Alba Michelini «molto più giovane di me. È una “ragazza”, fino a poco tempo fa mi seguiva anche in palestra», sottolinea Peppe. Alba, 94 anni, è la «maestra» che a Sant’Ippolito, c’era arrivata per insegnare alle scuole elementari - dal vicino paese di Fratte Rosa, assieme al fratello don Livio «che è stato parroco dal 1950 al 2016, quando è morto».

Ricordi vivi nella mente lucida e la memoria che sembra scolpita nel marmo dei famigerati scalpellinisti di Sant’Ippolito. «Vorrei incontrarti tra cent’anni... », canta Ron, e lo stesso messaggio, è quello che dal barbiere del Montefeltro fino a papa Francesco, Peppe invia a tutti coloro che non hanno ancora capito che non esiste un tempo per cominciare e neanche uno per smettere di fare sport. A breve, come ad ogni inizio di nuovo anno accademico all’Università di Urbino, Ottaviani terrà la prolusione per gli studenti della facoltà di Scienze Motorie. «Io mi sento uno di loro, sempre. Per questo ai giovani ricordo che sono nato durante la Grande Guerra e che nella Seconda sono stato militare, in Aeronautica per sette anni. Ho visto Torino bombardata, la fame e la necessità di emigrare in Francia. Poi la ripresa di questo Paese e la fatica quotidiana per mandare avanti la famiglia che è la mia vita, come lo sport».

L’attività fisica e la gara, il confronto con gli altri vissuta con spiritualità. «Quando per il mio 100° compleanno sono andato a Roma da papa Francesco ci siamo abbracciati e poi mi ha chiesto: “Peppe, ma tu credi nell’eternità?”. E io gli ho risposto: certo Santo Padre, infatti io credo che noi ci rivedremo qua, esattamente tra cento anni... Lui ha sorriso e mi ha detto: “Peppe, sei un grande ottimista!” ». Un inguaribile ottimista. Un uomo verticale che si abbevera alla fonte della curiosità. «A 94 anni papà mi ha chiesto di comprargli un computer... – racconta Paolo – Gli ho chiesto come mai? E lui: “Perché so che Google può darmi delle risposte”». Le risposte più importanti però le ha sempre chieste, da «devoto» alla Madonna di Loreto. «Sono un credente che ha maturato la fede sulle ginocchia di mia mamma, Annunziata». Prega, suda e corre felice Peppe che nel suo cammino da autentico atleta di Dio non smette mai di ripetere che «lo sport è gioia, amicizia, eguaglianza... È fraternità». Messaggi che l’hanno reso un punto di riferimento. Nel Montefeltro ormai è famoso quanto Valentino Rossi. «Valentino non l’ho mai incontrato... Mi conoscono tutti, ma io, tranne la mia famiglia e gli amici di Sant’Ippolito non conosco nessuno. Però mi piace conoscere la gente e parlare in mezzo alla confusione che fanno i ragazzi. A loro dico: siate curiosi, se vivi nell’indifferenza non sarai mai utile al mondo».

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