mercoledì 18 maggio 2016
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Bravissimi come sono nel nascondere e truccare, i materiali nanostrutturati grazie a proprietà diverse da quelle dei medesimi oggetti di unità più grandi, sembrano per loro stessa natura ideali a interventi impercettibili anche nel campo dell’arte: del resto, come non pensare ad esse per “restaurare” un tale patrimonio? In effetti, seppur inconsapevolmente, l’uomo ha sfruttato le proprietà nanometriche già secoli prima che si potessero osservare. Uno dei primi esempi di nanotecnologie nel-l’arte risale addirittura alla Roma del IV secolo a.C. con la coppa diatreta di Licurgo, caratteristica per la colorazione del vetro: il calice appare verde, se illuminato frontalmente, mentre se la sorgente di luce viene posta all’interno della coppa, il vetro risulta di un’intenso rosso rubino. Oggetto di approfonditi studi scientifici sin dalla metà del ’900, solo di recente si è compreso che la variazione del colore è dovuta all’inclusione nel vetro di piccole particelle (50-100 nm) di una lega di oro e argento. Il colore di nanoparticelle di questi due metalli preziosi è diverso da quello di dimensioni maggiori degli stessi: le particelle d’oro, ad esempio, sono rosse, quelle di argento gialle. E ancora: nano composti come l’idrossido di calcio – molto comune in architettura da piû di 2000 anni – sono stati prodotti ed impiegati in interventi di restauro su vari manufatti artistici quali affreschi o protezioni di carta e legno, di tele o dipinti ad olio. La carta, ad esempio, si degrada e, se per la scrittura del testo si è usato un inchiostro ferro gallico, corrode a tal punto che del manoscritto non restano che briciole. Come proteggere dunque questi documenti dal degrado per 300 o 400 anni? Come assicurarci che i nostri figli possano leggerli, manipolarli e a loro volta tramandarli? Il primo passo sta nell’osservare come avviene il processo di degrado per poi bloccare le reazioni chimiche che lo inducono. Ed ecco il soccorso delle nanoscienze. “Basta” produrre delle nanoparticelle di opportuno materiale – cioè idrossido di calcio – vaporizzarle sulla carta e il foglio così trattato rivive e si stabilizza: se non proprio per magia, grazie ad un’alchimia, la carta non invecchia più! Questi metodi di conservazione sono stati studiati e resi fruibili ai restauratori di tutto il mondo dal gruppo di ricerca di Piero Baglioni, docente del dipartimento di chimica dell’università di Firenze, che ha realizzato i materiali più avanzati e sicuri oggi disponibili, in grado di restaurare e conservare circa il 90% dei manufatti artistici classici, risalenti, cioè, ai primi anni del secolo scorso. L’arte moderna e contemporanea è ancora “non” protetta e per questo oggi è la materia privilegiata di indagine. Incoraggiante l’ottimismo dell’occhio esperto di Baglioni: «anche i “moderni” fra qualche anno saranno salvati» assicura. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il caso della coppa di Licurgo, di epoca romana, che cambia colore in base alla luce diventando verde o rosso rubino. Un effetto dovuto a frammenti infinitesimali di una lega di oro e argento inseriti nel vetro BICOLORE. La coppa diatreta di Licurgo
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