lunedì 7 maggio 2012
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​Un po’ di timore in più, per il fatto di dirigere «davanti a un Papa che è anche un raffinato musicista», non lo nasconde. Riccardo Muti venerdì sarà in Vaticano, in Aula Paolo VI, per un concerto che celebrerà il settimo anniversario di elezione di Benedetto XVI. Un "regalo" al Pontefice di Giorgio Napolitano e, dunque, dell’Italia. «Sono legato da un profondo affetto al Presidente della Repubblica e quando mi ha invitato a offrire questo concerto al Papa sono stato felicissimo. Tanto più che ammiro Ratzinger, fine teologo che ha la rara capacità di trasmettere i concetti più profondi in maniera assolutamente semplice così che le persone anche meno colte possano intendere i suoi messaggi».Muti dirigerà orchestra e coro dell’Opera di Roma. «Ho messo sul leggio il Magnificat di Antonio Vivaldi – con noi ci sarà Daniela Barcellona –, lo Stabat Mater e il Te Deum di Giuseppe Verdi. Musiche a me molto care, che hanno segnato il mio cammino di musicista e di uomo».Il repertorio sacro è da lei sempre molto frequentato: solo grande musica o dentro trova una spiritualità che sa parlare ancora all’uomo di oggi?Credo che qualsiasi musica che abbia ispirazione viva e profonda acquisti sacralità, diventi espressione dello Spirito. Quando eseguo pagine ispirate dalla Bibbia o dalla liturgia sento la trascendenza che le pervade. La storia della musica, poi, deve molto all’interesse culturale della Chiesa: senza la Chiesa la storia della musica sarebbe certamente diversa, più povera tanto a livello di quantità, ma soprattutto di qualità.Benedetto XVI sarà il terzo Papa davanti al quale lei dirigerà. Nel 1965 suonò per Paolo VI.Ero ancora allievo del Conservatorio di Milano e andai in Vaticano per dirigere orchestra e coro degli studenti – e tra le coriste c’era anche Cristina, che poi sarebbe diventata mia moglie, che allora studiava canto. Rimasi profondamente colpito dalla figura ieratica di Montini. Per il Papa, che era stato arcivescovo di Milano, scelsi pagine di Scarlatti e Vivaldi.Diverse, invece, le occasioni in cui ha diretto per Giovanni Paolo II.E ogni volta ho potuto sentire il calore e il carisma di questo uomo straordinario. Nel 1986 portai in Vaticano la Messe du Sacre di Cherubini con i complessi della Rai, nel 2000 la Messa in si minore di Bach con i Wiener. Ma l’incontro più emozionante fu nel 1983 alla Scala: il Papa che era seduto in platea volle salire sul palco e parlare in mezzo ai musicisti. Conservo ancora la foto di quel momento.Venerdì andrà in Vaticano con l’Opera di Roma, la sua nuova famiglia musicale insieme alla Chicago symphony. Tanto che per dedicarsi a queste formazioni ha sfoltito la sua agenda: a Salisburgo, ad esempio, non dirigerà più l’opera.Almeno per ora sì. Anche perché un’orchestra per un direttore alla fine diventa proprio come una famiglia che ha bisogno di tempo e attenzione. L’Opera di Roma è il biglietto da visita musicale della nostra Capitale nel mondo. E non ha bisogno solo di una visita passeggera ogni tanto: anche se non ho la carica di direttore musicale, il mio impegno è di essere vicino a questo teatro per aiutarlo nella crescita. Tutti si stanno impegnando e mi sembra che ci siano le potenzialità per sviluppare sia al Costanzi sia negli spazi di Caracalla un discorso culturale che possa ridare a Roma quel prestigio che merita.Dirigerà mai a Caracalla lei che non ha mai voluto fare musica all’aperto?Stiamo già lavorando alla stagione 2013 che sarà improntata a proposte più impegnate e quindi se riusciremo a fare di Caracalla un luogo che valorizzi le origini e la storia della città di Roma certamente darò il mio contributo anche in quella sede.A inizio giugno Benedetto XVI sarà a Milano per il VII Incontro mondiale delle famiglie. Secondo lei, che ha sempre voluto accanto la famiglia nei momenti importanti, oggi come è considerata questa istituzione?C’è uno sgretolamento non solo in Italia, ma nel mondo, c’è una crisi che la famiglia sta attraversando, anche per via delle difficoltà economiche. Ma sono convinto che proprio la famiglia rimanga il fulcro che tiene insieme la società. A proposito di crisi lei come vede l’Italia dei tecnici?Non ne capisco molto. Spero solo che questo governo di persone serie possa fare qualcosa e aiutare e dare una speranza a chi non riesce ad arrivare alla fine del mese.E i suoi appelli in difesa della cultura e della musica rimangono ancora inascoltati o qualcosa si sta muovendo?In gran parte, purtroppo, restano inascoltati. Fino a quando andremo avanti con una televisione che continua a potenziare e a mandare in onda trasmissioni demenziali, anticulturali che non aiutano certamente la società a migliorare, i miei appelli e quelli dei mie colleghi resteranno gocce nel mare.Santa Cecilia e la Scala hanno conquistato l’autonomia. Spera che questo assetto arrivi anche all’Opera di Roma?Mi auguro solo che i nostri teatri non perdano la loro identità. Si può parlare di autonomia, cosa importante, certo, ma alla fine quello che davvero conta è che i teatri italiani continuino ad essere i depositari della nostra grande cultura. Se perdiamo questo l’autonomia è cosa vuota.
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