sabato 12 novembre 2016
Lo scozzese, nuovo numero uno al mondo: «Essere diventato papà il mio successo più grande»
Murray, il Braveheart del tennis
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Salire sul tetto del mondo non è tutto. Nella vita c’è qualcosa che vale di più. «Raggiungere il primo posto è uno dei più grandi successi della mia carriera, dopo essere stato per molti anni al secondo, terzo, quarto…Ho avuto bisogno di molta pazienza e ho lavorato davvero duramente per raggiungere questa posizione. Ma essere padre per la prima volta è l’avvenimento migliore che mi sia capitato quest’anno». Lo scozzese Andy Murray, nuovo numero uno del tennis mondiale, non ci ha pensato un attimo a commentare così la sua scalata ai vertici delle classifiche Atp.

Eppure parliamo di un giocatore che ha sempre fatto fatica a scrollarsi di dosso l’etichetta di “perdente di successo” con almeno venti finali perse (otto quelle slam) in una carriera che comunque gli ha riservato tante gioie. Vincitore due volte a Wimbledon, una volta agli US Open, unico tennista nella storia delle Olimpiadi a vincere due ori nel torneo singolare (Londra e Rio). Oltre a firmare nel 2015, in coppia con il fratello Jamie, il ritorno al successo in Coppa Davis della Gran Bretagna interrompendo un digiuno di 79 anni. Ha pagato certo in questi anni il confronto con veri mostri sacri di questo sport: Federer, Nadal e Djokovic gli hanno spesso negato la vittoria sul più bello. Al punto che lui stesso incupitosi si paragonava al LeBron James che arrivava sempre secondo. Molti gli rimproveravano anche una certa scontrosità che viene con ogni probabilità da lontano.

Andy, nato a Glasgow nel 1987 e cresciuto a Dunblane, a tre anni aveva già la racchetta in mano sotto la guida esigente della madre, insegnante di tennis. Dopo aver vinto subito tornei a livello internazionale, a tredici anni non ne poteva già più. Piantò il tennis per il calcio facendosi peraltro notare dai Rangers Glasgow. Ma tornò presto alla racchetta per non abbandonarla più. Della sua infanzia parla mal volentieri. Di sicuro fu uno choc quando a otto anni uscì illeso insieme al fratello al massacro della scuola elementare di Dunblane: un uomo armato entrò nella struttura e aprì il fuoco uccidendo sedici bambini e un’insegnante. I due fratelli Murray riuscirono a salvarsi per miracolo. Ma un macigno fu anche la separazione dei genitori l’anno dopo: «Quando sei un bambino - ha confessato al Daily Mail - non capisci il divorzio. Vedere nostra madre e nostro padre litigare è stato duro per me e Jamie, ma loro sono stati ottimi genitori. Ci hanno dato tantissime opportunità e si sono impegnati al massimo. Anche se non è facile per un bambino trovarsi in mezzo a tutto quanto».

Decisivo l’incontro con Kim Sears che ha sposato l’11 aprile 2015: «Stiamo insieme da quando avevamo diciott’anni. Abbiamo avuto alti e bassi, come tutti, ma con la vita che ho e i viaggi continui e non vederla per tanto tempo è stato un impegno davvero importante per noi. Siamo stati molto fortunati ad incontrarci e siamo molto fortunati ad andare d’accordo così bene. Ho sempre voluto una famiglia, un matrimonio che funzionasse, fin da quando ero molto giovane». Un rovescio senza precedenti l’ha messo a segno nella vita di Murray la piccola Sophia nascendo nel febbraio scorso. Gli organizzatori degli Australian Open avevano tremato quando lo scozzese poi arrivato in finale (persa per la quarta volta consecutiva contro Djokovic) minacciava di tornare a casa appena la moglie avesse partorito: «Per me è più importante mio figlio, è più importante mia moglie, di una partita di tennis». E la paternità ha avuto immediati riflessi già nel 2016. A parte l’ennesima finale persa al Roland Garros a Parigi (contro il solito Djokovic) e la delusione in semifinale di Coppa Davis, Murray ha indossato i panni di Braveheart e da impavido combattente ha iniziato ad alzare coppe in successione invece del solito piatto d’argento: Internazionali d’Italia, Wimbledon e medaglia d’oro a Rio spiccano in un bottino da incorniciare in questa stagione.

Deciso e determinato come non mai, questo energico scozzese di 191 centimetri si scioglie soltanto nel ripensare alla prima volta che ha preso in braccio sua figlia in ospedale: «La tenevo in braccio ed è lì che ho iniziato ad essere emozionato. Non c’era nessuno ad aiutarmi, ero io responsabile per lei». Salvo poi ritornare duro condottiero quando qualcuno ha insinuato che dietro qualche prestazione deludente ci fossero i nuovi impegni domestici legati alla bimba: «Non è vero, ma se lo fosse? Sarebbe così importante? Preferisco svegliarmi la notte ed essere lì per lei che vincere ogni incontro e ritrovarla, più grande, a pensare: “Beh, sai che c’è, era un papà di m… ma ha vinto un sacco di incontri di tennis quindi va bene così, ben fatto”». È questo l’ace, il colpo più difficile da realizzare: «Diventare un genitore ti cambia la vita. La mia preoccupazione principale è quella di essere un buon padre. Certo, voglio continuare a fare bene nel mio lavoro e mi alleno duramente, ma la mia priorità è essere un buon padre». Senza più pensare alle sconfitte: «Spero non accada, ma se il mio tennis scende un poco di livello non importa. Sono davvero felice d’essere diventato padre. Normalmente dopo due tornei andati male sarei molto giù di morale. Invece ora anche se sono dispiaciuto, sono molto felice per la mia vita familiare».

Dicono che sia salito sul trono soltanto per una serie di coincidenze sfortunate dei suoi celebri rivali. Ma lui, a 29 anni, il tennista più anziano a diventare numero uno (dopo John Newcombe), non si scompone affatto. «Adesso voglio solo godermi la prima posizione, perché potrebbe durare una sola settimana». E riconosce: «Nadal, Federer e Djokovic sono tre dei migliori giocatori di tutti i tempi è molto difficile dover competere con loro, ma mi hanno anche aiutato un sacco. Grazie a loro ho sempre avuto gli stimoli per migliorare». Ma per Murray la partita più grande si gioca fuori e riguarda Sophia: «Non è importante quanti soldi guadagnerà o quanto successo avrà. Voglio che mia figlia abbia una vita felice. È tutto qui».

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