venerdì 6 novembre 2015
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Il 9 novembre è il giorno commemorativo della distruzione dello Stari Most, il Vecchio Ponte di Mostar. Un ponte unico nel suo volo a più di 20 metri sopra le acque verdi della Neretva. Finito nel 1566 dall’architetto Hajruddin, era il più lungo ponte in pietra allora conosciuto, 30 metri di slancio verso il cielo e poi a scendere, con un arco a sella d’asino senza eguali. Lo componevano centinaia di grossi blocchi di pietra connessi da incastri e tasselli, l’opera più complessa realizzata dagli architetti ottomani che in Bosnia costruirono venti ponti simili, tra cui quello di Višegrad immortalato da Ivo Andric ne Il ponte sulla Drina, ma nessuno spettacolare come quello di Mostar.  In mancanza di fonti scritte che ce la raccontino, misteriosa è rimasta la tecnica usata da Hajruddin per costruirlo. Come tenne in piedi i ponteggi sul fiume per quasi un decennio? Come trasportò e fissò i massi in alto? Hajruddin rispondeva con la vita della riuscita dell’opera e alla vigilia dell’inaugurazione, al momento di togliere i ponteggi d’appoggio, dette disposizioni per l’eventuale funerale. Lo Stari Most favorì la nascita della città che si chiamò appunto Mostar. Nel 1990 superava i 100.000 abitanti ed era il capoluogo dell’Erzegovina, la regione bosniaca protesa verso l’Adriatico. Gli abitanti erano al 40% musulmani, al 30% croati cattolici, al 30% serbi ortodossi.  Poi, la guerra. La vicenda di Mostar esemplifica il conflitto bosniaco degli anni Novanta. Nella città è un «tutti contro tutti». Inizialmente sono i serbi contro i croati e i musulmani. Obbligati i serbi al ritiro, non senza infliggere loro una pulizia etnica, si affrontano croati e musulmani. Prevalgono i croati, con i musulmani in parte cacciati. Infine la città vede l’afflusso di numerosi croati oggetto di pulizia etnica da parte dei musulmani nella Bosnia centrale. Sicché Mostar diventa maggioritariamente croata, con i musulmani raggruppati sulla riva sinistra della Neretva. Nonostante vent’anni di pace, Mostar è tuttora una città divisa, con doppia amministrazione, doppi servizi, doppia polizia, doppia posta.  La distruzione dello Stari Most avvenne il 9 novembre 1993 ad opera delle artiglierie croate che sparavano sulle forze musulmane. Minima era la rilevanza militare del ponte, solo pedonale. Grande invece la rilevanza simbolica, rappresentando la storia turca della città. Nel 2013 il Tribunale dell’Aja ha condannato per crimini di guerra sei capi politici e militari dei croati d’Erzegovina, e la distruzione dello Stari Most è uno dei reati loro addebitati. Fu in effetti un atto di profondo odio etnico. L’aggettivo sembrerebbe improprio perché croati e musulmani bosniaci hanno comune origine, essendo un solo popolo slavo prima della conquista ottomana. Tuttavia per i croati che bombardavano lo Stari Most i concittadini musulmani erano diventati dei turchi, come fossero etnicamente diversi.  La distruzione del ponte significava il rigetto di una Mostar al plurale. La città doveva diventare la capitale della Bosnia croata, come Sarajevo lo era della Bosnia musulmana e Banja Luka della Bosnia serba. Per inciso, tutte e tre le parti belligeranti nella guerra di Bosnia (serbi, croati, musulmani) si sono massacrate, ciascuna per quanto era in suo potere fare, tutte praticando pulizie etniche e crudeltà efferate. Dalla guerra di Bosnia nessuno esce innocente. La distruzione dello Stari Most voleva cancellare la storia per rendere straniero alla città un settore dei suoi abitanti, legittimandone la pulizia etnica. Allo stesso modo in Bosnia si distruggevano reciprocamente chiese, moschee, cimiteri, musei, monumenti che erano altrettanti pegni della presenza storica delle varie nazionalità bosniache nei diversi luoghi della regione.  Lo Stari Most è stato ricostruito nel 2004. Dov’era, com’era – come si disse a Venezia per il campanile di San Marco. In realtà la copia, accurata nelle forme e nei materiali, non eguaglia il vecchio ponte. I secoli non si ricalcano. Troppo splendore di nuovo e di bianco. Poco importa: ogni anno affluiscono 600.000 turisti. Molti sono italiani che associano la visita al nuovo Stari Most al pellegrinaggio nella vicina Medjugorie. E il turismo è la principale risorsa di una città mai ripresasi dalla guerra, con una disoccupazione oltre il 50%. Magia di un ponte, erroneamente associato a un’identità etnica quando invece esprime l’universale genio umano, come attestato dal riconoscimento Unesco.
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