lunedì 14 luglio 2014
​La scrittrice sudafricana è scomparsa a Johannesburg all'età di 90 anni. In "Luglio" raccontò la "rivincita" dei neri contro l'apartheid.
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Nel 1991, quando Nadine Gordimer ricevette il Nobel per la letteratura, Nelson Mandela era già stato liberato e il Sudafrica aveva faticosamente intrapreso il cammino che, da lì a due anni, avrebbe portato all’abolizione dell’apartheid. Non per questo la decisione di premiare la scrittrice di Johannesburg – la città in cui è la Gordimer morta all’età di 90 anni – poteva essere considerata priva di coraggio politico. Figlia di genitori ebrei ed educata in scuole cattoliche, Nadine Gordimer non era una donna conciliante. In uno dei suoi libri più famosi, Luglio (1981), il latente conflitto sudafricano era interpretato senza retorica e proiettato in un futuro drammatico, nel quale le parti finivano per ribaltarsi: i neri che prendono il potere, i bianchi perseguitati e cacciati. Ecco quello che sarebbe accaduto se il Paese non si fosse preso le proprie responsabilità davanti alla storia. A Nadine Gordimer è accaduto quello che raramente a uno scrittore accade, e cioè di poter contribuire con i suoi libri a un cambiamento epocale. Narratrice di impianto classico e saggista acuta, a dispetto di qualche concessione alle ideologie del momento, con i suoi libri (editi in Italia da Feltrinelli) ha saputo rappresentare la coscienza critica e inquieta di una nazione in un momento cruciale del suo sviluppo. Oltre a Luglio, i titoli da ricordare sono i romanzi Un ospite d’onore (1970), Storia di mio figlio (1990), Nessuno al mio fianco (1991), i racconti di Beethoven era per un sedicesimo nero (2007) e le lezioni di poetica contenute in Scrivere ed essere (1995).
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