martedì 4 novembre 2014
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«Tutto per me è misterioso e metto una M maiuscola al Mistero», rivela con umiltà il celebre teorico francese della 'complessità' ormai novantenne: «Noi aspiriamo a un’altra vita, a un altro mondo. Riconosco questo bisogno, è anche mio, ma non aderisco per questo a una religione e a Dio. Ecco la mia professione di fede». L’altro, polemista di lungo corso, replica: «Mi inserisco nella tradizione musulmana. Credo in un Dio unico e, nella mia tradizione, vi è una nozione che raggiunge l’intuizione che lei esprime, la fitrah, l’aspirazione naturale verso il senso, l’ideale, il Trascendente (e il suo Mistero, con una 'M', rimanda alla trascendenza?). Si tratta di una scintilla, di una luce presente nel cuore di ciascuno».  Nessuno o quasi si attendeva un libro costruito su un lungo dialogo a tutto campo fra il filosofo Edgar Morin e l’intellettuale musulmano oggi professore a Oxford Tariq Ramadan, con origini familiari egiziane (è il nipote diretto del fondatore dei Fratelli musulmani) e ancora recentemente bandito o quasi oltralpe a livello istituzionale, soprattutto per la sua critica a tratti acerba della laicità alla francese. Le dense pagine di Au péril des idées (Accettando il rischio delle idee, Presses du Châtelet) hanno dunque già il pregio di estendere i limiti del paesaggio intellettuale, che anche nella Francia innamorata dei dibattiti aveva in realtà offerto negli ultimi anni degli esiti spesso scontati al nobile e antico genere del dialogo. Di scontato, nella conversazione in terra araba (Marrakech) fra Morin e Ramadan, c’è invece poco, anche perché i due si dichiarano fin dall’inizio come pensatori in movimento. Sulla laicità, in particolare, Ramadan riconosce: «Ho fatto un certo cammino, ho cambiato opinione e sono giunto alla conclusione che in Francia ci occorre una laicità applicata alla lettera e nel suo spirito, completamente e in modo egualitario. I musulmani non hanno alcun problema con questo». L’ex vedovo Morin, invece, ha fatto negli ultimi anni un percorso di comprensione geograficamente opposto, anche grazie all’influenza della sua nuova consorte, la sociologa franco-marocchina Sabah Abouessalam, docente a Parigi e a Rabat, la quale a un certo punto interviene nel dibattito fra uomini per chiedere frontalmente a Ramadan cosa pensa dei diritti spesso negati alle donne nel mondo arabo- musulmano. La risposta è chiara: «Il discorso tradizionale musulmano promuove l’uguaglianza in termini di dignità, l’uguaglianza davanti a Dio e fa riferimento alla nozione di 'complementarietà' sul piano sociale. Mi oppongo a quest’approccio. In nome della complementarietà sociale, che permette pressappoco tutto, s’instaura e legalizza la discriminazione. Il padrone e lo schiavo, in questo schema, sono esseri complementari». Spesso accusato in passato di una certa doppiezza intellettuale in base ai contesti in cui si esprimeva, Ramadan afferma adesso nero su bianco che la «sua tradizione» ha ispirato forti errori e deviazioni a livello sociale. Non è un’affermazione da poco, se si considerano l’influenza e popolarità di cui l’intellettuale gode da tempo nei Paesi musulmani.Fra i maggiori nei dello scambio, a tratti, c’è una certa tendenza di Morin e Ramadan a offrire un’immagine sbrigativa della storia del cristianesimo, talora ai limiti della distorsione. Ma il dialogo offre pure tanti spunti di qua-lità, soprattutto quando evidenzia come dei percorsi intellettuali diversissimi possano approdare a conclusioni sostanzialmente convergenti. Come nel caso del laicismo, denunciato vigorosamente da entrambi. In Francia, «l’interpretazione della laicità è divenuta febbrile e settaria», afferma Morin. L’altro acconsente e osserva: «Con l’ideologia laicista, il serpente si morde la coda: ci si è battuti per la diversità e la neutralità dello spazio pubblico ed ecco che la laicità viene istituita come nuova religione che esclude tutte le altre».  Con un andamento molto aperto, il dialogo abbraccia anche tante altre questioni chiave, come l’educazione, l’etica, l’identità, l’integrazione delle minoranze, l’eredità coloniale, la scienza, soffermandosi pure sulla crisi israelo- palestinese. Lo scambio si chiude significativamente con il tema del perdono, che offre a Ramadan l’occasione per un ultimo omaggio imprevisto: «In Brasile, dom Hélder Câmara mi ha fatto riscoprire questa nozione di amore così cara alle spiritualità più profonde e più esigenti. L’amore è una scuola di perdono e il perdono è la luce dell’amore». Poi, ad accogliere i dialoganti è un ristorante italiano, in nome forse delle antiche virtù d’incontro della nostra cucina.
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