martedì 1 settembre 2020
Pio XI lo definì «il cattolico mussulmano». Grande orientalista, terziario francescano e mistico. L'accoglienza e le cure ricevute da alcuni contadini musulmani gli fecero ritrovare il cristianesimo
Un'immagine dell’orientalista Louis Massignon

Un'immagine dell’orientalista Louis Massignon - Archivio

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«Un uomo a cavaliere di più realtà, traghettatore attraverso confini, al margine di più mondi e sistemi di rappresentazione » così, Manoël Pénicaud, nella sua recente e appassionata biografia, presenta Louis Massignon. Le “catholique musulman” (Bayard, pagine 432, euro 23,90), come lo definì nel 1934 Pio XI. Decano dell’islamologia francese, diplomatico di spessore che non fece mancare la sua voce agli accordi di Sykes–Picot né alla nascita di Israele, né ai profughi palestinesi e neppure agli araldi della decolonizzazione arrivando fino alla guerra di Algeria.

Professore al Collège de France, docente volontario nei corsi serali nelle banlieue parigine e nelle carceri, terziario francescano, mistico e pensatore cattolico di prim’ordine, questo e molto altro è stato lo studioso francese oggi quasi dimenticato in Francia e quasi mai davvero conosciuto da noi in Italia. Se si escludono La parola data (Adelphi), Il soffio dell’Islam e L’ospitalità di Abramo (Medusa) poco altro è stato pubblicato, tra cui va comunque ricordato il suo epistolario con Giorgio La Pira.

Forse un giorno questo grande savant troverà finalmente l’attenzione che merita, soprattutto nelle terre che si affacciano sul Mediterraneo luogo di incontro privilegiato delle tre religioni abramitiche, al cuore della fede di Massignon. Oggi si fa più pressante che mai l’importanza della sua opera, almeno quanto lo era nel periodo del suo impegno politico e spirituale, tra il 1917 e il 1962. In quel torno d’anni l’islamologo d’Oltralpe attraversa grandi eventi e incontra alcune delle personalità più importanti del Novecento.

Nulla si è fatto mancare del secolo passato. Le due guerre mondiali, la colonizzazione del Marocco, la fondazione dello Stato di Israele e l’indipendenza dell’India, Charles de Foucauld, Paul Claudel, Jacques Maritain, Lawrence d’Arabia, Ibn Saud e il generale de Gaulle, Georges Bataille, Jean Daniélou, Judah Magnes e Martin Buber, le figure di spicco del nascente Stato di Israele, e poi ancora Muhammad Iqbal, Gandhi e l’India all’epoca in cui Madre Teresa inizia il suo apostolato tra gli intoccabili e lebbrosi di Calcutta.

Nato nella villa di famiglia a Nogent– sur–Marne nel 1883 e morto a Parigi nel 1962, Louis Massignon comincia il suo cammino di studio in Marocco concentrandosi sulla figura di Leone l’Africano e appassionandosi poi sempre più ai legami tra modelli spirituali e politici. Durante un viaggio in Mesopotamia, nel 1908, viene salvato da una grave infezione da alcuni contadini musulmani che gli offrono ospitalità. L’accaduto sancirà non solo il riconoscimento del ruolo dell’accoglienza nelle relazioni tra gli uomini ma anche la sua riconversione al cattolicesimo.

È proprio l’ospitalità a essere centrale nell’esperienza religiosa e politica di Massignon. In essa lo studioso francese riconosce il sigillo dell’umanità come un tempo era accaduto per le leggi non scritte evocate da Antigone. Senza ospitalità non di dà alcun incontro né conoscenza dell’Altro. A rafforzare la convinzione sarà la frequentazione, non solo intellettuale, con l’esperienza mistica di Mansur Al–Hallâj, il sufi nato a Baghdad nell’857 e torturato e condannato a morte il 27 marzo 922. A lui Massignon dedica la monumentale tesi di dottorato in quattro volumi discussa nel 1922 e che meriterebbe una traduzione italiana.

Nello studioso francese ricerca intellettuale e ricerca spirituale si intrecciano in maniera inestricabile. Lo conferma la tensione al martirio che mutua da Charles de Foucauld. Sarà proprio il “fratello del deserto” a esortarlo, al tempo della Grande Guerra, a lasciare il quartier generale per sopportare le sofferenze della fanteria coloniale sul fronte orientale.

Sulle orme di De Foucauld Massignon desidera e attende costantemente il martirio, dono integrale di sé per l’altro e per Dio. Ma non conoscerà mai questa grazia, tanto da decidere di trasmutare la sua vocazione in una diversa testimonianza. Essa maturerà nel 1934 nella creazione di gruppo di preghiera, un vero e proprio sodalizio, chiamato Badaliya che rende in arabo il termine sostituzione. In essa i cristiani pregano per la salvezza dei musulmani, e non per la loro conversione.

Manoël Pénicaud ha il merito di mettere in luce come l’idea della sostituzione mistica, centrale nel pensiero e nell’esperienza di Massignon, derivi non solo della frequentazione di teologi ma da Joris–Karl Huysmans. Amico del padre dello studioso, l’autore di À rebours nel 1900 non è più il campione dell’estetismo che troneggia nei manuali di letteratura.

E il 27 ottobre di quell’anno, su ispirazione del padre, Massignon si reca da solo a Ligugé, vicino a Poitiers e all’Abbazia di Saint– Martin, dove Huysmans si è ritirato all’indomani della conversione al cattolicesimo. Immerso nella scrittura di Sainte Lydwine de Schiedam, il letterato spiega al giovane diciassettenne i principi della “sostituzione mistica” e della “reversibilità dei meriti” secondo cui «ognuno è responsabile delle colpe degli altri e deve anche espiarle; e ognuno, a Dio piacendo, può anche attribuire con la preghiera i meriti che possiede o acquisisce a chi non ne ha». Sarà questo il cuore della fede di Louis Massignon.

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