giovedì 11 ottobre 2012
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​«Ci sono giocatori che si fanno la Ferrari, lo yacht. Io mi sono comprato la maglietta del Livorno per un miliardo di lire...». Questo era il Cristiano Lucarelli calciatore che nell’estate del 2003, a 28 anni, e all’apice della carriera, rinunciava al miliardo in più del Torino per vestire finalmente la maglia della squadra della sua città, il Livorno. Un gesto folle, da “filoproletario” del pallone, ma anche artistico, degno dei concittadini Amedeo Modigliani e del grande poeta chansonnier Piero Ciampi. Ma i sogni di bambino non hanno prezzo. E quello di giocare nel Livorno era un sogno cominciato in un’infanzia da Ovosodo di Paolo Virzì, rincorrendo il primo pallone sull’asfalto del quartiere Shanghai. Amaranto in testa e nel cuore, quando a 12 anni passò dalla salesiana Carli Salviano e poi al Picchi, le squadre satellite dell’amato Livorno che era ancora una chimera. Così quando a 17 anni, Gaucci lo portò a Perugia - dal Cuoiopelli - , il debutto tra i professionisti fu dolceamaro, perché la nobile maglia del Grifone umbro, non era comunque quella amaranto. Ma queste sono storie di vent’anni fa, ora dopo 547 partite e 220 reti da “migrante” del gol, c’è il Lucarelli allenatore che guida gli Allievi del Parma di patron Ghirardi.Una «missione, insegnare ai più giovani» che ha appena iniziato, con il solito piglio del tribuno del popolo. E con un pizzico di romantico amarcord confessa: «Mi rivedo tanto in questi ragazzi. Ogni giorno è come un tuffo indietro di vent’anni. Avverto le loro emozioni, le aspirazioni, i sogni e le amarezze di un adolescente. Io la prima volta che lasciai Livorno, Perugia vivevo in un pensionato. Loro stanno un po’ meglio, in albergo, ma i problemi sono gli stessi: pochi soldi, tanta nostalgia di casa e magari anche di una ragazzina lontana...». Un Lucarelli paterno, che prova ad essere «un buon istruttore di vita», oltre che di calcio. «Cerco di trasmettergli la grinta di chi è figlio di un operaio e che è riuscito lo stesso ad arrivare in Serie A, solo con le proprie forze. Facendo tutta la gavetta, senza mai scendere a compromessi, anche se questo poi lo paghi e magari ti fa debuttare in Nazionale a trent’anni. Ma alla fine ho comunque vissuto grandi esperienze e giocato con i più grandi campioni del mio tempo».Delle tante sfide e delle battaglie vinte in campo dal “pasionario” Cristiano, i suoi ragazzi del Parma sono molto interessati al fine carriera vissuto al Napoli. «Mi chiedono spesso di parlargli di Cavani e Lavezzi - sorride - . Ma è normale, sono loro gli idoli di quest’ultima generazione». Una generazione che anche su un campo di calcio diventa lo specchio della società in cui viviamo. «Sono più veloci, non solo in campo, anche mentalmente, perché vengono bombardati di informazioni dalla mattina alla sera. È una generazione da “reality”: non sono ancora nati come calciatori che già sanno come interagire con la tecnologia, con le telecamere che ormai entrano anche nelle docce dello spogliatoio...». Generazione multietnica, rispetto agli Allievi del Picchi in cui giocava Lucarelli. «Noi eravamo tutti italiani, adesso già nei settori giovanili si vedono squadre piene zeppe di stranieri. Poi ci sono i Balotell, i “G2”, (i figli di stranieri, ndr). Noi al Parma abbiamo due ragazzi di colore, ma sono nati e cresciuti a Parma». Ragazzi che al mattino vanno a scuola e al pomeriggio si allenano. E la maggior parte di loro sta investendo tutto sul proprio futuro, proprio come fece il loro “mister”. «Ho mollato la scuola in terza media e confesso che il pezzo di carta mai preso a volte mi è pesato. Per fortuna ho rimediato con la migliore università, quella della strada. Ma ai miei ragazzi dico sempre che la cosa migliore sarebbe conciliare i due aspetti, studio e calcio. Anche se poi dentro di me penso: non siamo ipocriti, quando entreranno nel professionismo, dal presidente all’allenatore, interessa soltanto che un giovane giochi bene e non gli rinfacceranno mai di non aver letto neppure un canto della Divina Commedia». Altri sono i canti che Cristiano adesso insegna ai suoi Allievi. «La prima regola è il rispetto di se stessi e dell’avversario. Ma fare melina o cercare di arrangiarsi, nei limiti consentiti dal regolamento, specie quando sei più debole, trovo che sia nella natura del gioco del calcio che in fondo è la simulazione di una battaglia. E in amore e in guerra tutto è lecito...». Una battaglia da qui in futuro sarà anche garantire uno stipendio a questi giovani aspiranti professionisti. «La gente pensa che il calcio sia un mondo popolato esclusivamente da milionari, quando invece questi rappresentano un’esigua minoranza. La maggior parte ormai hanno stipendi da “impiegati”, con davanti una carriera che si chiude dopo dieci, massimo quindici anni. E quando smettiamo, spesso molti di noi non sono capaci neppure di andare alla posta a pagare una bolletta, figurarsi di trovare un altro lavoro che non sia giocare a calcio...». E di giocatori tristi che non hanno vinto mai e che si sono persi dentro a un bar di provincia, ne ha visti parecchi. «Ricordo i gemelli Bucchioni che giocavano nel Sorgenti, squadra del quartiere popolare Corea. Beh tutta Livorno era convinta che sarebbero arrivati in Serie A... E invece non si sono allontanati dal dilettantismo di provincia». In Serie A, ci sono arrivati i fratelli Lucarelli, Cristiano e Alessandro (che gioca nel Parma). «Non c’è niente da fare, ai miei ragazzi lo dico tutti i giorni: alla fine la differenza la fa la testa...». La testa serve anche per arrivare ad allenare i grandi club, nei quali l’ultima tendenza è affidare la panchina agli “allenatori ragazzini” (vedi Montella e Stramaccioni).«Penso che non esistano allenatori giovani o vecchi, ma soltanto quelli bravi e vincenti e altri che lo sono di meno. Il dato anagrafico a quel punto conta poco. Il mio bagaglio è il frutto di tanti allenatori bravi che ho avuto, da Diego Giannattasio (Primavera del Perugia di Gaucci) a Walter Mazzarri. Ecco, Walter è il mio modello, l’ho avuto per tre anni, preparatissimo, gli auguro davvero di diventare il “Ferguson di Napoli” e di vincere lo scudetto». Due livornesi ai vertici del calcio italiano, Mazzarri e Max Allegri che però ora vacilla sulla panchina del Milan. E allora, se un giorno di questi il cavalier Berlusconi chiamasse il tribuno Lucarelli per affidargli i rossoneri? «I tifosi di Livorno immagino che la prenderebbero a male - sorride - . Ma questo ora è il mio lavoro e la gente che mi conosce sa che uomo sono. Quindi d’ora in poi dovranno giudicare soltanto il Cristiano Lucarelli allenatore».
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