giovedì 22 settembre 2022
Paraplegica dopo un incidente agli attrezzi 15 anni fa, torna a esibirsi in Italia l’atleta e artista svizzera «Per rinascere ho creduto in me e in Dio. Ora in scena con la mia storia»
Un’immagine dell’atleta-acrobata svizzera Silke Pan

Un’immagine dell’atleta-acrobata svizzera Silke Pan - Sedrik Nemeth

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Sono passati 15 anni esatti da quell’incidente che le ha cambiato la vita, rendendola paraplegica. E lei, Silke Pan, la sua vita allora l’ha presa ancora più forte in braccio spingendola oltre ogni immaginabile frontiera, forte di quella disabilità da tramutare in inno alla vita. Senza più l’aiuto delle gambe, l’acrobata svizzera rimasta vittima di un incidente durante un esercizio circense, è diventata una sorta di Alex Zanardi al femminile, in quanto a volontà e coraggio. Sfidare l’impossibile sembra essere il suo motto. Così, dopo 7 mesi di ospedale, la svizzera Silke ha ricominciato a lavorare sul suo corpo, prima abituato ai più sbalorditivi virtuosismi, e a dedicarsi alla disciplina del paratriathlon, composta da handbike (la bicicletta a mano), carrozzina da corsa e nuoto gareggiando e vincendo alcuni titoli a livello internazionale. Silke ha anche ideato una disciplina inedita: l’ultra paraciclismo, ossia l’handbike su strade alpine con forte dislivello. Nel 2016 conquista la vetta di 13 passi svizzeri e due anni dopo è la volta del Raid dei Pirenei durante il quale percorre 800 chilometri raggiungendo 26 vette in 10 giorni. Nell’estate del 2019 un’altra grande sfida: attraversare a nuoto 26 laghi svizzeri e percorrere 980 chilometri con handbike e carrozzina da corsa in sole 2 settimane. Incredibili imprese mozzafiato. Ma per Silke la più intima e personale conquista è quella di tornare per la prima volta in Italia, teatro del suo grave incidente del settembre 2007, nel ruolo di acrobata circense, come guest star della seconda edizione dell’International Salieri Circus Award, in programma a Legnago ( Verona) da oggi al 26 settembre, con la direzione artistica di Antonio Giarola.
Silke, in cosa consisterà il suo ritorno artistico dopo quanto è successo?
Sarà un numero inedito ispirato alla mia storia, creato apposta per me da Antonio Giarola. Sarò accompagnata dal ballerino dell’Arena di Verona Luca Condello, su musica di Mario Stendardi ispirata ad Antonio Salieri. Dopo l’incidente, da quando ho cominciato alla fine del 2021 questa mia seconda carriera artistica, è la prima volta che lavoro all’estero. Il fatto che succeda proprio in Italia è per me anche molto simbo-lico, perché qui successe l’incidente.
Cosa accadde?
Io e mio marito stavamo facendo un esercizio quando sono caduta mentre lui era attaccato al trapezio. Vedendomi a terra che non mi muovevo e non gli rispondevo, ha temuto che fossi morta. Avevamo appena terminato una stagione di sette mesi a Fiabilandia e stavamo per trasferirci a lavorare a Gardaland, dove avevamo già portato tutti gli attrezzi e le nostre cose. Mi hanno riscontrato un trauma cranico e ho perso l’uso delle gambe.
Cos’ha provato una donna atletica come lei, capace di fare quasi l’impossibile?
Dopo l’incidente ho vissuto un periodo bruttissimo, ero molto triste per ciò che avevo perduto. Non mi capacitavo del senso di quanto accaduto, di quanto la mia vita fosse completamente cambiata. I medici mi dissero che se l’impatto fosse stato anche solo leggermente maggiore avrei compromesso persino la capacità di parlare. E io di lingue ne so cinque.
Riesce anche a ironizzare su quanto accaduto...
Perché è questo l’atteggiamento che mi ha consentito di rinascere, vedendo tutto in positivo. Battendo la testa, con la caduta, avevo perduto anche l’olfatto. Eppure quando mi affacciavo alla finestra dell’ospedale, dove ho trascorso 7 mesi, mi rendevo conto di tutto ciò di cui potevo ancora godere: riuscivo a concentrare l’attenzione sul sole che splendeva in cielo e sui colori delle cose. Ecco, questo mi ha aiutata molto nel mio modo di pormi di fronte alla vita.
Ma non ha mai avuto momenti di scoramento e di abbandono?
Certo, ho vissuto momenti duri e difficili. Allora ho adottato un piccolo esercizio: scrivevo ogni giorno su un foglio cinque cose per cui potevo continuare a dire grazie. Questo mi ha aiutata molto a far crescere dentro di me, nella mia testa, la parte positiva della vita. Finendo pian piano col sostituire le brutte sensazioni con quelle positive. Non mi sono mai fatta travolgere dal rammarico e dalla rabbia per ciò che avevo perso. Diventavo semmai consapevole che una persona non poteva nello stesso tempo essere amareggiata e grata. Dovevo scegliere tra i due atteggiamenti e non potevo che decidere di essere comunque grata.
Suo marito invece come ha vissuto questo dramma?
Per lui è stato molto più difficile che per me. Non avevo perso niente di fisico, ma era annientato psicologicamente, non riusciva a perdonarsi l’incidente. Avvertiva un grande senso di colpa. Ma io questo aspetto non lo considero nemmeno perché, al di là del fatto che non c’è nessuna effettiva colpa, quando succedono degli incidenti dobbiamo solo pensare che le cose accadono, punto e basta. Nella nostra professione poi è una fatalità da mettere in conto perché sai che corri determinati rischi. Ma non è importante quello che è successo, conta soltanto quello che faremo in futuro. Andare avanti, aprendo le braccia alla vita. Le persone ora mi vedono in carrozzina, ma non è la disabilità che mi definisce. Per me la disabilità è definita da come la affronto.
Il prossimo gennaio compirà 50 anni. Cosa si regalerà?
Il regalo più grande è quello che sto iniziando a scartare adesso, tornando a fare ciò che amo di più: lavorare nell’ambiente dello spettacolo, del circo. Ma anche condividere la mia esperienza con gli altri e poter incoraggiare le persone che ne hanno bisogno.
Lei da chi è stata incoraggiata, oltre che da se stessa?
Confesso che dopo l’incidente non sono sempre stata sorretta dalla fiducia in me stessa, ma sono credente e so che c’è qualcuno che ci aiuta quando noi non ce la facciamo con le nostre sole forze. Io ho un rapporto intimo con Dio che mi aiuta ogni giorno. In certi momenti in cui non sapevo come avrei fatto a continuare, mi mettevo in preghiera e mi si aprivano le porte. Devo tutto all’amore spirituale che avvertivo e che sperimento. È da questo che mi lascio guidare in tutto quello che faccio. Noi esseri umani siamo intelligenti, possiamo fare tante cose ma siamo anche limitati. Però c’è qualcuno più grande di noi che sa tutto.

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