sabato 19 novembre 2016
L’ex allenatore di rossoneri e nerazzurri negli anni Ottanta: «Farina non mi ascoltò, il Milan aveva in mano Matthäus»
Castagner: "La vita è un derby"
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Nella memoria di cuoio, Ilario Castagner è sinonimo di Grifo, il simbolo della sua “creatura”. Il Perugia dei miracoli, imbattuto per 30 partite su trenta nella stagione di Serie A 1978-’79, quella del clamoroso secondo posto dietro al Milan. Una squadra messa in piedi negli anni ’70 dal geniale presidente Franco D’Attoma, l’uomo che alle buste strappò Paolo Rossi alla Juventus di Boniperti e che “brevettò” il primo sponsor sulle maglie (Pasta Ponte) di una formazione italiana. Tutto questo e altro ancora, era la piccola Olanda dell’Umbria guidata dall’Ilario, che nella sua tana dava spettacolo e soprattutto castigava le grandi. «Per sei anni la Juventus non vinse mai a Perugia, segnò un solo gol e gli facemmo perdere lo scudetto del ’76 che andò al Torino di Gigi Radice». Il gol di quella beffa tricolore lo segnò Renato Curi, morto a 24 anni, sul campo, il 30 ottobre 1977: gli scoppiò il cuore proprio durante un Perugia-Juventus. «La domenica più triste della mia vita...», ricorda amaro Castagner nella sua autobiografia Buon giorno Mister. Sessant’anni di calcio (Narcissus). E tra i tanti ricordi del 75enne di Vittorio Veneto, pacifico, eppure rivoluzionario del pallone, alla vigilia del derby della Madonnina affiora anche l’eccezionalità della sua “anima divisa in due”. Sì perché dall’estate Mundial dell’82 fino all’84 ha guidato il Milan per poi traslocare direttamente sull’altra sponda del Naviglio e andare ad allenare l’Inter.

Cominciamo dall’approdo al Milan.
«Beh, una rivincita personale. L’anno dell’imbattibilità del mio Perugia se non avessimo perso per infortunio Franco Vannini probabilmente il Milan di Liedholm non avrebbe conquistato lo scudetto della stella e noi saremmo stati la prima provinciale in tricolore nella storia del calcio italiano. Senza Vannini invece il Perugia cominciò a infilare pareggi in serie: alla fine furono 19, contro i dieci del Milan, arrivammo secondi (44 a 41) quando ancora la vittoria valeva due punti».

Quando andò alla guida dei rossoneri erano tutt’altro che il club più titolato al mondo, stavano in serie B...
«Sì ma il Milan era comunque la storia del calcio. Fu il mio amico Silvano Ramaccioni, ds del Milan a convincere il presidente Giussy Farina a prendermi. Ramaccioni era stato ds del Perugia e con lui condividevo da sempre la passione per il calcio e per i quadri di Alberto Burri. Allestimmo una squadra che giocava un calcio spettacolare. Record di gol segnati, 77, di cui 27 realizzati grazie alle incursioni dei tre di centrocampo: Battistini, Pasinato e Verza. A San Siro venivano in cinquantamila a vedere quella squadra che faceva girare la palla che era un piacere».

Pronto ritorno in A, ma la stagione seguente a sei giornate dalla fine del campionato arriva l’esonero, con il Milan all’8° posto. Ma perché?
«Litigai con Farina, gli rimproveravo di non aver mantenuto la promessa di rinforzare la squadra. Ma poi credo si sia pentito di avermi perso... La domenica dopo il mio esonero il Milan perse 2-0 contro il Napoli: tutta San Siro invocava “Castagner” e fischiava il presidente. Rivera mi disse che non aveva mai visto prima una contestazione del genere».

Via dal Milan senza rimpianti?
«No, semmai Farina dovrebbe averne ancora uno di rimpianto, e anche molto grosso. Un suo dirigente, Scalabrin tornava ogni volta dalla Germania dicendomi che dovevamo prendere subito un certo Lothar Matthäus del Borussia. E io sempre a dirgli, va bene, prendiamolo. Se mi avessero dato retta Matthäus l’avrebbero strappato al Bayern e forse non sarebbe mai arrivato all’Inter di cui è stato la fortuna».

L’Inter invece non è stata la sua fortuna.
«Beh persi il famoso derby con gol vincente di Hateley. Però la squadra lottava per lo scudetto, arrivammo terzi e in semifinale di Coppa dei Campioni ci eliminò il Real Madrid dopo che all’andata, a San Siro, l’avevamo battuto 2-0. Il problema è che al Bernabeu ci arrivai senza centrocampisti e in estate il presidente Pellegrini mi aveva ceduto Salvatore Bagni, un giocatore che era stato fondamentale nel mio Perugia e che lo sarebbe stato anche nel modulo che avevo approntato all’Inter. Al posto di Bagni, che andò nel Napoli di Maradona, mi diedero Mandorlini, bravo, ma quella era una squadra forte in difesa e in attacco, gli mancava il centrocampo».

Via anche dall’Inter e da Milano dove in pratica aveva gettato le basi per il futuro di entrambe le future corazzate: l’Inter dello scudetto dei record di Trapattoni e il Milan stellare di Sacchi.
«Penso di aver sempre fatto al meglio il mio dovere di allenatore. Al Milan cominciai a provare il fuorigioco mascherato che Gerets poi mi disse che lo aveva fatto introdurre nella sua nazionale belga. All’Inter feci rendere al massimo quel fuoriclasse di Rummenigge in coppia con Altobelli. La riprova della bontà delle mie scelte l’ebbi nell’86, quando ero rimasto senza squadra e cominciai a fare il commentatore in tv. Per Telemontecarlo andai nel ritiro della Nazionale a Roccaraso: beh dei 23 azzurri convocati da Enzo Bearzot ne avevo allenati 13».

Tra le tante luci che vide a San Siro rimane però l’ombra di Luther Blissett: un “bidone”, caro solo al collettivo di scrittori che si firma con quel nome.
«Al Milan era arrivato dal Watford con il titolo di Scarpa d’oro, miglior capocannoniere europeo. Il problema di Blissett fu quello di non essersi ambientato, non imparò l’italiano e a Milanello guardava i campi con la tristezza di un uccellino in gabbia. La comunicazione è importante nel calcio, guardi che cosa è successo a De Boer...».

L’Inter l’ha cacciato per un problema di “incomunicabilità”?
«Il non riuscire a parlare la “giusta lingua” dei giocatori e non saper tenere relazioni comprensibili con la stampa italiana è stato sicuramente un grosso limite per De Boer. Poi non ha avuto il tempo necessario per dimostrare le sue capacità tecniche, ma ha anche commesso degli errori...».

Pioli saprà correggerli in corsa?
«Pioli ha la fortuna di trovare degli ottimi giocatori, hanno solo bisogno di un po’ di equilibrio. Ho visto Inter-Crotone e mi sono arrabbiato: per 70 minuti i nerazzurri si sono intestarditi a fare cross per Icardi che stava lì da solo in mezzo all’area di rigore... Se De Boer avesse sfruttato meglio i centrocampisti, Kondogbia, Brozovic e Perisic forse avrebbe salvato il posto».

Montella al Milan invece pare abbia aperto un nuovo ciclo.
«Montella sta sfruttando al meglio la valorizzazione dei giovani. Gli attuali 8 punti di differenza dall’Inter sono il risultato di un ottimo equilibrio tattico e di un fenomeno in porta come Donnarumma che finora ha “custodito” qualche vittoria in più per il Milan».

Chi vincerà il derby?
«L’Inter parte favorita: il nuovo allenatore in genere ottiene subito la sterzata. E poi ripeto, se il centrocampo dell’Inter comincia a funzionare allora Icardi può essere più libero di spaziare in attacco e diventa il candidato principale per la classifica capocannonieri. Milan e Inter ancora da scudetto? Ora no, (la Juventus al momento è insuperabile, almeno in Italia), tra un paio d’anni. A patto che i cinesi imparino a costruire le squadre a luglio e non a gennaio».

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