martedì 28 gennaio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Un impegno religioso non è una promessa da mantenere una volta alla settimana nel giorno del Signore; non è un insieme di credenze dal contenuto religioso; non è un modello di comportamento appropriato a tali credenze; e non è realizzato nemmeno dal possesso di una solida fede religiosa. Esso richiede un’integrazione tra, da una parte, elementi cognitivi di fiducia e, dall’altra, un comportamento che sia almeno parzialmente fondato su di essi e su sentimenti appropriati a entrambi. Il mio scopo  è di fornire una buona cornice concettuale e normativa necessaria perché una persona aperta di mente sia in grado di valutare la razionalità di un’esistenza che incorpori l’impegno religioso a fronte di un’esistenza vissuta laicamente. Questo tipo di paragone richiede di considerare vite integrate nel senso indicato. Le dimensioni dell’impegno religioso sono la fede in quanto di solito decisiva per l’impegno religioso cognitivo e il comportamento etico in quanto decisivo per soddisfare i requisiti comportamentali dell’impegno verso il teismo classico. Supponiamo ora che io sia legato al teismo classico, ma che sia anche un cittadino istruito delle democrazie del XXI secolo. Come posso, allo stesso tempo, essere religiosamente impegnato e universalista dal punto di vista morale, politicamente tollerante, scientificamente rigoroso ed esteticamente sensibile? La risposta è in parte la seguente. Anche se affermo l’autonomia dell’etica, posso essere ancora guidato e soprattutto mosso dai criteri etici che rintraccio, per esempio, nella Bibbia. I testi scritturistici possono costituire il filo con cui gran parte della mia vita è intessuta, anche se inserisco grande libertà nei modelli che vado cucendo. La testualità che mi guida e ispira è viva e aperta all’interpretazione basata sulla luce della ragione naturale – e delle mie interazioni con gli altri all’interno e al di fuori della mia tradizione. Queste caratteristiche vitali del mio impegno fanno prosperare la mia cittadinanza. I miei impegni fondati sulla scrittura, in particolare quelli rafforzati dai comandamenti d’amore di Gesù, chiedono di considerare gli altri come dotati di un’analoga base di dignità, ma la stessa prospettiva è sostenuta dalla mia migliore riflessione morale in termini laici. Se considero il mondo naturale in quanto creato, posso vederlo come una sorta di dono. Ciò può aumentare la mia intenzione sia di preservare l’ambiente naturale sia di comprenderne i meccanismi. Nulla nel mio impegno m’impedisce di rispondere esteticamente alla natura o all’arte. Il pensiero che la bellezza di un fiore emerga in qualche modo dalla sua struttura fisica non indebolisce il mio piacere nel contemplarlo. E anche se studio in che modo il cervello sostenga pensieri e sentimenti, posso ancora rispondervi nei loro termini. I concetti psicologici e il loro ruolo nel pensiero e nel linguaggio hanno una validità indipendente dalla loro base invisibile. Ciò non significa implicare che nessuna visione laica del mondo possa portare alla fioritura in modi analoghi. Tuttavia, non esiste un tessuto testuale paragonabile, non vi è un’idea del mondo concepito come dono, manca una ragione per accettare il carattere sacro delle persone e non esiste un incentivo a integrare l’ordine affascinante che la scienza è in grado di scoprire e le tantissime bellezze dell’arte e della natura con l’idea di creazione benefica e di sollecitudine divina per l’umanità. E vi sono meno risorse per dissipare la sensazione, spesso oppressiva, del nostro essere mortali e della nostra insignificanza, non di rado originata dall’idea che ogni cosa sia essenzialmente composta solo di materia. Tuttavia, nessuna attività davvero gratificante è preclusa necessariamente oppure ostacolata da un impegno religioso razionale. Ovviamente, presumo che le attività immorali non siano davvero gratificanti. Questo punto mi sembra difendibile anche a prescindere da un’escatologia che ponga la giustizia nell’aldilà. L’impegno religioso nella sua forma migliore porta anche un altro beneficio. Esso implica un senso di fortissima responsabilità: Dio va considerato pienamente consapevole di ciò che facciamo e del perché lo facciamo. Per Dio ignorarlo è impossibile; l’idea di ingannare Dio è incoerente; nessun tentativo di mentire a Dio può avere successo. Ciò può costituire un peso, ma può anche essere una fonte d’ispirazione. Se non si può dimostrare che le convinzioni precedenti né alcuna aspettativa di una vita ultraterrena vadano a sostegno della moralità, sarà ancora più importante capire la misura in cui l’impegno religioso razionale tende per altre ragioni a sommarsi alle motivazioni a comportarsi moralmente. Il comportamento malvagio tende a creare uno squilibrio nelle persone religiose razionali. Il comportamento scorretto è una violazione della relazione che dovrebbero avere con Dio. Quando persone simili si dimostrano sensibili anche dal punto di vista estetico, è più probabile che vedano la bruttezza di tale comportamento. La razionalità richiede il rispetto di certi criteri in ogni tipo di vita, compreso quello che incorpora l’impegno religioso. Alcuni impegni religiosi apparentemente soddisfano questi criteri di razionalità. Assumo che un certo tipo di fioritura umana costituisca un ragionevole obiettivo di vita, sia per gli individui sia per le comunità, e suggerisco che l’impegno religioso rappresenti, per molti, un sentiero razionale verso quella fioritura: l’impegno religioso, infatti, produce spesso una vita gratificante. Alcuni vedranno le gratificazioni come la conferma della grazia di Dio. Che lo siano o meno, spesso forniscono le ragioni per continuare in quell’impegno. 
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: