giovedì 11 novembre 2021
L'11 novembre 1961 furono trucidati tredici aviatori italiani del contingente dell'Operazione delle Nazioni Unite inviato a ristabilire l'ordine nello Stato africano durante la crisi del Congo
La mensa dei Caschi Blu malesi a Kindu, teatro dell’aggressione e del successivo sequestro dei due equipaggi della 46a Aerobrigata

La mensa dei Caschi Blu malesi a Kindu, teatro dell’aggressione e del successivo sequestro dei due equipaggi della 46a Aerobrigata - Foto Aeronautica Militare

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11 novembre 1961: due C-119 della 46ª Aerobrigata di Pisa in forza al contingente delle Nazioni Unite atterrano sull’aeroporto di Kindu, nell’ex Congo belga, al confine con il Katanga. Un’area in continuo fermento per via dalla guerra civile in atto. Due mesi prima, il 17 settembre 1961, nei cieli di Ndola, Dag Hammarskjöld, Segretario generale dell’Onu, era rimasto ucciso in un incidente aereo mentre si recava proprio in Katanga per risolvere la crisi congolese. Uno scenario difficile in cui l’Aeronautica militare italiana era stata chiamata a prestare servizio sotto l’egida dell’ONU dopo la proclamazione dell’indipendenza della Repubblica del Congo il 30 giugno 1960. Dall’11 luglio i “vagoni volanti”, come venivano simpaticamente chiamati i C-119, furono inviati in terra africana per evacuare profughi e trasportare generi di prima necessità. A partire dal 22 agosto 1960 la “Sezione della 46ª Aerobrigata Congo” era operativa sull’aeroporto della capitale Leopoldville. Un’attività che venne potenziata il 7 novembre dello stesso anno dando vita al “Distaccamento Aerobrigata Congo” posto sotto il controllo dell’ONUC (ONU-Congo). Ad esso gli venne assegnato il non facile compito di assicurare ben il 70 per cento dell’attività globale di aerotrasporto necessaria in un territorio grande quasi sette volte l’Italia. E’ in tale contesto che si consumò la tragedia dei due equipaggi italiani dei C-119, identificati con nominativo radio “Lyra 5” e “Lupo 33”, al comando rispettivamente del maggiore pilota Amedeo Parmeggiani e dal capitano pilota Giorgio Gonelli. Sei uomini a bordo di due aerei, più il tenente medico Paolo Remotti. Una volta toccata la pista di Kindu e terminate le operazioni di scarico dei due C-119, i tredici aviatori accompagnati dai caschi blu malesi uscirono dall’aeroporto per raggiungere una villetta adibita a mensa della guarnigione Onu. Qui verranno presi di sorpresa da un gruppo ribelle di militari congolesi. Nell'aggressione uno degli ufficiali, il medico, viene ucciso, gli altri vengono trascinati nella prigione della città e brutalmente trucidati.

Uno dei C-119 del Distaccamento della 46a Aerobrigata salutato al momento della partenza per il rientro in Italia

Uno dei C-119 del Distaccamento della 46a Aerobrigata salutato al momento della partenza per il rientro in Italia - Foto Aeronautica Militare

La notizia dell’eccidio dei tredici aviatori italiani fece il giro del mondo sconvolgendo prima di ogni altro i familiari delle vittime, gli uomini della 46ª Aerobrigata di Pisa e infine l’intera opinione pubblica italiana. Un dramma a cui si aggiunse altra tragedia: i corpi degli aviatori italiani non erano stati trovati. Ci volle un po’ di tempo per arrivare alla scoperta dei resti mortali dei nostri connazionali. Erano stati sepolti in due fosse comuni. Solo l’11 marzo 1962 in un clima di profondo dolore e di commozione le salme dei caduti di Kindu giunsero a Pisa a bordo di un aereo americano. Il giorno dopo venne celebrato il rito funebre alla presenza del Presidente della Repubblica Antonio Segni. In un primo momento i caduti di Kindu trovarono una dimora temporanea nella chiesa di Santa Caterina, in attesa della costruzione del Sacrario a loro dedicato il cui progetto, affidato all’architetto Giovanni Michelucci, venne portato in essere e inaugurato il 15 Marzo 1963 alla presenza del Presidente del Consiglio, Amintore Fanfani, del ministro della difesa Giulio Andreotti e dell’ex Capo dello Stato Giovanni Gronchi. Il ciclo operativo dell’Aeronautica militare in Congo nel frattempo si era concluso il 19 giugno del 1962. Un bilancio pesantissimo per la 46ª Aerobrigata. AI caduti di Kindu si aggiunsero altri due incidenti di volo in cui persero la vita altri tre ufficiali e quattro sottufficiali. Nel 1994, sull’aeroporto di Pisa, il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, consegnò ai familiari dei tredici aviatori le Medaglie d’oro al valor militare concesse alla memoria.

Il C-119 restaurato con la livrea del 1961 presentato oggi a Pisa

Il C-119 restaurato con la livrea del 1961 presentato oggi a Pisa - Foto Aeronautica Militare

​Sessant’anni dopo, a Pisa, la 46ª Brigata Aerea ha ricordato l’eccidio con una messa presieduta dall’arcivescovo Santo Marcianò, Ordinario militare per l’Italia: “La giornata di oggi ha voluta ravvivare la memoria che ha come contenuto non tanto una morte tragica quanto il dono di vite che hanno messo al centro il bene degli altri, degli ultimi e dei poveri – ha detto monsignor Marcianò -. Questi nostri tredici fratelli sono andati a fare una missione di pace. Sono andati a sfamare la gente in un momento difficile. Si legge tra le righe un martirio d’amore – aggiunge l’arcivescovo -. Certo il martire è colui che da la vita per la fede, ma c’è una fede implicita dentro coloro che vivono per gli altri e questa fede implicita è una fede che in qualche modo sigilla questo dono come martirio. Il martire è colui che dà la vita per amore”. “Sono tredici ragazzi che hanno perso la vita per un’operazione di pace. Per dimostrare ancora una volta come l’Italia e il nostro Paese, nei momenti di difficoltà o quando viene chiesto è presente – ha detto il Generale di Squadra Aerea Luca Goretti, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica -. Loro oggi sono ancora insieme a noi, come sono insieme a noi tutti i colleghi della 46ª Aerobrigata come saranno in futuro in qualsiasi paese per portare la nostra bandiera, il nostro orgoglio, la nostra passione e l’umanità del popolo italiano. Loro sono stati un esempio di umanità e come tale vanno ricordati e riconosciuti. Questo è un tributo a loro e ai loro familiari che non si sono mai stancati di ricordare la loro memoria”.

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