giovedì 4 ottobre 2018
A dieci anni dalla morte la vedova Karen Green pubblica “Il ramo spezzato”: volume di aforismi, brani di diario, appunti sparsi e pagine bianche per indagarne il lato nascosto e privato
David Foster Wallace più segreto svelato da sua moglie
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Si erano conosciuti a Claremont, in California, dove David Foster Wallace da poco aveva ottenuto la cattedra di scrittura creativa al Pomona College. Così il popolarissimo autore di Infinity Jest pensava di porre termine al suo girovagare per le università americane (e forse anche di liberarsi del peso della sua malattia depressiva che l’attanagliava dalla giovanissima età). Era l’estate del 2002 e un bel giorno gli si presenta Karen Green, un’artista che aveva già conosciuto a Bloomington. In quell’incontro fugace gli aveva chiesto il permesso di realizzare alcuni pannelli dal racconto La persona depressa: ora lei era venuta per fargli vedere l’opera. Una serie che si conclude con un pannello sulla guarigione dalla malattia. Lo scrittore approvò e l’accompagnò a fare una passeggiata. Seguì l’invito di Karen a trascorrere le vacanze di Natale insieme alle Hawaii, e David acconsentì. Insomma, i due si piacquero. Nel 2003 Karen comprò una casa in Arizona e David ogni settimana la andava a trovare compiendo un viaggio di sei ore in automobile. Poi, alla fine del 2004, la decisione di sposarsi.

Wallace, che era sempre in cura dallo psichiatra e prendeva abitualmente psicofarmaci, si sentiva meglio e riteneva di aver dato, a 42 anni compiuti, un ordine alla sua vita. Karen aveva contribuito ad arredare la casa, trasformando il garage in una sorta di studio per David. Entrambi erano appassionati delle nuove serie tv (The Wire in particolare, ambientata nel mondo della malavita di Baltimora) e Wallace stava meditando di scrivere un articolo sul fatto che le serie televisive americane si stavano affermando come una vera e innovativa espressione narrativa. Il 2005 è l’anno della famosa lezione sull’acqua e sui pesciolini che non sanno cos’è, a differenza del pesce più anziano: un discorso tenuto da David per il conferimento delle lauree al Kenyon College. «Imparate a pensare», fu l’invito di Wallace agli studenti neolaureati. Nell’estate 2006 David e Karen fanno un viaggio in Italia, invitati a Capri per un festival letterario (una famosa foto li ritrae insieme). Poi a Wimbledon, dove Wallace scrive un altro racconto superlativo per il Times, dedicato a Federer. Un anno dopo però il periodo di felicità s’interrompe e gli antichi incubi si ripresentano. Nuove crisi e ricoveri in ospedale, nuovi consulti medici e tentativi di fare a meno degli psicofarmaci.

Tutto invano: un pomeriggio del settembre 2008 David convince Karen, che non lo lasciava mai solo, a uscire per andare a preparare la prossima inaugurazione di una mostra. Ma quando la sera lei ritorna, lo trova impiccato nel patio. Nel garage le aveva lasciato una lettera d’addio di due pagine. Ora la moglie ha deciso di pubblicare un volume in cui ha raccolto, sotto forma di aforismi e brani di diario, spezzati da sue opere artistiche e molte pagine bianche, le sensazioni di quei giorni e dei mesi successivi. Pagine a volte strazianti a volte rassegnate, che danno voce a un dolore che a fatica vince il silenzio. Come quando scrive: «Mi angoscia l’idea di averti spezzato le rotule quando ti ho tirato giù. Continuo a sentire quel rumore. Voliamo via dal mondo, noi, come angeliche schegge di proiettile, ma allora perché quaggiù è tutto così pesante?». Non a caso il titolo che Karen Green ha dato al libro è Bough Down, tradotto in italiano con Il ramo spezzato. Il libro è uscito negli Usa nel 2013 e ora arriva nel nostro Paese grazie a Baldini & Castoldi (Pagine 190. Euro 26).

L’autrice a volte lascia parlare la sua sofferenza: «Sono decomposta, mi disfo pezzo a pezzo»; o alla pietà e si rivolge direttamente a David, quasi invocando la sua presenza: «Ma certo che te ne dovevi andare e certo che le mie braccia erano facili da svuotare». Altrove invece pare rimproverarlo: «Che cosa ti hanno fatto? Che cosa meriti da me? Tutto quello che ho è tuo, hai detto. Come fosse un gesto di generosità, quello che hai lasciato ». E cerca di riprendere un dialogo con lui: «Sono cattiva e sto soffrendo e mi serve più aiuto di quanto ne serva a te ma tu sei come la luna: illumini la mia insignificanza da un’enorme distanza muta ». E in un altro passaggio: «Ieri notte ti ho sentito che dicevi: Ti amo tantissimo. Mi hai chiamato con un vezzeggiativo e hai usato il passato. E’ stato il tuo primo gesto di gentilezza dal posto dove sei ora, ma i nuovi farmaci non mi permettono la gratitudine». Spesso racconta i consigli del medico che la invita a fare cose concrete per non essere distrutta dal dolore, e il libro è pieno di allusioni agli amati cani, alla casa e al giardino; oppure rievoca episodi della vita trascorsa col marito all’ospedale, esprimendo parole di ringraziamento o di disprezzo verso il mondo della sanità. «Quelli dell’assistenza», li apostrofa, definendoli «gli archeologi della mortificazione».

La clinica diventa il luogo dell’insolenza, ma anche la linea di faglia dell’umano: «Qui assassino e vittima si fondono, qui ci sono il coraggio, la pietà, la fama, l’arrivo della luce, l’irripetibile, e il senso dell’umorismo di Dio, tutti insieme, vedi». Altre volte Karen cede alla disperazione: «Ora ceneri e ossa, ora un amaro raccolto, ora ormeggi manovrati come burattini con del filo curioso». Poi torna a dare spazio ai pensieri che esprimevano insieme, a quel marito che «profumava di vicinanza alla divinità », alle loro riflessioni comuni: «Immaginate di stare distesi sul ghiaccio e non sentire freddo. Siamo tutti in posa da cadavere sui tappetini. Quello che hai detto, in realtà, era immaginate un luogo di sicurezza e di pace». Leggendo queste frasi spezzate non pare che Karen Green sia credente, anche se lancia un grido continuo per spezzare il senso di lacerazione che vive, quasi implorando di riallacciare un legame che si è interrotto così brutalmente e che sente deve andare oltre questa nostra vita. David a suo modo era curioso del mondo della fede, tanto da aver cercato di entrare nella Chiesa cattolica due volte, ma si era fermato prima. Ammirava i cristiani che aveva conosciuto e fra le sue letture preferite inseriva sempre san Paolo e Dostoevskij, che adorava.

E in un’intervista, al giornalista che lo criticava, rispose: «Mi interessa la religione, solo perché alcune chiese mi sembrano posti dove si può parlare di certe cose. Che senso ha la nostra vita? Crediamo in qualcosa di più grande di noi?». In una lunga conversazione col giornalista Tim Adams del 2012, in occasione dell’uscita del romanzo postumo di Wallace, Il re pallido, Karen racconta di aver costruito una macchina del perdono, una sorta di congegno della riconciliazione: «L’idea era questa: scrivevi la cosa che volevi perdonare, o per la quale volevi essere perdonato, e un aspiratore risucchiava il foglietto da un’estremità, per poi restituirlo dall’altra fatto a brandelli ». Karen l’ha esposta in una galleria di Pasadena. E spiega: «Non so se i genitori di David provino rabbia nei suoi confronti. Ma ho parlato con altre persone che hanno perso nello stesso modo un marito, una moglie, un padre o una madre, e la rabbia è un sentimento perfettamente legittimo: ecco perché la macchina del perdono».

È singolare che negli ultimi anni siano stati pubblicati diversi volumi in cui scrittori di varia estrazione, dall’americana Joyce Carol Oates (Storia di una vedova, Bompiani 2013) all’inglese Julian Barnes (Livelli di vita, Einaudi 2013, da cui è stato tratto un recente buon film, L’altra metà della storia) e all’ungherese Sandor Marai (L’ultimo dono, Adelphi 2009), si confrontano con la morte del proprio coniuge, dovuta a malattia o a morte improvvisa. E per tutti, credenti e non, il tormento pare non finire mai. Tanto che l’autore delle Braci, rimasto solo a Los Angeles, preferirà togliersi la vita piuttosto che continuare a soffrire. A sua volta C.S. Lewis, stravolto per la perdita del’amatissima Joy, avrebbe raccontato il suo tormento in un libretto, Diario di un dolore, pubblicato nel 1961 (in Italia da Adelphi nel 1990). La morte della moglie scuote la sua fede: l’autore delle famose Lettere di Berlicche e delle Cronache di Narnia, convertito dall’ateismo al cristianesimo anglicano e da allora fervido apologeta, si rivela davvero inconsolabile, giungendo come Giobbe a sfidare Dio.

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