venerdì 20 gennaio 2023
"Il gioco dell’addio" è il breve romanzo con il quale Parazzoli torna a insistere sulla sua personalissima rilettura del Nuovo Testamento, recuperando personaggi, vicende umane e ricerche spirituali
Lo scrittore Ferruccio Parazzoli

Lo scrittore Ferruccio Parazzoli - Sicliani

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I nomi parlano per loro: Marco, come l’evangelista più antico; Tommaso, come il più influente degli apocrifi; Myriam, come la Madre di Gesù e come le donne di Magdala, di Betania. Tra loro, lo sappiamo, c’è anche una delle sorelle del redivivo Lazzaro, al quale – secondo una tradizione di dubbia verosimiglianza, ma dal fascino soverchiante – Gesù avrebbe dettato il Vangelo definitivo, tutto incentrato sull’evento della Risurrezione. Evento storico e storicamente documentato, dunque, capace di vincere con la sua evidenza qualsiasi oscuramento o tentennamento della fede. Non è la prima volta che Ferruccio Parazzoli si serve di questa vertiginosa ipotesi teologico-narrativa in un suo romanzo. Per la precisione, la ricerca di uno sfuggente Vangelo di Eléazar era il tema portante di La camera alta (1998), forse il più ambizioso tra i molti libri di uno scrittore non meno originale che prolifico. Già venticinque anni fa, dunque, il lettore aveva fatto la conoscenza di Tommaso Vegas e di Myriam, che insieme con il già ricordato Marco sono oggi protagonisti di Il gioco dell’addio, il breve romanzo con il quale Parazzoli torna a insistere sulla sua personalissima rilettura del Nuovo Testamento (Rizzoli, pagine 160, euro 18,00). Prima ancora, del resto, Tommaso Vegas aveva fatto la sua comparsa in 1994. La nudità e la spada (1990), nel quale si immaginava un’Italia ormai completamente scristianizzata e governata da un regime che costringe alla clandestinità gli ultimi credenti. Cambiano gli scenari, insomma, ma Tommaso Vegas rimane sé stesso: un autorevole studioso delle origini cristiane che ha ormai perso la fede e osserva il mondo dal punto di vista di uno scettico ancora desideroso di meraviglia. Era un debutto o, meglio, l’annuncio di un motivo ricorrente che nella Camera alta aveva poi forma definitiva. La fosca previsione di 1994 non si è avverata (non in modo evidente, almeno) e Tommaso Vegas è ancora allo stesso punto: non crede più, potrebbe forse tornare a credere, non si comprende se lo desideri o se, al contrario, lo tema. Imbarcato su un’iperrealistica nave da crociera, naviga alla volta della Terrasanta in compagnia della giovanissima Myriam, presenza misticheggiante e febbrile: consumata dall’anoressia, la ragazza sembra rivivere su di sé quello che è scritto nei Vangeli. Compreso quello di Lazzaro, la cui esistenza non è provata se non da una serie di indizi che si costituiscono in ossessione senza mai prendere forza di prova. La vicenda immaginata nel Gioco dell’addio si colloca dieci anni dopo la conclusione della Camera alta. Tommaso ha perso del tutto la fede, ma in compenso si è guadagnato una posizione come autore di vendutissimi saggi divulgativi. Dopo aver convissuto con Ulrich, lo psicoanalista che l’ha accompagnata nella guarigione, Myriam è diventata la compagna di Marco, che di Tommaso è stato allievo e adesso è collega, saldamente collocato negli stessi ambienti accademici dal quale il maestro si è allontanato. I tre si ritrovano alla periferia di Vienna, in un gigantesco albergo in cui si celebra un convegno del quale Tommaso dovrebbe limitarsi a essere spettatore. Marco però lo costringe a prendere la parola, nel tentativo di rivendicare l’affinità fra i rispettivi campi di indagine. Del Vangelo di Lazzaro già sappiamo, resta da dare qualche ragguaglio sulla pista seguita da Marco, che è quella della sotterranea persistenza del culto dei mandei, la comunità gnostica che rivendicava a Giovanni Battista il ruolo di Messia autentico. Tommaso conosce l’argomento, e non si scomoderebbe a mettersi in viaggio per il Medioriente se l’avventura non avesse in qualche modo a che fare con il suo Vangelo perduto. Entrambi gli uomini, insomma, cercano qualcosa che probabilmente non troveranno. Myriam, da parte sua, ha da tempo ritrovato sé stessa e non smette di compiacersene. Da inappetente si è fatta vorace, conduce una vita sentimentale che sfugge a qualsiasi definizione, non è propriamente bella e forse non lo è mai stata, ma emana un magnetismo irresistibile. Più di Marco, che agisce con professionale freddezza (ha accettato, tra l’altro, di fare da consulente per un presuntuoso facitore di feuilleton parareligiosi), e più ancora dello stesso Tommaso, asserragliato nella sua sconfitta, Myriam è ancora disposta a dare un’occasione a Dio: chiedendogli di mostrarsi, una buona volta, oppure di certificare la propria assenza. Alternativa paradossale, non si discute, eppure sostenuta dalla convinzione che solo per via di paradosso si possa nuovamente sperimentare la fede. Fuori di questo, non restano che le convenzioni di una socialità estenuante, che Parazzoli descrive con distaccata perfidia, ricorrendo alle risorse di una prosa prodigiosa, essenziale e nello stesso tempo scintillante. Una curiosità: il mastodontico hotel austriaco con finta spiaggia incorporata è lo stesso che fa da sfondo a uno dei racconti sull’editoria riuniti lo scorso anno da Antonio Franchini in Leggere, possedere, vendere, bruciare (Marsilio). Non è una coincidenza, ma questo sarebbe un altro discorso.

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