martedì 3 febbraio 2015
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«A lui devo una parte del mio immaginario di ragazzo, ma Jack non è uno scrittore per ragazzi, la definizione gli sta stretta». Il Jack di cui Marco Paolini parla come di un amico è, ovviamente, Jack London, di cui da qualche tempo l’attore e autore trevigiano è diventato l’alter ego sui palcoscenici italiani. Da oggi al 22 febbraio sarà il Piccolo Teatro di Milano a ospitare la sua Ballata di uomini e cani, dove Paolini, accompagnato dai musicisti Angelo Baselli e Gianluca Casadei su musiche originali di Lorenzo Monguzzi, dà voce in prima persona allo scrittore americano attraverso tre suoi racconti (Macchia, Bastardo e Preparare un fuoco). «La produzione letteraria di London è sterminata. Sono partito da alcuni racconti del Grande Nord, ho cominciato questo spettacolo raccontandolo nei boschi, nei rifugi alpini, sui ghiacciai – spiega l’uomo che ha magistralmente raccontato “in loco” il Vajont e Ustica –. Ho via via aggiunto delle ballate musicali, ma l’antologia dei racconti è stata solo il punto di partenza per costruire storie andando a scuola dallo scrittore. So che le sue storie non si possono “parlare” semplicemente, che bisogna reinventarne il ritmo orale, farne repertorio per una drammaturgia».Paolini, Jack London fa parte delle sua formazione di ragazzo?«Jack London fa parte della mia prima formazione, non più però di Salgari o di Jules Verne. Non sono diventato monogamo nelle letture, i libri della mia infanzia sono quelli che andavano per la maggiore fra i ragazzi, testi molto spesso purgati, grandi avventure come I figli del capitano Grant, Ventimila leghe sotto i mari, Le tigri di Mompracem. Ma io leggevo anche Piccole donne». A teatro lei chiede al pubblico se preferisce Zanna Bianca o il Richiamo della foresta. E lei?«Zanna bianca cattura, soprattutto i giovanissimi, perché è scritto in maniera formidabile e parte da un cucciolo. È un romanzo di formazione, di chi ha il destino di nascere lupo e poi diventa cane. Esattamente il contrario di Il richiamo della foresta dove un adulto sceglie la vita selvaggia. Sono due punti di vista incompatibili. Da un’ottica romantica ed esistenziale è infinitamente più potente di Zanna bianca. Il richiamo della foresta è il primo romanzo di Jack London che ho letto, ma non credo di averlo capito se non da grande, rileggendolo. Il protagonista è lo stesso London che, diventato ricco e borghese grazie ai suoi lavori, non lo sopporta e tenta fughe romantiche e cialtrone. Peraltro la buona società non lo accetterà mai, lo snobberà sempre perché è un parvenu».London è un autore sottovalutato ancora oggi?«Dai lettori americani è amato moltissimo, invece è tuttora ignorato nei programmi scolastici e derubricato a scrittore popolare. La sua riscoperta risale agli ultimi 10-15 anni. Devo ringraziare Davide Sapienza che ha tradotto i testi di London per lo spettacolo e mi ha fatto conoscere di più questo scrittore. Moltissimi suoi racconti non sono tradotti in italiano. L’unico Paese ad avere tradotto l’opera completa di London è la Russia, che ha preso sul serio questo americano socialista e anticonformista».Ora mette un tassello alla sua conoscenza in Italia anche Paolini.«Oggi non è scontato che lo spettatore teatrale sia anche lettore. Mi domando se i libri della mia formazione corrispondano a quelli delle generazioni successive. Certo ci sono Harry Potter e libri con un altro immaginario ed è anche giusto. Comunque questa mia Ballata non nasce da una critica sociale, da urgenza, dal cosiddetto “teatro civile”. Non voglio restare costretto a fare l’aedo della storia patria in un ruolo che, alla fine, diventa consolatorio».Allora ci spieghi perché ha scelto proprio questi tre racconti.«Mi sono innamorato subito di Preparare un fuoco, un racconto talmente asciutto che il protagonista non ha un nome, si chiama uomo, il cane si chiama cane. Ogni cosa è oggettivata. Il fatto interessante è che venne riscritto dopo sette anni. All’inizio il protagonista si chiamava Tom Vincent, era l’eroe del positivismo, del si può fare, del no limits. Si avventura in un viaggio impossibile fra i ghiacci insieme al suo cane e nel finale lo scrittore gli lascia una via d’uscita. Nella seconda versione invece non ne esce e paga il fio di una scelta sbagliata». E cosa è successo in quei sette anni?«London critica quel fondo ideologico, che va per la maggiore negli Usa, che esalta gli uomini forti, tutelati dallo spencerismo che giustifica il self made man, e propone un’assoluta ingiustizia e mancanza di tutela per chi non ce la fa. A fargli aprire gli occhi sono le esperienze giornalistiche spaventose vissute a Londra, dalle quali nacque il reportage Il popolo degli abissi. È il mondo di Victor Hugo e Marx. Londra era la Kinshasa di oggi, metropoli dove l’addensamento umano crea uno squilibrio massimo, malattie, miseria, violenza. Un’umanità che London racconterà benissimo in La strada. Diario di un vagabondo, che ispirò Kerouac. Non lo fa nel modo compassionevole di Dickens (che io adoro). Il mondo di London è fatto di personaggi borderline simili a quelli di Uomini e topi di Steinbeck e a quelli del contestatore Guthrie».E gli altri due racconti?«Macchia nelle antologie non c’era, è un racconto più divertente, leggero, con un cane che non vuole trainare, un carattere da commedia, Bastardo è il contrario, una tragedia tascabile, dove il cane e l’uomo sono antagonisti forti, legati da un sentimento di odio. Qui i cani sono schiavi dell’uomo, non sono da compagnia, sono animali da sfruttare nel lavoro. Questi cani mi ricordano i minatori immortalati da Salgado nelle miniere a cielo aperto, il popolo degli abissi, il proletariato. E per i suoi contemporanei questa psicologia dell’animale venne aspramente criticata, anche da Roosevelt».Perché?«In un mondo in cui il darwinismo è fede religiosa, in una società che mette al centro la scienza in maniera fanatica si arriva alla classificazione degli esseri inferiori. L’ho raccontato anche in Ausmerzen sui malati psichiatrici ai tempi del nazismo. London si difende in modo straordinario in un articolo dove parla di intelligenze diverse, affronta la biologia come biodiversità. Era in anticipo».Quei vagabondi però assomigliano tanto ai migranti di oggi.«Nello spettacolo entrerà con un colpo di scena anche l’attualità. Su Raitre l’anno scorso, per l’anniversario della tragedia di Lampedusa, affrontai il tema delle migrazioni insieme a Giuseppe Battiston nello speciale Come il peso dell’acqua di Andrea Segre. Abbiamo dimostrato, tabelle alla mano (fornite da chi si occupa di accoglienza), che il flusso attraverso il Mediterraneo che tanto ci allarma, in realtà non è il più importante. I flussi più importanti sono all’interno dei confini nazionali. Nelle grandi metropoli di Asia e Africa, da Kuala Lumpur a Kinshasa, ci si sposta in massa dalla campagna alla città creando traumi e squilibri. Sono meccanismi già raccontati nella letteratura dell’800, che provocano la perdita di ammortizzatori sociali e una redistribuzione squilibrata del reddito che genera miseria e, quindi, perdita di dignità. L’Italia è il terzo Paese per diseguaglianza economica fra ricchi e poveri dopo Stati Uniti e Inghilterra e le politiche monetarie non potranno risolverla. Ecco, chi narra non può prescindere dal raccontarlo».
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