domenica 31 marzo 2024
François Bœspflug ha tracciato il viaggio di Gesù e discepoli il pomeriggio di Pasqua nella storia dell’arte. Diverse le soluzioni, costante la tensione a Gerusalemme come a un ritorno a casa
Caravaggio, "Cena in Emmaus", 1601-1602. Londra, National Gallery

Caravaggio, "Cena in Emmaus", 1601-1602. Londra, National Gallery - WikiCommmons

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Qual è la strada migliore per tornare a casa? La risposta più convincente non viene da una qualsiasi app di navigazione, ma da Manalive di G.K. Chesterton (pubblicato originariamente nel 1912, il libro è conosciuto in Italia come Uomovivo o Le avventure di un uomo vivo). Per il protagonista del romanzo non ci sono dubbi: se vuoi davvero tornare a casa, devi fare il giro del mondo. In un certo senso, è il tragitto già seguito dai due discepoli che, nel pomeriggio di Pasqua, lasciano Gerusalemme per dirigersi verso Emmaus. Abbandonano quella che, nel Vangelo di Luca, è stata insistentemente invocata come la meta esclusiva del cammino del Maestro e scelgono una destinazione periferica. Perché lo facciano non è chiaro o, almeno, non è dichiarato apertamente dall’Evangelista, che pure nel corso dell’episodio non lesina i dettagli. Secondo l’analisi proposta dal teologo e critico d’arte François Bœspflug in Gesù e i discepoli di Emmaus nell’arte (traduzione di Emanuela Fogliadini, Pazzini, pagine 150, euro 20,00), nel breve racconto si susseguono 15 situazioni differenti, ciascuna delle quali è stata in qualche misura fatta oggetto di rappresentazione pittorica. La pericope, com’è noto, occupa i versetti da 13 a 35 del capitolo 24 e con questa estensione si trova solo nel Vangelo di Luca. Anche Marco (16, 12-13) ricorda in effetti l’incontro del Risorto con due discepoli, la cui testimonianza non viene però accolta con favore dagli Undici. In Luca, invece, il clima di incertezza che caratterizza il finale di Marco cede il posto a una proclamazione festosa, conseguenza dell’epifania che si è compiuta durante la cosiddetta “cena in Emmaus”. È la scena prediletta dagli artisti, sottolinea Bœspflug, che nel corso della sua ricognizione lascia affiorare alcune delle costanti iconografiche che caratterizzano la raffigurazione dell’episodio.

Prima ancora, avverte lo studioso, c’è da tenere conto di una sostanziale anomalia: assiduamente frequentato dall’arte cristiana d’Occidente, il brano di Luca sembra suscitare scarso interesse in ambito orientale, dove le occorrenze sono sporadiche ma non per questo meno illuminanti. Si pensi, nello specifico, alle immagini restituite dai mosaici della cattedrale di Monreale, capolavoro indiscusso dell’arte arabo-normanna. Qui, nel XII secolo, i maestri bizantini si concentrano sulle ultime battute del racconto, mostrando dapprima la perplessità dei discepoli per l’improvvisa sparizione di Gesù allo spezzare del pane e poi i due di Emmaus che riferiscono dell’accaduto agli apostoli, schierati alle porte di Gerusalemme e capeggiati da Pietro. Sei secoli prima, nell’apparato musivo di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, la scena era un’altra, relativa al momento iniziale: i discepoli stanno camminando con lo sconosciuto in cui si sono appena imbattuti e al quale, ignorandone l’identità, stanno spiegando i fatti della Passione.

Il travisamento del Risorto è il dispositivo centrale del racconto di Luca, ed è un dispositivo squisitamente letterario, recepito come tale da un grande poeta come T.S. Eliot, che nella Terra desolata (1922) evoca la figura misteriosa del «terzo che sempre ti cammina accanto». La reminiscenza evangelica è particolarmente significativa perché, a questo punto, Eliot è ancora lontano dalla conversione. L’evocazione del viandante «ravvolto in un manto bruno, incappucciato» gli viene suggerita dai diari delle moderne esplorazioni antartiche, nei quali è frequente l’allucinazione di quello che si potrebbe definire “il compagno fantasma”.

Dal punto di vista pittorico la situazione è più difficile da riprodurre, dato che nella maggior parte dei quadri censiti da Bœspflug il volto del Cristo è ritratto in modo ben riconoscibile. Quella dei discepoli è una cecità selettiva, che non coinvolge lo spettatore e che gli artisti tendono semmai ad accentuare, per esempio assegnando a Gesù l’aureola (si vedano, tra gli altri, i dipinti del romantico Johann Heinrich Ferdinand Olivier). Solo in epoca contemporanea la strategia compositiva si ribalta e, anziché esaltare la potenziale visibilità del Risorto, si preferisce accedere alla risorsa dell’invisibilità. Si servono di questo stratagemma artisti come Janet Brooks-Gerloff, che di Gesù in cammino traccia soltanto una sinopia, o il francese Arcabas, uno dei pittori più cari alla ricerca interdisciplinare condotta negli anni da Bœspflug. Nel ciclo dei dipinti su Emmaus per la Cappella della Resurrezione di Torre de’ Roveri, presso Bergamo, Arcabas, mette in atto uno svelamento graduale del volto di Cristo, che si compie del tutto solo durante la cena e subito si riflette nell’istantanea della tavola frettolosamente abbandonata dai discepoli.

La sequenza di Arcabas ha qualcosa di cinematografico e asseconda, anche in questo, la struttura del Vangelo di Luca, contraddistinta dal tema del movimento. Si tratta di una specificità puntualmente ripresa dall’analisi di Bœspflug, per il quale il racconto di Emmaus presenta una continua alternanza fra esterno e interno, tra spostamento e stasi, tra occultamento e rivelazione. Merito principale del saggio (che si aggiunge ai numerosi già presenti nella bibliografia dell’autore, tra cui andrà almeno ricordato Il giorno di Pasqua nell’arte, edito da Jaca Book nel 2021) è la proposta di uno schema di interpretazione complessivo, all’interno del quale sono censite non soltanto opere celeberrime come le versioni della Cena in Emmaus di Rembrandt e Caravaggio, ma anche rivisitazioni più inconsuete, come quelle che trasferiscono l’episodio in contesti culturali extraeuropei o che accolgono l’ipotesi – tanto suggestiva quanto ardua da documentare – secondo la quale uno dei discepoli sarebbe in realtà una donna.

L’importante, in ogni caso, è che l’esperienza dei due viandanti assuma rilevanza comunitaria e non si esaurisce nel guadagno individuale. Proprio sulla base di questa consapevolezza l’icona di Emmaus è stata assunta a modello dell’attuale “fase sapienziale” del Cammino sinodale della Chiesa italiana, come ribadisce il cardinale Matteo Maria Zuppi nella prefazione al volume. Specularmente, in sede di postfazione, il biblista Dioniso Candido offre una sintesi delle più aggiornate acquisizioni esegetiche, stabilendo un utile dialogo con il percorso iconografico suggerito da Bœspflug. La storia rimane comunque quella di un ritorno a casa. Ammesso che volessero veramente trovare rifugio altrove, i discepoli non possono fare a meno di precipitarsi di nuovo a Gerusalemme, per rendere testimonianza di quello che hanno visto e vissuto. La circolarità del racconto assume valore salvifico, di riaffermazione e non di ripetizione. Non fosse che per questo, ogni dipinto che si ispiri al racconto di Luca è già di per sé un viaggio verso Emmaus e un ritorno alla Città Santa.

A proposito: in questi giorni la Galleria Borghese di Roma ospita un’opera di Velázquez proveniente dalla dublinese National Gallery of Ireland, Donna in cucina con cena in Emmaus. Indaffarata nella preparazione delle pietanze, la donna dà le spalle alla sala nella quale sta per avvenire il miracolo. Ha lo sguardo un po’ perso, come se fosse indecisa se voltarsi per seguire la conversazione fra i tre clienti. Magari lo farà tra un attimo e vedrà anche lei uno scorcio di Gerusalemme. O magari no, rimarrà a Emmaus, ignara di tutto. Neppure Luca può dirci come è andata a finire. La conclusione, questa volta, dobbiamo trovarla noi.

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