lunedì 17 agosto 2015
​A venticinque anni dalla beatificazione e a novanta dalla morte, nuove indagini sull’universitario biellese che seppe dare un senso fresco e coraggioso alla fede.
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Il clima di rinnovamento che la Chiesa sta vivendo in questo periodo ha avuto in Italia, tra i suoi effetti, quello di suscitare nuovo interesse attorno a una singolare figura di giovane cattolico che, nella sua breve vita consumata nel primo quarto del Novecento, seppe dare un senso nuovo, fresco e coraggioso, alla sua professione di fede. Di Pier Giorgio Frassati hanno parlato in molti: le biografie che gli sono state dedicate riempiono ormai parecchi scaffali. Eppure, molto su di lui resta ancora da dire. «Qual grazia essere cattolici!...Vivere senza una Fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la Verità, non è vivere ma vivacchiare », scriveva il 27 febbraio del 1925 questo bel ragazzo biellese innamorato della sua patria italiana, dello sport e della montagna, all’amico Isidoro Bonini. Era un coraggioso, che aveva saputo opporsi con decisione alle aggressioni da parte dei molti avversari e che traduceva la sua fede – sostenuta da un’intensa vocazione eucaristica – anzitutto e soprattutto in aiuto costante ai poveri, in servizio agli ultimi. Sarebbe difatti morto di lì a pochi mesi di una poliomielite fulminante contagiatagli durante una delle sue tante visite agli ammalati. Pier Giorgio, del quale quest’anno ricorre il venticinquennale delle beatificazione,  sembrerebbe un santo fatto apposta per servire da modello per la nuova Chiesa sognata da papa Francesco.  E sì che, data la sua famiglia, era uno di quelli che sembravano destinati a primeggiare e a comandare. Era figlio nientemeno che di Alfredo Frassati, fondatore e direttore de “La Stampa”, che il re aveva nominato senatore nel 1913 (il più giovane senatore d’Italia) su indicazione del suo grande amico Giovanni Giolitti. La sua amatissima sorella Luciana, sua quasi coetanea, gli sarebbe sopravvissuta di un ottantennio morendo a 105 anni nel 2007 dopo una vita straordinaria che l’aveva portata in Turchia, Austria e poi in Polonia come moglie dell’ambasciatore Jan Gawronski, quindi in tutta Europa, e che l’avrebbe messa in contatto con i protagonisti del Novecento, da Paolo VI a Giovanni Paolo II, da Toscanini a Furtwängler che concepì per lei un sentimento di amore timido e delicato, a Mussolini a Ungaretti a tantissimi altri. Luciana fu anche scrittrice feconda, storica infaticabile (è sua una storia del quotidiano “La Stampa” in sei volumi), sensibile poetessa.  Ho personalmente avuto la fortuna e il privilegio di avvicinarmi a Pier Giorgio e a Luciana di primissima mano grazie alla generosità dei figli di Luciana, i fratelli Jas, Giovanna eWanda Gawronski, che mi hanno consentito di accedere al loro ricco archivio familiare nella villa avìta di Pollone presso Biella, dove si conservano ancora tanti suoi commoventi ricordi, oggetto di frequente pellegrinaggio. Consultando quelle carte e parlando con i suoi nipoti mi sono reso conto di quanto lavoro resta ancora da fare prima che la personalità di Pier Giorgio possa venir davvero valutata in tutta la sua autentica luce. Si continua ad esempio a dire che la vocazione del giovane beato era maturata in un ambiente familiare ostile ed era stata addirittura osteggiata dal padre, adepto della massoneria e quindi decisamente anticattolico. Ciò non corrisponde affatto a verità: Alfredo Frassati aveva dichiarato fino dai primi tempi di vita de “La Stampa”, in un memorabile e famosissimo articolo del 4 ottobre 1896, che la bandiera del nuovo quotidiano era chiara: «né clericali, né massoni». Era un uomo positivo, razionale, sostenuto da un forte senso del dovere e tutt’altro che vòlto invece all’interesse e al conseguimento di fama e potere (altra cosa erronea, di recente sostenuta da biografi che non hanno consultato le fonti giuste). Scriveva difatti il Frassati alla moglie: «Ho bisogno sempre, sempre di qualche cosa di grande che mi attiri, di nobile che mi sorregga, di puro che mi salvi. Una fede in una bandiera per lottare».  È vero che il giovane Pier Giorgio svolse la sua attività, soprattutto nei circoli cattolici universitari, senza coinvolgere nella sua attività la famiglia: ma essa si guardò bene dall’ostacolarlo anche perché al suo interno il clima, pur essendo specie negli ultimi anni teso, era comunque ispirato a una forte correttezza. La madre di Pier Giorgio, la pittrice Adelaide Ametis, aveva regalato nel Natale del ’17 al figlio sedicenne una copia de L’imitazione di Cristo del mistico trecentesco Tommaso da Kempis con una dedica affettuosamente devota. La tesi di un’ostilità nei confronti del giovane devoto da parte della famiglia, appartiene a un topos della letteratura agiografica che risale addirittura al cristianesimo primitivo ma che non trova riscontro nella storia della famiglia Frassati. Non fu per nulla Pier Giorgio a “convertire” il padre “massone” (che tale si era sempre guardato dall’essere): al contrario, Alfredo era sempre stato con la sua dedizione al dovere e con la sua costante attività assistenziale un modello per il figlio. Vero è tuttavia che la morte del giovane in un clima di autentica santità e la straordinaria folla di povera gente che lo accompagnò all’ultima dimora durante il servizio funebre nella chiesa torinese di Santa Maria delle Grazie costituì per la famiglia un’autentica rivelazione. Pier Giorgio fu un esempio luminoso di fede, di dedizione agli umili, generosità e gioia di vivere. La sua scomparsa si situò in un anno durissimo per la sua famiglia: ai primi di gennaio Mussolini aveva promulgato le nuove leggi che trasformavano il suo governo in regime e pochi mesi più tardi, fra ’25 e ’26, avrebbe obbligato il senatore Alfredo a cedere “La Stampa” a nuovi gestori e a nuovi proprietari. Queste circostanze aggravarono senza dubbio la durezza della prova che la famiglia Frassati dovette subire, eppure la memoria di Pier Giorgio le fornì anche la forza di superarla. Novant’anni dopo la morte di Pier Giorgio, venticinque dopo la sua beatificazione, sembra che ci si avvii anche a raccogliere le prove necessarie per il passo ulteriore, la gloria degli altari. Papa Francesco, il promotore deciso della Chiesa degli ultimi, sembra davvero il pontefice più adatto a proclamare santo questo giovane che Giovanni Paolo II, quando ancora era cardinale, aveva già definito «Uomo delle otto beatitudini» e che oggi è venerato in tutto il mondo. 
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