venerdì 28 maggio 2021
Sovrano spagnolo e intercontinentale, suocero del Re Sole, signore della Milano dei “Promessi sposi”. Una biografia di Musi lo racconta nei suoi sfarzi e nelle sue malinconie
“Ritratto equestre del re di Spagna Filippo IV di Spagna” di Diego Velázquez (1645 circa)

“Ritratto equestre del re di Spagna Filippo IV di Spagna” di Diego Velázquez (1645 circa) - Firenze, Uffizi

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El Rey nuestro señor. Tra gli spagnolismi che abbiamo imparato dalla lettura dei Promessi sposi sui banchi di scuola, questo era uno dei più divertenti: sapeva di romanzo di Salgari e di 'leggenda di Zorro'. Quel re era Filippo IV d’Asburgo, che a suo tempo abbiamo imparato a conoscere, ancora da Manzoni, insieme al suo celebratissimo primo ministro, il «conte-duca » Gaspar de Guzman de Olivares, il 'Richelieu spagnolo'. Lo conosciamo ancora, Filippo IV, dal celebre quadro di Velázquez alla National Gallery, col suo ricchissimo abito bruno trapunto d’argento come una Madonna sivigliana, i baffi 'alla moschettiera' e l’impressionante 'prognatismo asburgico' che sembrava quasi scomparso nei ritratti del suo antenato Filippo II almeno in giovane età - quando el Rey prudente sembrava aver ereditato nel suo volto qualcosa, come un bagliore, dell’incanto della sua bellissima madre Eleonora del Portogallo - ma che era poi potentemente riaffiorato nelle generazioni successive.

A Filippo d’Asburgo dedica oggi un’appassionante biografia Aurelio Musi, Filippo IV. El Rey Planeta imperatore malinconico di due mondi tra sfarzo e declino (Salerno, pagine 307, euro 23,00) Lasciando al lettore tutto il piacere di riscoprire questo sovrano le cui vicende hanno toccato profondamente la penisola italica durante la Guerra dei trent’anni, varrebbe la pena di parlare a lungo dell’autore del libro, Aurelio Musi, oggi uno dei più noti e valorosi studiosi del nostro Meridione in età moderna. A lui dobbiamo un recentissimo, disincantante Masaniello: il 'masaniellismo' e la degradazione di un mito pubblicato da Rubbettino (pp. 141, euro14), rivelatore anche di bizzarri umori che animano il sottobosco parapolitico odierno, con i suoi nostalgismi borbonici e i suoi fermenti populisti.

Questo Filippo IV di Musi sarebbe piaciuto al suo maestro, il grande Giuseppe Galasso la cui indimenticabile raccolta di studi Carlo V e Spagna imperiale (Storia e letteratura, pp. 352, euro 48) è a tutt’oggi un autentico evergreen. Nella raccolta galassiana, dove naturalmente è presente anche l’Olivares, è compreso il saggio Il sistema imperiale spagnolo da Filippo II a Filippo IV. Merito storiografico ma anche psicologico di Musi - che, fra l’altro, è uno studioso di Freud - è quello di aver insistito non già sul concetto gibboniano di decadenza, bensì su quello di declino. Magistrale, a riguardo, la frase che chiude e sigilla il libro: «…allorché, negli ultimi anni della sua vita, Filippo fa i conti con l’incrocio fra morte, destino, espiazione, la rappresentazione non può essere più conciliante: lo 'sprofondamento malinconico' del re è anche quello dell’impero spagnolo». Nel suo testamento, Filippo IV «aveva raccomandato ai suoi discendenti di anteporre sempre la religione alla politica e alla ragion di Stato»: ma nella realtà della cose non aveva fatto così. Una giovinezza difficile e triste, segnata dalla malattia; una lunga e inquieta 'dipendenza' (meno pronunziata però di quanto troppi storici abbiano sentenziato) rispetto all’intraprendenza del suo grande primo ministro; un’ultima fase, resa più ardua dal confronto col suo ingombrante genero, vicino e antagonista, il 'Re Sole', sposo di sua figlia Maria Teresa, e «alleviata solo dal-l’affettuosa amicizia di suor Maria de Agreda».

La pace dei Pirenei del 1659, con il pesantissimo esborso di denaro formalmente come dote assegnata alla figlia, ma in realtà per garantirsi la rinunzia, da parte di lei, di qualunque pretesa sul trono di Spagna (col pericolo di una specie di Anschluss francoiberica che peraltro si sarebbe verificata comunque un buon mezzo secolo dopo) pesarono sugli ultimi anni di una breve vita: nato nel 1621, sarebbe venuto difatti a mancare nel 1665, appena quarantacinquenne. Era ancora bambino piccolissimo quando lo avevano proclamato Rey planeta, sovrano di un impero dove mai tramontava il sole: ma, ironia della storia, l’epiteto di 'Re Sole' sarebbe infine spettato al giovane marito di sua figlia, il quale peraltro mai seppe spezzare il 'patto di famiglia' tra Asburgo d’Austria e Asburgo di Spagna che lo accerchiava: e, per romperlo, dovette solo scacciare i discendenti di Carlo V dal trono madrileno.

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