domenica 21 maggio 2017
Verso il completamento la pubblicazione integrale dell'epistolario. Cinquemile le lettere note, in cui don Bosco tratta problemi di carattere sociale, economico, ecclesiale, politico
San Giovanni Bosco

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Una montagna di lettere sparse in tanti archivi. Quasi cinquemila quelle note dopo la scoperta di oltre millecinquecento inedite. Tutte lettere di don Bosco che ci parlano del suo tempo e di lui fondatore, educatore, imprenditore e altro ancora, che non può certo confinarsi nella storia dell’Ottocento. A scovare almeno la metà di quelle effettivamente scritte e a pubblicarle ormai quasi tutte (con criteri scientifici dopo meticolosi riscontri sugli originali e note puntuali) lo storico salesiano Francesco Motto, che nel 1988 intervenendo al congresso internazionale su don Bosco tenutosi a Roma nel centenario della morte, aveva comunicato l’avvio del progetto di edizione critica dell’epistolario. Oggi, trascorsi quasi trent’anni, il traguardo non sembra lontano. Sono già stati pubblicati sette volumi di lettere (3.561 per la precisione), mentre l’ottavo sta per andare in stampa. Intanto prosegue il lavoro sui due successivi e gli indici.

Un lavoro che merita riconoscenza quello dell’ex direttore dell’Istituto storico salesiano, attuale presidente dell’Associazione cultori di storia salesiana e docente all’Università salesiana. Fermandoci anche solo sul volume appena uscito (Giovanni Bosco, Epistolario, VII, editrice Las, pagine 558, euro 36), che con quattrocentoquarantuno lettere (centocinquantuno inedite) abbraccia gli anni 1880 e 1881. Tra fatti dolorosi (dai rischi di espulsione dei Salesiani dalla Francia nel 1880 allo scontro finale con l’arcivescovo di Torino Lorenzo Gastaldi) e gioiosi (come le fondazione della prima casa salesiana in Patagonia e a Roma) ci si rende conto di un faticoso lavoro di corrispondenza su tanti fronti, che in don Bosco accompagna assiduamente la preghiera, la messa, le confessioni, la direzione spirituale, le visite, gli studi.

Non sono pochi i leit motiv che attraversano queste missive. Innanzitutto le preoccupazioni di don Bosco sessantacinquenne, ormai al vertice di una congregazione in forte espansione, con tutti i problemi di carattere sociale, economico, ecclesiale, politico, formativo. Poi il suo dialogo continuo: con le autorità religiose, da Leone XIII ai vescovi di varie diocesi, al cardinale segretario di Stato Lorenzo Nina, protettore della società salesiana; con quelle civili, dal presidente del Consiglio Benedetto Cairoli ai vari ministri, dal sindaco di Torino Luigi Ferraris al direttore delle Ferrovie. Ma anche con i collaboratori come don Michele Rua, quasi un alter ego, con tanti sacerdoti, suore, chierici, laici e laiche soprattutto benestanti, come il conte Louis Antoine Colle e la contessa Emma Brancadoro, pressati con richieste di aiuti finanziari. Emerge anche un instancabile dinamismo speso a seguire il consolidamento della società salesiana (che in questo biennio avvia la sua presenza in Spagna, si amplia in Argentina e Uruguay, si preannuncia in Portogallo e Brasile, mete dove si va per «lavorare alla maggior gloria di Dio e guadagnare anime al cielo») e consumato nel rincorrere ogni possibile sostentamento per mantenere a scuola o nell’avviamento al lavoro decine di migliaia di giovani, «valenti e intrepidi distruggitori di pagnottelle».

Tutto in un quadro di persistente emergenza economica («Ella pensi ad ajutarmi altrimenti sarò costretto a fare bancarotta. Le celesti benedizioni discendano copiose sopra di Lei», scrive don Bosco il 15 aprile 1880 alla contessa Carlotta Callori), dove tuttavia si staglia una totale fiducia nella divina Provvidenza. Palesata da raccomandazioni spirituali e dai consueti pensieri a Dio che chiudono le lettere anche nel turbinìo di rimandi a costruzioni, acquisti, vendite, mutui, debiti, sussidi, riduzioni ferroviarie, persino richieste di norme su misura per superare ostacoli. Balzano poi all’occhio un paio di dati: il rivelarsi di don Bosco quale "figlio del suo tempo" in alcune posizioni nette (come il rapporto con i protestanti: non pochi infatti i riferimenti ad esempio alle «insidie, che solamente l’immoralità e l’empietà protestante sa praticare», scrive al cardinale Nina il 20 agosto 1880) e nell’assenza di rimandi ai fenomeni straordinari presenti in tanti scritti di don Bosco e in testimonianze coeve e posteriori. L’unico cenno ai prodigi attribuitigli è nelle righe «molti si pensano che il povero don Bosco possa ottenere grazie particolari dal Signore. Non è così. Dio benedice le opere nostre, le favorisce e le protegge, ma non avendo noi i mezzi necessari per sostenerle, Dio stesso viene in ajuto con grazie e favori anche straordinari a tutti coloro che in qualunque modo e misura ci prestano ajuto materiale. Questo è il mistero spiegato », scrive al canonico Clément Guiol il 7 marzo 1881.

Fonte essenziale per qualsiasi futura biografia di don Bosco e ampio squarcio sul nostro ’800, l’epistolario viene presentato oggi a Salerno dai salesiani che hanno accolto l’iniziativa promossa dalla locale Università e dall’Istituto storico salesiano. Con don Motto, presente pure con un’intervista registrata, interverranno Rosa Maria Grillo,Thomas Anchukandam, don Pasquale Martino, mentre Francesco Barra, Nicola Bottiglieri, Giovanni Gallina, Sebastiano Martelli, Giuseppe Acocella, e altri docenti di diversi atenei italiani, si confronteranno sul santo che, mentre i politici del tempo facevano l’Italia, pensava a fare gli italiani e non solo, come dimostra anche la lettera in questa pagina al neopresidente dell’Argentina. Missiva firmata come abitualmente faceva lui: abbreviandosi il nome.

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