martedì 31 maggio 2011
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Nel 1980 Christopher Cross, con il brano Sailing, entrava nella storia mondiale del pop vincendo cin­que Grammy e pure un Oscar. Oggi, nel 2011, dopo dodici anni di silenzio, Chri­stoper Cross la sua storia la «usa». Nel sen­so che, come ci dice, «io sono stato bene­detto dal successo, avrei potuto perder­mici. Ne ho visti tanti farlo fra comporta­menti irresponsabili e droghe… Ma io scelgo la musica: ed è grazie al successo di trent’anni fa che adesso posso farla come e quando mi piace, senza ripetere Sailing all’infinito ma provando ad avvicinarmi ai miei miti, Marley, Dylan, Joni Mitchell… E così, senza considerarmi un opinion lea­der, provo a cantare i valori che credo universali. Perché se è vero che il mondo spesso ci delude, invece di compiangerci è meglio cantare di provare a cambiarlo». Nasce così Doctor faith, cd dai suoni più robusti di quelli del passato, soprattutto al­bum di canzoni politiche e spirituali, mol­to lontano dal Cross di Sailing. Partiamo dal titolo, «Dottor fede». La «fe­de » di cui parla qual è?Nella canzone Doctor faith racconto di chi cerca aiuto in terapie che utilizzano an­che la fede religiosa. È un fenomeno che può apparirci strano ma che in America funziona molto e in ogni caso ci indica quanto la nostra società abbia ancora bi­sogno di Dio.Ma lei ha una fede? Perché in «Prayin’» pare cantare di Cristo davvero, e da un punto di vista cattolico.Certo: se Doctor faith è una riflessione sui nostri tempi, Prayin’ è la mia fede. Quan­do ero piccolo, in una scuola cattolica, la preghiera mi toccava nel profondo. Poi ho perso questa dimensione, l’ho lasciata al­le spalle: finché un giorno mi è tornata fuori d’istinto. E nel brano canto questo percorso, dicendo che pregare Cristo per dirgli grazie mi aiuta tantissimo, oggi.Certo che Christopher Cross che canta la fede e poi, in «Hey kid», dice ai ragazzi di non seguire la sua generazione perché non ha saputo rispondere alle domande essenziali, è un Cross inatteso…Sa perché sono tornato a scrivere? Perché avevo bisogno di farlo. Non per dire I love you, baby: quello ero io nell’80. Per l’esi­genza di dire che è tempo di smettere di lamentarsi. Hey kid grida ai ragazzi di dar­si da fare.«I’m too old for this» a chi è dedicata? I­gnoranza, tv come veleno, politici cor­rotti… Un testo feroce.È per il mio Paese. Alla morte di Benladen si è vista una faccia agghiacciante degli U­sa: festeggiare una morte. Non siamo li­beri di pensare e non lo sappiamo: se­guiamo i modelli dei reality, di una politi­ca di contrapposizioni ed interessi che tra­disce i nostri ideali appena raggiunge il potere.Non pensa che il suo pubblico possa cri­ticare questa sua svolta dal romanticismo a temi sociali forti?Non m’interessa. Il successo di Sailing mi permette di poter vivere della mia arte da persona libera. Senza sentirmi un eroe, ma anzi sapendo di avere la responsabi­lità di non scrivere banalità.E crede davvero che la musica possa cam­biare le cose?L’ha fatto in passato, può farlo ancora. E’ più forte di facebook o twitter, va ben ol­tre uno scambio distratto di messaggi. Io ci credo ancora, sì.
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