giovedì 23 giugno 2022
Gli storici de Leonardis, Napolitano e Ickx smontano le tesi sostenute dal collega americano riguardo a presunte "simpatie" di Pacelli per il nazismo. Ma Pacelli semmai fu vicino a Roosevelt
Papa Pio XII

Papa Pio XII - Ansa

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Alla fine, paradossalmente, bisognerà quasi "ringraziare" quanti si ostinano ad accusare Pio XII di un "colpevole" silenzio sulla Shoah e di (inesistenti) simpatie per la Germania nazista. Sì, perché i loro scritti, alcuni sbandierati come il frutto di nuove ricerche condotte sugli archivi vaticani da poco aperti agli studiosi, sono uno stimolo per studi ben più approfonditi che documenti alla mano dimostrano sempre più l’infondatezza di certe leggende nere.

L’argomento è tornato di attualità in questi giorni sia in seguito alla pubblicazione del libro di David Kertzer Un Papa in guerra - La storia segreta di Mussolini Hitler e Pio XII (Garzanti, pagine 705, euro 28), sia per il convegno 'Papi per la pace in tempi di guerra - Da Benedetto XV e Pio XII a Francesco', svoltosi ieri pomeriggio a Roma su iniziativa del Comitato Papa Pacelli- Associazione Pio XII. Una duplice occasione per esaminare in maniera critica le tesi accusatorie verso un Pontefice che invece fece di tutto per evitare lo scoppio del II Conflitto mondiale (il tentativo purtroppo fallito di organizzare una conferenza multilaterale; la famosa frase «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra»), per evitare l’ingresso dell’Italia nel conflitto stesso e soprattutto si adoperò, come è ormai riconosciuto, per salvare migliaia di ebrei dalle deportazioni naziste.

Proprio l’apertura degli archivi ha fornito su quest’ultimo versante nuovi dati. Come ha ricordato ieri a margine del convegno Johan Ickx, autore del volume Pio XII e gli ebrei (che Kertzer non cita e che è invece uno degli studi recenti più importanti sull’argomento) risultano 15mila richieste di aiuto di altrettanti ebrei negli archivi della Sezione affari generali della Segreteria di Stato (quella che faceva capo a Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI) e 2.800 presso l’archivio storico della sezione per i rapporti con gli Stati. «Questi numeri – ha sottolineato lo studioso – dimostrano la fiducia che gli ebrei in pericolo di vita riponevano nel Papa e nella Santa Sede. E non si trattava certo solo di quelli battezzati, come sostiene Kertzer». Non tutti fu possibile salvare, ma «questo non dipese certamente dalla volontà del Vaticano».

Per quanto riguarda poi il tentativo di tenere l’Italia fuori dalla guerra, valga quanto ha affermato un altro dei relatori al convegno, Massimo de Leonardis, ordinario di Storia delle relazioni internazionali alla Cattolica di Milano. «Nel dicembre 1939, in occasione del decennale della Conciliazione, Vittorio Emanuele III si recò in visita di Stato in Vaticano e, fatto assai significativo, Pio XII, invece di delegare il compito al Segretario di Stato com’era prassi, restituì personalmente la visita al Quirinale. Dal contesto dei documenti, dai discorsi pronunciati e soprattutto considerando le reazioni assai irritate di Mussolini si comprende bene il significato del gesto di Pio XII come forte pressione perché l’Italia restasse fuori dalla guerra». De Leonardis ha accennato anche al rapporto di estrema cordialità tra Pio XII e Roosevelt (come è attestato anche da uno scambio di lettere di cui parla Ickx nel suo libro): «Se proprio volessimo dire che Pio XII è stato il Papa di qualcuno, non è stato certamente il 'Papa di Hitler', ma semmai di Roosevelt».

E qui il discorso interseca le affermazioni riportate nel volume di Kertzer. Al quale ha risposto, con un documentato articolo apparso lunedì scorso su L’Osservatore Romano, Matteo Luigi Napolitano. Innanzitutto viene smontata la tesi della trattativa segreta con Hitler, secondo l’autore «ardentemente voluta da Pacelli», e condotta tramite il principe d’Assia, marito di Mafalda di Savoia, il cardinale camerlengo Lorenzo Lauri e il visconte Raffaele Travaglini tra la metà del 1939 e il marzo del 1940, quando in Vaticano venne ricevuto il ministro degli Esteri tedesco, von Ribbentrop. Mentre Kertzer scrive che quella trattativa fu «cancellata da tutte le carte ufficiali della Santa Sede», Napolitano ricorda che a essa si fa ampio riferimento nel primo volume della collana ufficiale vaticana Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, pubblicato nel 1965 e in edizione aggiornata cinque anni dopo. Quelle trattative erano in realtà i preliminari della visita di von Ribbentrop.

Ma non è questo l’unico appunto che Napolitano muove al libro. Dai documenti che si trovano nel dossier della visita e dunque «nell’ordinaria burocrazia papale», non certo in fondi segreti delle carte di Pio XII, emerge che fu Hitler a pressare affinché si arrivasse a un nuovo concordato Stato-Chiesa in Germania, superando quello del 1933 ed estendendolo all’Austria e agli altri territori conquistati manu militari dai nazisti. Pio XII che quel concordato conosceva benissimo, non aderì mai alle richieste del Führer, subodorando, come afferma anche Ickx, «la trappola in esse contenuta» e ponendo anzi cinque condizioni che riguardavano l’irrinunciabile libertà della Chiesa in Germania più la necessità di avere un inviato papale nella Polonia occupata. Cose che per Hitler erano inaccettabili. Altro che scambio tra la libertà della Chiesa e silenzio sulle questioni razziali, come affermato da Kertzer. La realtà è di tutt’altro segno.

E a proposito di silenzi, si fa notare che Pio XII la condanna del nazismo l’aveva espressa con la sua prima enciclica, Summi Pontificatus, che, a differenza di quanto scrive Kertzer, a Berlino non piacque per niente, poiché conteneva, come si espresse un alto funzionario nazista, «una condanna dello Stato totalitario» indirizzata di fatto «contro il Terzo Reich». Non a caso il comandante della Gestapo, Heinrich Müller, scrisse: «Ho l’ordine di impedire qualsiasi diffusione di essa». L’articolo dell’Osservatore prosegue segnalando anche altre sviste nel volume edito in Italia da Garzanti. Tra le più «gravi » quella relativa all’udienza che Pio XII concesse all’incaricato d’affari americano Harold Tittmann. Secondo Kertzer, l’udienza avvenne il 19 ottobre 1943, tre giorni dopo il rastrellamento nel Ghetto di Roma, senza che il Papa vi facesse riferimento. In realtà l’incontro, come risulta dai registri d’udienza, avvenne il 14 ottobre, dunque due giorni prima di quel brutto giorno. Come se ne poteva parlare se nulla era ancora accaduto?

Sono sviste che gettano ombre sulle fonti effettivamente adoperate per la stesura del libro, frutto secondo l’autore di ricerche sui documenti custoditi negli archivi vaticani da poco aperti. In realtà, come fa notare Emilio Artiglieri, presidente del Comitato che ha organizzato il convegno di ieri, «basterebbe verificare dagli accessi registrati se Kertzer sia venuto in Vaticano, dato che gli archivi aperti nel 2020 furono richiusi per il sopraggiungere del Covid». In ogni caso la verità su Pio XII, anche se con passo più lento, sta venendo fuori.

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