giovedì 4 aprile 2019
Tornando da Rabat il Papa ha citato “Il ponte sulla Drina” di Ivo Andric: «Il ponte è fatto da Dio con le ali degli angeli perché gli uomini possano comunicare». Il ponte contrapposto al muro
Il ponte Mehmed Paša Sokolovic a Višegrad, il “ponte sulla Drina” di Ivo Andric

Il ponte Mehmed Paša Sokolovic a Višegrad, il “ponte sulla Drina” di Ivo Andric

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Dal Marocco all’Europa. Basterebbe un ponte. Anche dentro l’Europa. C’è una città alla confluenza di due mondi, quello cristiano e quello musulmano: Višegrad, in Bosnia. Da sempre città di incontro fra diverse razze, religioni e culture. Ed è qui che nel Cinquecento il visir Mehmed-pascià fece erigere un ponte, costruito grazie alla fatica e ai sacrifici di molti cristiani, ma anche testimonianza della fusione di quei mondi diversi. Il ponte è al centro del romanzo di Ivo Andric, Il ponte sulla Drina, romanzo pubblicato nel 1945 alla fine della Seconda guerra mondiale e citato da papa Francesco sul volo di ritorno da Rabat. Per analogia, proprio quella città crocevia del Maghreb lo ha rimandato nel cuore dell’Europa, con uno dei passaggi più sentiti della conferenza stampa: «Abbiamo visto nel dialogo qui in Marocco che ci vogliono dei ponti e sentiamo dolore quando vediamo le persone che preferiscono costruire muri. Perché coloro che costruiscono muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito. Invece quelli che costruiscono ponti andranno avanti. Mi ha sempre toccato una frase del romanzo di Ivo Andric, Il ponte sulla Drina: 'Il ponte è fatto da Dio con le ali degli angeli perché gli uomini possano comunicare'. Il ponte è per la comunicazione umana. Invece i muri sono contro la comunicazione, sono per l’isolamento e quelli che li costruiscono ne diventeranno prigionieri… ». E da qui fino a dire: «Bisogna mettere ponti nei porti per evitare che migliaia di migranti disperati affoghino in mare». E poi: «Impariamo dalla storia, questo non è nuovo: seminare paura è fare una raccolta di crudeltà, di chiusure e anche di sterilità».

Quel ponte si può attraversare. I ponti sorreggono, i ponti collegano. Il ponte caratterizza il nostro ambiente edificato, ma è anche simbolo che rappresenta il superamento dei divari e delle differenze culturali e la partenza verso nuovi lidi. È un mezzo di cui l’uomo dispone per congiungere, attraversare il mondo. Ma i ponti sono molto di più: sono il risultato di un processo costruttivo, espressione di un’arte percepibile anche da un profano; un’arte che è fonte d’ispirazione e di un’identità comune perché il ponte è fratellanza. Il brano di Andric citato da papa Francesco è nel capitolo sedici: «Il mio defunto padre sentì una volta da šeh-Dedija e raccontò poi a me quand’ero bambino, da che cosa deriva il ponte e come venne eretto il primo ponte del mondo. Quando Allah il potente ebbe creato questo mondo, la terra era piana e liscia come una bellissima padella di smalto. Ciò dispiaceva al demonio, che invidiava all’uomo quel dono di Dio. E mentre essa era ancora quale era uscita dalle mani divine, umida e molle come una scodella non cotta, egli si avvicinò di soppiatto e con le unghie graffiò il volto della terra di Dio quanto più profondamente poté. Così, come narra la storia, nacquero profondi fiumi e abissi che separano una regione dall’altra. [...] Si dispiacque Allah quando vide che cosa aveva fatto quel maledetto; ma poiché non poteva tornare all’opera che il demonio con le sue mani aveva contaminato, inviò i suoi angeli affinché aiutassero e confortassero gli uomini. Quando gli angeli si accorsero che [...] al di sopra di quei punti spiegarono le loro ali e la gente cominciò a passare su di esse. Per questo, dopo la fontana, la più grande buona azione è costruire un ponte».

Così, fin dall’inizio, dal timone della nave di Pietro, le terre emerse e quelle emergenti del pianeta multipolare erano apparse frammentate anche al nuovo Papa, prive di collegamenti, distrutte. Nell’udienza concessa nella Sala Regia del Palazzo apostolico al corpo diplomatico presso la Santa Sede il 22 marzo 2013 Francesco aveva quindi anticipato su quali dorsali avrebbe gettato il passo: «Uno dei titoli del vescovo di Roma è Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini. Desidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere ed abbracciare! Le mie stesse origini poi mi spingono a lavorare per edificare ponti. Infatti, come sapete la mia famiglia è di origini italiane; e così in me è sempre vivo questo dialogo tra luoghi e culture fra loro distanti, tra un capo del mondo e l’altro, oggi sempre più vicini, interdipendenti, bisognosi di incontrarsi e di creare spazi reali di autentica fraternità». Non è tuttavia la prima volta che il Papa (Pontifex da pons 'ponte' e tema di facere 'fare') ricorre alla letteratura sul ponte. Era il 6 giugno del 2015 e andando proprio in Bosnia-Erzegovina, il Paese dai fiumi color smeraldo e dei ponti che li attraversano (in un passato recente minati e interrotti da una guerra nel cuore dell’Europa) il pensiero non poteva che correre lungo il ponte di Visegrad, citato dallo scrittore Ivo Andric, a quello distrutto e ricostruito di Mostar, come a quello Latino sul fiume Miljacka, luogo di innesco della Prima guerra mondiale.

Ma incontrando i giovani a Sarajevo aveva ricordato Die Brücke (Il ponte), un film del 1959 firmato dall’avanguardia tedesca e ambientato durante l’occupazione nazista. «Die Brücke… non so come si dice nella vostra lingua… ho visto quel film e ho visto lì come il ponte sempre unisce. Quando il ponte non si usa per andare uno verso l’altro, ma è un ponte vietato, diventa la rovina di una città, la rovina di un’esistenza. Per questo da voi – aveva continuato a dire papa Francesco – da questa prima generazione del dopoguerra, mi aspetto onestà e non ipocrisia. Unione, fare ponti, ma lasciare che si possa andare da una parte all’altra. Fate in modo che si possa andare da una parte all’altra. Questa è fratellanza». «Io voglio vedere tanti ponti umani… È così – disse a Cracovia nel 2016 – Questo è il programma di vita: fare ponti, ponti umani, ognuno di noi può farlo». Ma nel febbraio del 2015 sul volo di ritorno dal viaggio in Messico lo aveva detto lapidariamente rispondendo ai giornalisti: «Chi pensa solo a fare muri e non ponti non è cristiano. Questo non è nel Vangelo».

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