sabato 15 dicembre 2018
Parla Pierre Sourisseau, autore della biografia definitiva del religioso francese ucciso nel 1916 a Tamanrasset, nel Sahara algerino
Charles de Foucauld (a sinistra) durante il viaggio dal Marocco all’Algeria tra il 1904 e il 1905

Charles de Foucauld (a sinistra) durante il viaggio dal Marocco all’Algeria tra il 1904 e il 1905

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Per trent’anni Pierre Sourisseau ha studiato il materiale relativo alla vita di Charles de Foucauld. Lettere, diari, articoli di giornale, dispacci militari: se c’era qualcosa da leggere, lui l’ha letto, annotato, considerato in prospettiva storica. Il risultato di tanta dedizione è Charles de Foucauld. 1858-1916, la biografia di “fratel Carlo di Gesù” appena tradotta in italiano dalla comunità delle Discepole del Vangelo e da padre Andrea Mandonico per Effatà (pagine 768, euro 32,00).

«Nel suo svolgimento complessivo la vita di Charles de Foucauld è nota da tempo – spiega lo studioso francese, che nei giorni scorsi è stato in Italia per una serie di presentazioni del libro –. Il mio lavoro, svolto in qualità di archivista della postulazione, si è concentrato sulla possibilità di chiarire e approfondire molti dettagli, così da fornire un’interpretazione più aderente alla realtà e depurata di alcuni elementi sensazionali che, con il tempo, erano ormai dati per acquisiti».

Quella di Charles de Foucauld resta, in ogni caso, un’esistenza fuori dal comune. La nascita a Strasburgo, l’origine nobiliare, il servizio militare in Nordafrica, l’esplorazione del Marocco, poi la conversione religiosa, l’inquietudine che dalla Trappa lo porta a Nazareth e da lì di nuovo nel Sahara, fino all’avamposto di Tamanrasset, nell’Ahaggar algerino, dove traduce il Vangelo nella lingua dei tuareg e infine viene ucciso durante una scorribanda di predoni il 1° dicembre 1916, all’età di 58 anni.

Per ciascuno di questi momenti Sourisseau propone un “ritratto” del protagonista, basato anche sulle numerose fotografie presenti nel volume. «Ogni volta che ho potuto, sono tornato a sottolineare gli elementi di continuità – avverte il biografo –. Charles de Foucauld ha sempre avuto una personalità molto forte, molto ricca, che si è evoluta nel tempo senza mai contraddirsi veramente, a differenza di quanto si è voluto sostenere in passato.

A un certo punto, per esempio, la sua giovinezza è stata raffigurata nei termini di ribellione, se non addirittura di ostilità nei confronti dell’educazione cristiana ricevuta in famiglia. Ma non è così. Certo, è stato un giovane ufficiale di buoni mezzi e amante della bella vita, ma non per questo lo si può considerare un libertino. La famosa spedizione geografica in Marocco, inoltre, non ha nulla a che vedere con una presunta attività da spia o agente segreto.

La vita di Charles de Foucauld e la sua stessa santità si comprendono soltanto in relazione alla vita quotidiana, all’interno della quale si compie l’evoluzione della sua personalità. Anche la presenza a Tamanrasset è contraddistinta da questa volontà di condividere le esperienze di ogni giorno con i tuareg. Si tratta di avvenimenti spesso in apparenza minimi, ma che nell’insieme consentono una visione più equilibrata e completa».

Una valutazione analoga vale per la “regola di vita” sulla quale Charles de Foucauld torna a più riprese: «Anche qui è possibile seguire l’evoluzione che porterà, da ultimo, al Regolamento dei piccoli fratelli del Sacro Cuore di Gesù – dice Sourisseau –. Le linee generali, però, sono presenti fin dai primi appunti: l’imitazione di Cristo, l’adorazione del Santissimo Sacramento, l’amore per il prossimo, la preghiera per la conversione, la fuga dall’ozio... È come se esistesse una regola primitiva, che si evolve a seconda delle circostanze ». Lo scenario definitivo, come sappiamo, è quello del Sahara, dove padre Carlo, che pure conquista presto la fama di «marabutto cristiano», non si presenta come missionario.

«Lui stesso parlava del proprio operato come di una preparazione all’evangelizzazione – afferma Sourisseau –. Prima ancora di predicare il Vangelo, avvertiva la necessità di decifrare la terra in cui si trovava, apprendendone la lingua e imparando a rispettare le usanze locali. Si rendeva conto di avere a che fare con popolazioni nomadi dall’indole bellicosa, che faticavano a comprendere il messaggio di pace che sta al cuore del cristianesimo. Per questo, secondo lui, occorreva anzitutto educare i tuareg al rispetto di alcune regole di convivenza civile e a un ideale di giustizia che andasse al di là delle consuetudini tribali.

Militare per formazione, anche a Tamanrasset intrattenne rapporti molto proficui con la guarnigione francese, avviando una collaborazione che finora non era stata valorizzata nel modo dovuto. Più in generale, mi pare interessante ricordare come la presenza di Charles de Foucauld nell’Ahaggar vada inserita nel contesto della Prima guerra mondiale e per l’esattezza nel tentativo di destabilizzazione del Sahara algerino condotta da Germania e Turchia mediante le confraternite senussite, che a loro volta si servivano di predoni, i cosiddetti fellaghas ».

Matura in questo clima l’attacco nel corso del quale Charles de Foucauld fu fatto prigioniero e infine ucciso. «Date le circostanze, è improprio parlare di martirio – sostiene Sourisseau –. La sua morte fu in buona misura accidentale: messi in allarme dall’arrivo di due militari francesi, i rapitori ingaggiarono una sparatoria che ebbe fratel Carlo tra le vittime. Ciò non toglie che tutta la sua vita fu testimonianza del Vangelo, e quindi martirio in un senso più ampio. Dopo la beatificazione del 2005, le sue virtù eroiche non sono più oggetto di studio. Per la canonizzazione, ormai, manca solo la ratifica di un miracolo».

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