giovedì 31 marzo 2016
Se il doping entra nel cervello
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È una continua rincorsa, ma chi sta davanti ha troppo vantaggio e corre per aumentarlo sempre di più. Studia e sperimenta per superare il limite, perché quello è il fine e i mezzi per raggiungerlo, in questa filosofia, sono solamente strumenti valutati per la capacità di migliorare le performance. La lepre è il doping, inteso nel suo vasto spettro di potenzialità che oltrepassa l’ideale sportivo della competizione senza artifici, ora lanciato verso una ulteriore frontiera: il miglioramento delle prestazioni attraverso un’azione di stimolazione direttamente sul cervello. “ Brain doping” lo ha definito, con un titolo di sicuro impatto, il settimanale scientifico “Nature”, che ha rilevato come la Federazione statunitense di sci e snowboard (Ussa), con il contributo dei professionisti della Halo Neuroscience, un’azienda privata di San Francisco, abbia testato su alcuni suoi atleti i risultati della una stimolazione elettrica cerebrale per mezzo di un particolare dispositivo che trasmette gli impulsi alla corteccia motoria. A vederlo, lo strumento si presenta come una cuffia per l’ascolto della musica, ma disposti nell’arco superiore ha una cinquantina di piccoli trasmettitori transcranici diretti – dunque elettrodi non invasivi – che funzionano in corrente continua a bassa intensità in grado di stimolare appunto l’attività corticale. A testarlo negli ultimi mesi sono stati gli specialisti del salto con gli sci, alcuni dei quali già presenti alle Olimpiadi, e i primi esiti hanno rivelato l’efficacia della pratica: i dati analizzati e comunicati da Halo Neuroscience segnalano come gli atleti sottoposti a questa stimolazione abbiano potenziato la forza del salto del 70% e la coordinazione nell’eseguirlo e portarlo a termine dell’80% rispetto ad un altro gruppo di atleti che, per necessità di comparazione, si è prestato ad un finto trattamento per quattro volte a settimana nell’arco di quindici giorni. Non è la prima volta che “Nature” ospita studi e pubblicazioni relativamente agli effetti della stimolazione non invasiva della corteccia cerebrale applicata allo sport. Esiste peraltro una vasta letteratura che conferma come la stimolazione cerebrale elettrica incida positivamente nel trattamento di alcune patologie neurologiche e in ambito riabilitativo (nel recupero dall’afasia, ad esempio, o della motricità a seguito dell’ictus), e del resto nell’ultimo decennio non sono mancate le ricerche scientifiche capaci di spiegare come una modulazione della stessa stimolazione possa ridurre negli atleti la percezione dello sforzo e della fatica, di fatto migliorandone le prestazioni e le percezioni. Stavolta però è la stessa rivista a battezzare la definizione di “ brain doping”, perché nel caso di specie la stimolazione non muove dall’interesse scientifico di ricercatori e studiosi interessati alla teoria e ai suoi risultati, ma dagli effetti pratici attesi da una federazione sportiva attraverso un dispositivo (la cuffia messa a punto da Halo Neuroscience) che mira a diventare un oggetto destinato al consumo di massa da parte degli atleti ed è, non a caso, da alcune settimane già in vendita. Il punto è proprio questo: quando si entra nell’ambito dello sport e la scienza – non solo sotto l’aspetto farmacologico delle pratiche dopanti propriamente dette – viene utilizzata per portare un atleta sano ad avere un vantaggio competitivo nell’ottica dell’ottenimento di un risultato pressoché immediato, il discorso lascia spazio a una serie di considerazioni che travalicano l’effettiva e provata utilità in campo medico, situandosi nel terreno relativo a cosa sia lecito e cosa no nello sport.  Appunto, in senso lato, il doping, un campo vastissimo e in continua evoluzione. “ Unterstützende Mitteln”, mezzi di sostegno, li chiamavano con una perifrasi i vertici dello sport della Germania Est: era il doping di Stato, e suona oggi piuttosto sinistro pensare a come le pratiche dopanti e le tecniche per dissimularle si siano fatte maggiormente raffinate e sofisticate con l’avanzare della ricerca scientifica e medica, in questo caso piegata alla dittatura del risultato a tutti i costi, malattia degenerativa dello sport attuale. Non c’è difesa che tenga, nonostante il continuo aggiornamento delle sostanze e dei metodi proibiti da parte della Wada, l’agenzia mondiale creata per contrastare il fenomeno: il doping è sempre qualche metro oltre; il suo vantaggio è in costante aumento. E il brain doping in fondo rappresenta una ulteriore accelerazione.
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