martedì 26 luglio 2016
Bloch mai letto, il vero uomo in rivolta
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«Chi non decide di agire, il mondo lo costringe a subire ». Si conclude con le parole del collaborazionista Thierry Maulnier dedicate all’esaltazione dell’«azione necessaria» il quaderno di appunti di Marc Bloch pubblicato ora in anteprima mondiale. Dopo questa nota probabilmente sono seguiti il suo arresto a Lione per l’impegno nella Resistenza e la fucilazione nell’estate del 1944 da parte delle truppe di occupazione tedesche. Insieme a Quelques notes de lecture (1917-1924), i fogli di appunti di Mea, che vanno dall’ottobre del 1940 al giugno del 1943, costituiscono i Cahiers inédits dati alle stampe ora da Aragno (Pagine 392; euro 25) con la meticolosa curatela di Massimo Mastrogregori, docente all’Università di Strasburgo. Bloch non necessita di nutrite presentazioni. È semplicemente uno dei grandi storici del Novecento, autore di opere come I re taumaturghi e il voluminoso La società feudale oltre che fondatore insieme a Lucien Febvre, nel 1929, della scuola delle Annales. L’impresa dei due intende sottrarre la storia alle polveri d’archivio per restituirle un ruolo nella società contemporanea. In polemica con Paul Valéry Bloch reputa che il lavoro dello storico non generi confusione ma serva, se arricchito di analisi economiche, sociali e etnografiche, a comprendere la realtà del presente. Esso deve però avvalersi anche del contributo di «uomini d’azione, in primo luogo scrive Mastrogregori nella postfazione economisti e banchieri come pure di funzionari e dirigenti di impresa». Solo così può assume un ruolo quasi politico. E Bloch, che per indole è tutto fuorché un historien en chambre, lo sa bene.  Lo storico francese passa più volte nella vita dalla condizione di professore all’impegno di soldato, da un’esistenza dedita alla riflessione al mestiere delle armi. Succede durante la Grande Guerra e poi continua nel conflitto mondiale che le fa da coda. Dopo essersi chiesto in una lettera del gennaio del 1940 a Philippe Wolff dell’utilità di una nazione in armi recalcitrante a combattere, si arruola nel giugno successivo per fronteggiare l’invasione tedesca. La débâcle francese non lo scoraggia. All’indomani della sconfitta lo studioso non esita a unirsi alle fila della resistenza. Tre anni più tardi entra addirittura in clandestinità assumendo diverse identità: Monsieur Rolin o Marcel Blanchard per l’anagrafe. Arpajon, Chevreuse e Narbonne per i maquis. Nei quaderni di appunti appena pubblicati Bloch trascrive brani tratti da testi inglesi, tedeschi, latini e greci. E se nel primo, risalente agli anni tra il 1917 e il 1924, a prevalere sono considerazioni di ordine metodologico in difesa della storia, in Mea, composto sotto la pressione dei venti di guerra, il tono cambia. Troviamo sempre annotate citazioni di Machia- velli, Erasmo, Loyola, Montesquieu, Voltaire o Laski ma le preoccupazioni dello storico risentono di una torsione. Al cuore degli estratti abita un altro problema: il problema dell’azione. Non a caso sulla prima pagina, a guisa di epitaffio, Marc Bloch imprime al quaderno di appunti un sigillo inequivocabile. Raccogliendo una riflessione di Cartesio ricorda che «uno dei punti della mia morale è di amare la vita senza temere la morte» per poi concludere con «questa frase di Lammenais, che oggi (giugno 1943) reca un suono così attuale: «Ragazzo mio, manca sempre qualcosa a una bella vita che non si concluda sul campo di battaglia, sul patibolo o in prigione». La decisione è ormai compiuta e il giornalista fascista Thierry Maulnier gli fornisce solo le parole per suggellarne la determinazione. Non deve sorprendere l’uso simpatetico che Bloch fa del testo di un nemico. Pur su fronti separati entrambi respirano la medesima aria. Per quanto repubblicano e dreyfusardo Bloch avverte, alla pari di Maulnier, l’avariarsi della Terza Repubblica. Non a caso riporta nel carnet le parole del filosofo marxista Harold Laski per innalzare una critica «contro la gerontocrazia », come titola lui stesso la nota. «Nessuno dovrebbe occupare una funzione pubblica - trascrive scrupolosamente Bloch -, soprattutto un posto in vista, passati i 55 anni. A quest’età, non dimentichiamolo, si avranno alle spalle più di 30 anni di servizio amministrativo... In tutti i servizi pubblici è urgente abituarsi a dare delle funzioni responsabili prima dei 35 anni». L’assenza di giovani al potere per lo storico non è la causa ma solo un sintomo di un sistema politico che va riformato perché, citando questa volta Charles Péguy, «chi manca del pane quotidiano non ha più alcun gusto per il pane eterno, per il pane di Gesù Cristo». E quando questo accade, «nei giorni di decadenza delle grandi religioni storiche, gli uomini deificano l’idea di nazione. Fanno della devozione a certi sistemi politici un’idolatria fanatica». Probabilmente un simile esito, per Bloch, deriva anche da un uso strumentale della religione realizzato dal cattolicesimo politico d’Oltralpe di origine controrivoluzionaria. «La filiazione Chateaubriand Barrès - Maurras - sottolinea Bloch - ha corrotto tutto un aspetto del pensiero francese, - se si può parlare di pensiero. Cattolicesimo di non credenti, tradizionalismo di menefreghisti, tutta venato d’insincerità, d’immoralità intellettuale che è diventato un virulento fermento di corruzione. In orrore a ogni spirito innamorato della dignità morale e capace di non vibrare solo a teatro, a ogni cristiano, a ogni filosofo». Di certo Marc Bloch non alza solo il dito in pesanti j’accuse come al tempo fanno tanti altri intellettuali. Non si appunta sul petto il marchio indecoroso del tradimento dei chierici denunciato da Julien Benda. In ossequio delle idee intrise d’azione il 16 giugno 1944 si spegne sotto i proiettili della fucilazione tedesca per difendere la sua Francia.
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