domenica 5 giugno 2011
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Milano, ** maggio 1967

Padre Santo,il fervore e l’entusiasmo suscitato in questi giorni nel mio cuore e in quello dei miei amici dalla mirabile enciclica Populorum Progressio, mi fa ardito a rivolgermi alla Santità Vostra, con una lettera che da molti mesi, in certe ore di spirituale fermento e di psicologico turbamento, si è andata delineando dentro di me, con urgenza a momenti drammatica. (...) Ecco: si tratta non di un problema, per importante e grave che esso sia, ma del problema. La minaccia atomica, la sopravvivenza del mondo, l’essere o non essere dell’umanità, in un domani che può profilarsi assai prossimo. Ingenua invocazione, la nostra... Come se proprio l’attuale Vicario di Cristo non fosse il più consapevole e il più angosciato da questo apocalittico flagello che incombe sui Suoi figli; come se già Egli non perdesse occasione, da anni, per stigmatizzare la guerra, per deprecare esplicitamente l’esistenza, ancor prima che l’uso, delle armi nucleari. Come se non avesse, insieme alla Sua soprannaturale sollecitudine di Padre, al personale ed umano fervore di protezione pei Suoi figli, anche una illuminata competenza e provvedutezza politica sufficienti a guidarLo per opporsi con ogni mezzo possibile alla catastrofe. C’è comunque in questa nostra lettera – quando la Santità Vostra non volesse accoglierla che in tal senso – una componente emotiva, uno sbigottimento e un tremore che ci portano istintivamente a stringerci, come creature atterrite in cerca di un rifugio e di una salvezza, attorno al Vicario di Colui che ha detto: Venite ad me omnes qui laboratis. Ma quello sbigottimento che dicevo – latente e tormentoso da ormai più di venti anni nel conscio e nell’inconscio d’ogni uomo di questo nostro secolo – ha avuto, in noi che Le scriviamo, un ulteriore soprassalto in occasione di una recente trasmissione, sugli schermi televisivi; di una specie d’inchiesta, rivolta a noti esperti, sulle esplosioni nucleari. Il mondo, benché più o meno cosciente della catastrofe atomica che lo minaccia, vive in fondo entro un ottuso, fiducioso torpore nei confronti di ciò che in effetti l’atomica sia; di quelle che sarebbero, tecnicamente, le reali conseguenze d’una catena di esplosioni di «megaton». Soprattutto non valuta a sufficienza che – a prescindere dalla deliberata volontà di dare inizio a una guerra intercontinentale, di premere il fatale bottone – il macello atomico si fa ogni giorno più probabile, per così dire, motu proprio, per la semplice proliferazione dei mezzi nucleari. La trasmissione cui accennavo puntualizza i due aspetti che l’uomo della strada (noi che scriviamo ivi compresi) ignora o sa troppo insufficientemente. Svela le immani, mostruose conseguenze di un conflitto atomico prevedibili e previste con ripugnante concretezza (centinaia di milioni, forse miliardi di vittime; esplosioni demografiche di animali nocivi, quali topi e mosche; epidemie spaventevoli fra gli uomini, e forse l’inizio di una nuova glaciazione della terra). E denuncia, d’altro canto, la probabilità (se non si vuol dire inevitabilità) che la crescente proliferazione atomica dia luogo, indipendentemente dalla positiva volontà dei governi, alla catastrofe suaccennata. In quella inchiesta – come la Santità Vostra potrà appurare se vorrà degnarsi di prenderne visione – viene battuto in breccia da uno degli esperti interpellati (il professor Amaldi) il mito sdrammatizzante e quietista secondo cui la gente (e noi pure eravamo, sino a ieri, fra codesta «gente») pensa che le atomiche non saranno mai usate perché «sono troppo terribili e fanno paura a tutti». Che cosa si può fare dinanzi all’urto di così terrificanti verità, di tanto fondate profezie di uomini di scienza? Perché scriverne, come sto facendo, al Papa per incuneare più fonda la spina che già trafigge il Suo cuore? Questo ci siamo chiesti, più e più volte, i miei amici ed io, nel ventilare di scrivere alla Santità Vostra l’appello che solo oggi ci decidiamo a concretare in parole. Tale decisione abbiamo infine preso, non già per suggerire al Papa (che sarebbe stolta presunzione) un preciso e particolare orientamento d’azione, un determinato intervento; ma (come dire diversamente?) per invocare dalla Sua amorosa fantasia di Padre, dal Suo straordinario coraggio, dal Suo sempre più alto prestigio, «qualche cosa». Qualche cosa di nuovo e di grande prima che sia troppo tardi. Qualche cosa fuori e sopra degli schemi della diplomazia, che la Santità Vostra, non meno dei Suoi venerati Predecessori, ha utilizzato in questi anni con mirabile sapienza e pazienza. Padre Santo: noi crediamo che oggi solo un Pontefice, e un Pontefice del Suo illuminato ardire, possa rompere quegli schemi di tutela onde i precedenti Papi hanno fatto scudo (ahimè vanamente) contro le guerre mondiali; e possa Egli – Dio voglia – tutti salvarci. Noi invochiamo – Vostra Santità voglia concedermi l’immagine – una atomica, una vera «atomica papale» nello spirito di Cristo, contro l’atomica infernale degli uomini. Parlare di «scomunica» può suonare – almeno nella piccola e incompetente proposta di un gruppo di laici – utopistico: non sappiamo; certo è tuttavia che, di fronte all’automatico suicidio dell’umanità, può essere messa in discussione – al lume del giure naturale ed internazionale – la legittimità stessa di governi i quali, nonché adoperare, solo costruiscano e moltiplichino il potenziale atomico; di governi i quali non prendano provvedimenti autentici e immediati per tagliare la miccia che, lentamente bruciando, si appresta a far saltare in aria il mondo. Come possono quei governi pretendere l’obbedienza di sudditi che essi criminosamente votano, con probabilità, alla più fatale ecatombe? Ed ecco che fra le tante aspirazioni nebulose e commosse che fermentano in noi che a Lei scriviamo, si affaccia quella di una enciclica polarizzata sul problema atomico: adeguata, nella sua chiarezza, fierezza ed efficacia espressiva, al recente ammaestramento da Lei impartito nella Populorum Progressio. (...) Vorrei avere la penna di un Bernanos per tradurre tutto il contenuto della nostra lettera in concretezza di profetiche immagini, in un unico ma efficace grido: non già per dipingere l’incombenza della catastrofe alla Santità Vostra, che certo non abbisogna di suggestioni letterarie a misurare ciò che già conosce quanto e meglio di noi, ma per ispirare alla mente e al cuore del Papa nuovi e fino ad oggi impensati interventi. Certo, al di là di ogni precisa e perciò indiscreta indicazione, noi vorremmo che la Chiesa di Cristo si votasse con inesausta passione, nelle voci e in ogni sforzo quotidiano dei suoi pastori, con martellante ed esplicita ostinazione, a questo delenda atomica. Noi pensiamo che lo Spirito di Dio chiami la Chiesa a rispondere, oggi e senza indugio, a questo terribile «segno dei tempi»; ed essa non possa sottrarsi senza colpa a un «giudizio» che è il giudizio della Storia e insieme il giudizio di Dio. Noi sogniamo pertanto, se ci è lecito, che il Papa nostro, con un’altra di quelle sue iniziative di personale evangelismo, con un altro balzo in avanti (penso al primo viaggio in Terra Santa del 1964, penso al discorso davanti alle Nazioni Unite ed al viaggio in India), si rechi, in un giorno prossimo, dove io non so. Ma là dove tuttavia possa strappare con le sue mani profetiche l’ordigno della morte a quel demiurgo impersonale e pur vero che potremmo chiamare l’Anticristo atomico.
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