martedì 4 ottobre 2022
Da Jan Fabre a Pistoletto a Beecroft: sedici artisti di rilievo internazionale collocano altrettanti arazzi nel duomo. Un grande progetto di committenza e di dialogo tra Chiesa e arte del presente
Vedovamazzei, "Annunciazione", 2022. Cosenza, cattedrale

Vedovamazzei, "Annunciazione", 2022. Cosenza, cattedrale

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Pare difficile sopravvalutare la portata del progetto che viene svelato oggi al pubblico nel duomo di Cosenza. In occasione delle celebrazioni degli 800 anni della consacrazione della cattedrale sono stati installati sedici grandi arazzi realizzati da artisti, tutti protagonisti della scena internazionale del contemporaneo. Si tratta di Stefano Arienti con L’Ultima Cena; Vanessa Beecroft con Gesù che purifica il tempio; Mariella Bettineschi La Visita di Maria a Elisabetta; Michele Ciacciofera Davide che trasporta l’arca dell’alleanza; Jan Fabre con Gesù guarisce dieci lebbrosi durante il viaggio verso Gerusalemme; Giuseppe Gallo con La guarigione di Naaman il Siro; Goldschmied & Chiari con Il sacrificio di Melchisedek; Debora Hirsch con La preghiera di consacrazione del tempio di Salomone; Ugo La Pietra con La costruzione della Cattedrale; Maurizio Orrico con La consegna della Stauroteca; Alfredo Pirri con La consacrazione della Cattedrale; Michelangelo Pistoletto con La gloria del Paradiso Terzo Paradiso; Luigi Presicce con La profezia di Natan al re Davide; Giuseppe Stampone con L’Assunzione della Beata Vergine Maria; Grazia Toderi con Il miracolo della peste; e infine Vedovamazzei con L’Annunciazione.

Come si sarà notato, diversamente da quanto spesso accade per opere d’arte contemporanea collocate nelle chiese, i temi non riguardano una spiritualità magari ricca ma priva di connotazioni, bensì soggetti strettamente religiosi, e non di rado insoliti: tratti dall’Antico Testamento e dai Vangeli, oltre che da momenti della Chiesa cosentina (come il riferimento alla stauroteca donata da Federico II di Svevia in occasione della consacrazione il 30 gennaio 1222), hanno come filo rosso la natura simbolica, storica e vitale della cattedrale fondata sulla forza della liturgia. Infine non si tratta di una mostra temporanea ma di una presenza permanente, come nuova tappa radicata nel presente di una storia antichissima – sottolineata anche dalla tecnica dell’arazzo, un tempo usuale nei luoghi di culto e oggi al centro di una riscoperta della creatività contemporanea. Da una parte quindi una Chiesa che si riallaccia alla sua tradizione di grande committente, dall’altra gli artisti che accettano la sfida di affrontare il grande tema cristiano per la comunità.

Come spiega il curatore del progetto Giacinto Di Pietrantonio, a lungo direttore della GAMeC di Bergamo e docente di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Brera, l’iniziativa «va letta come risposta al messaggio rivolto agli artisti da Paolo VI in occasione del Concilio Vaticano II, nel quale li invitava a tornare a dialogare con la Chiesa come era stato per millenni. Di più: a tornare amici. Modernamente ciò dimostra che l’arte, in quanto sempre contemporanea, può e deve tornare su grande scala a lavorare e dialogare nei luoghi sacri».

«La Chiesa è un giardino di tanti fiori, e noi vogliamo costruire questo giardino, bello e ricco, per significare la bellezza della nostra città, della nostra Chiesa, della diocesi» aveva affermato l’arcivescovo di Cosenza - Bisignano monsignor Francesco Nolè, recentemente scomparso e primo sostenitore dell’iniziativa insieme al parroco della cattedrale don Luca Perri. L’idea progettuale, programmata e coordinata dall’associazione 8centoCosenza aps, nasce dalla Fondazione Riccardo Misasi Ereditare la Terra che ne ha curato gli aspetti organizzativi. I grandi arazzi, della misura di quattro metri ciascuno e collocati tra le arcate della robusta struttura medievale, sono stati realizzati presso le officine tessili Desta, azienda di Settingiano (Catanzaro) specializzata nella produzione di paramenti sacri.

«Non deve stupire che un progetto simile e su questa scala abbia luogo a Cosenza» spiega Di Pietrantonio. «Nei luoghi comuni è una città periferica, conservatrice. Invece non è vero. È una città con una tradizione di arte moderna e contemporanea. Il corso è la “sede” del Museo all’aperto Bilotti con sculture di Paladino, Rotella, Consagra, Mastroianni, De Chirico, Manzù, Greco... Il ponte San Francesco di Paola è stato realizzato da Calatrava. Io stesso ho diretto qui per diversi anni un progetto di residenze artistiche». E proprio da questa frequentazione cosentina nasce e si sviluppa il progetto, lanciato dalla Fondazione Misasi e fatto proprio dall’arcidiocesi. «La cattedrale ha indicato i temi, io ho selezionato gli artisti, in relazione al loro modo di pensare e lavorare. Ci sono artisti molto cattolici, come Jan Fabre, e altri che invece non credono. Ma tutti sono stati entusiasti. C’è una grande voglia, persino la necessità di dialogo. Questo dimostra che l’arte contemporanea può tornare nelle chiese: basta che gli artisti vengano chiamati a lavorare».

«Se l’artista – scriveva Arturo Martini negli anni 40 in un appello largamente inascoltato– si sentisse compromesso da una stupenda fiducia, vedremmo i tiepidi accalorarsi, i migliori rinfrancarsi, le chiese nuovamente animate da capolavori. Al contrario la sfiducia crea il dubbio, la paura e l’indecisione, quindi l’opera mediocre». E la fiducia a Cosenza sembra avere prodotto i frutti sperati: «Si è discusso con gli artisti. I loro progetti erano sottoposti al vaglio della committenza, che si è dimostrata sempre entusiasta e aperta. Nessuno ha proposto cose provocatorie. Tutto questo dimostra una maturità da ambo le parti».

Se i soggetti possono apparire tradizionali, i problemi e i temi che oggi suscitano sono nuovi e richiedono soluzioni nuove. Gli esiti sono più simbolici che narrativi. L’Annunciazione di Vedovamazzei è una mano benedicente con i polpastrelli colorati. L’Ultima Cena di Arienti ha luogo nello spazio della cattedrale. Alcune immagini richiederanno tempo, come ogni cosa che mira al cuore del mistero più che alla superficie. Di ogni arazzo sono state realizzate tre copie: «Una per la cattedrale, una per l’artista – spiega Di Pietrantonio – e una a disposizione delle chiese di altre città, per mostre temporanee. Abbiamo costruito questa esperienza come un progetto pilota. I luoghi di culto hanno bisogno dell’arte. E gli artisti hanno bisogno della spiritualità. E ora di ripartire».

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