mercoledì 18 settembre 2019
È morto ieri a Roma dopo una lunga malattia. Aveva 91 anni e aveva partecipato attivamente alla nascita del giornale. Docente alla Lumsa, aveva lavorato a Popolo, Discussione e Popoli e Missione
Addio ad Angelo Paoluzi, ex direttore di Avvenire e maestro di giornalismo
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Uno degli ultimi maestri di giornalismo. Angelo Paoluzi, cosa rara di questi tempi, è sempre stato perfettamente consapevole del suo ruolo di testimone al servizio dei lettori e ne ha sempre portato la responsabilità con onestà, schiena dritta, compassione e, a volte, nella sofferenza. Caratteristiche della sua personalità che esercitava al lavoro, come in famiglia, con gli amici come con i suoi alunni alla Lumsa e nelle tante redazioni di giornale che hanno potuto fregiarsi della sua presenza. Angelo è morto ieri sera nella sua casa di Roma, a Casalpalocco, circondato da tutti i suoi cari: la moglie Gigliola, le figlie maria Ludovica, Emanuela, Stefania, il figlio Antonio e gli otto nipoti. I funerali si svolgono domani giovedì 19 settembre alle 14.30 proprio a Casalpalocco, nella parrocchia di San Timoteo.

Era nato a Roma il 16 ottobre 1928. Come tanti giovani della sua generazione che hanno vissuto la guerra in piena adolescenza ha potuto partecipare da protagonista al grande fermento culturale, politico e religioso degli anni Cinquanta. Lui, in particolare, ha coltivato la passione per il giornalismo fin dal principio iniziando con una collaborazione a "Il Caffé" di Giambattista Vicari. Nel 1952 conosce Angelo Narducci, figura fondamentale per la sua vita professionale e non solo. La comunanza di intenti, di ideali, di interessi letterari e di fede li conduce a una collaborazione assidua. Fra il 1955 e il 1960 ricopre il ruolo di direttore responsabile del mensile "Prospettive Meridionali". Nel 1960 viene assunto al "Popolo" per il quale diventa corrispondente dalla Germania e poi dalla Francia. Un incarico, soprattutto il primo, che unito alla sua grande sensibilità culturale, ne farà negli anni un esperto di Mitteleuropa e un fine germanista.

Quando Paolo VI affida ad Angelo Narducci la direzione del neonato "Avvenire", Paoluzi viene chiamato a partecipare all'impresa del nuovo giornale dei cattolici italiani. La sua firma compare già nel primo numero del 4 dicembre 1968. Diventa vicedirettore e, quando narducci viene eletto al Parlamento Europeo, ne assume la direzione fino al 6 gennaio del 1981, quando lascia il giornale. Gli anni che seguono continuano a essere per lui di grande fermento professionale, portando la sua passione per l'impegno dei cattolici nei mass media anche all'interno dell'Ucsi in cui assume il ruolo di vicepresidente.

Di quegli anni è un altro fondamentale incontro, quello con don Claudio Sorgi, giornalista, scrittore, esperto di mass media e, soprattutto, come lui uomo di fede e portatore di una cultura religiosa figlia dei fermenti conciliari, aperta alla modernità e al dialogo, ma al tempo stesso rocciosa e concreta. Quando don Sorgi viene chiamato a rilanciare "Popoli e Missione" il mensile missionario di Propaganda Fidae, Angelo Paoluzi diventa il capo della redazione, ruolo che coprirà dal 1986 al 1998. Intanto prosegue con le sue collaborazioni alla "Radio Vaticana", alla "Discussione" (è il responsabile dell'inserto culturale), ad "Avvenire", a "L'Eco di San Gabriele", a "Il Segno", a "Europa".

In quegli anni la redazione di "Popoli e Missione" (con Paoluzi ci sono anche Miela Fagiolo D'Attilia e Maria Savoca) diventa un impensabile riferimento per numerosi giovani che muovono i primi passi nel mondo del giornalismo cattolico e che in Angelo trovano un maestro accogliente, attento, a tratti anche particolarmente severo nel pretendere fedeltà al lavoro, attenzione ai valori e umile servizio (nella fruibilità ed esaustività dei testi) ai lettori. «Lavorare con lui - ricorda Miela Fagiolo D'Attilia - è stato un arricchimento infinito e ho sempre ammirato la sua paternità nell'accogliere giovani che volevano fare questo mestiere. Tutte persone che hanno ereditato il suo amore per il lavoro, la fedeltà alla notizia, il piacere "artigianale" di comporre un articolo e la grazia di lavorare in squadra». Questo sua propensione a essere maestro di giornalismo (naturale ma anche fortemente insita nella sua aderenza ai valori cristiani) l'ha esercitata per oltre vent'anni anche in maniera istituzionale, come docente e coordinatore della Scuola di giornalismo della Lumsa di Roma.

Da ieri mattina, quando si è sparsa la voce della sua scomparsa, a casa Paoluzi è stato un susseguirsi di visite e di telefonate. Quelle degli amici, ma soprattutto, racconta la figlia Stefania, di tanti suoi allievi. «Attestati di amicizia - sottolinea - che ci hanno riempito di ammirazione per la capacità di nostro padre di farsi voler bene da così tante persone. In questo anno di malattia (era affetto da linfoma non Hodgkin) è stato di una serenità persino disarmante. Si è affidato a noi, che eravamo tutti con lui, anche nelle preghiere. Ci ha insegnato la pazienza nella sofferenza e posso dire che ci ha fatto innamorare di lui, con la sua grandissima fede, in un modo che mai avremmo pensato. Attendeva e sperava la vita eterna».

Di questi ultimi giorni è anche l'ennesimo attestato di fedeltà alla professione. È ancora la figlia Stefania a raccontarcelo: «Domenica sera gli ho riletto un articolo per "L'Eco di San Gabriele" che lui stesso mi aveva dettato il giorno prima, non riuscendo più a scrivere. Io rileggevo e lui mi fermava per le correzioni chiedendomi di tanto in tanto se stavamo rispettando il numero dei caratteri che gli erano stati richiesti. Mio padre ha sempre creduto nel giornalismo. In questi giorni ci è capitata una sua nota scritta in cui si sottolineava che "il giornalista ha il compito di essere testimone della speranza che c'è nell'uomo nel mondo di oggi"».



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